A. M. Valli e la caricatura di papa Francesco. Gli stereotipi tradizionalistici di bravi giornalisti


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Nel dialogo che si è aperto con A. M. Valli, che ringrazio per la risposta, credo sia giusto mettere in gioco anche le diverse professioni e competenze. E se non è affatto raro che un teologo possa fare cattivo o anche pessimo giornalismo, altrettanto può accadere ad un bravo giornalista di cadere vittima – e di farsi paladino – di una cattiva o anche pessima teologia. Voglio allora continuare il dialogo con A. M Valli, che considero giornalista attento e competente, al quale ho sempre riconosciuto autorevolezza di cronaca e di informazione, segnalando che nel suo intervento di “replica” (https://anticattocomunismo.wordpress.com/2016/06/02/misericordia-e-giudizio-i-nodi-al-pettine/) alle mie obiezioni, in realtà egli non replica affatto ai miei argomenti di contestazione, ma continua nelle sue narrazioni di disagio, che tuttavia appaiono sostenute da ragionamenti troppo fragili e approssimativi, perché basati su pregiudizi dovuti ad una lettura teologica del pontificato di Francesco del tutto inadeguata, falsa e profondamente fuorviante. Quando dico falsa non metto in dubbio le reazioni di Valli, ma la pertinenza a Francesco di quello che Valli sente come disagio.

In particolare vorrei segnalare 6 pregiudizi, cui Valli attribuisce autorevolezza, ma che restano fraintendimenti gravi e non giustificati, dipendenti da stereotipi teologici che da decenni cerchiamo faticosamente di superare. Un giornalista può ovviamente ignorare tutto questo travaglio della teologia, ma non dovrebbe mai arrivare a desumere dalle sue categorie vecchie e inadeguate un giudizio sulla (presunta) inadeguatezza del papa, di un teologo con Scannone o del teologo e card. Schoenborn. Il problema è che Valli non riesce ad ascoltarli davvero, ma proietta su di loro solo le sue legittime paure, alimentate da un diffuso antimodernismo e da una nostalgia pervasiva, che inficia tutta la sua analisi.

Considero 6 stereotipi-chiave del suo discorso:

a) Una ricostruzione del pontificato di Francesco del tutto unilaterale e falsa (e per converso una proiezione sui papati precedenti di ciò che non si comprende del papato attuale)

Ognuno può esprimere liberamente tutte le opinioni che desidera. Ma quando le argomenta, deve riferirsi alla realtà, non ai suoi incubi. Se si ricostruisce il pontificato di Francesco come perdita di riferimento alla verità e attenzione solo al soggetto, allora si è già decisamente varcato il limite della definitiva incomprensione. Se poi, si mette a paragone questa caricatura, con l’altra caricatura, ossia quella di un predecessore solo equilibrato, attento e prudente, allora il pasticcio diventa irrimediabile. Qui bisogna dire con grande chiarezza che le cose stanno esattamente al contrario. Noi veniamo da 30 anni in cui progressivamente si è erosa ogni possibilità di “discernimento” per affermare soltanto “valori e verità oggettive” su cui si è appiattito il Vangelo, per paura e per diffidenza. Francesco, che ha ereditato questa pesantissima eredità, ha semplicemente recuperato, accanto ai principi e alle norme generali, le relazioni e i casi particolari. Questa è la posizione equilibrata e prudente, mentre ci eravamo tutti abituati allo stile drastico dell’”aut-aut, del quale Valli sembra diventato un nostalgico piuttosto acceso.

b) Una comprensione del rapporto tra dottrina e pastorale come “deduzione”

Anche su questo versante, ossia nel rapporto tra dottrina e pastorale, Valli ripete gli stereotipi di una visione intellettualistica e metafisica che è superata dalla storia e dalla evidenza da almeno 50 anni. Certo, citando selettivamente Ratzinger e Biffi, o prendendo le definizioni da wikipedia, ci si sente rafforzati nel proprio sdegno. Ma a quale prezzo? Chi ha sostenuto queste tesi ha avuto la coerenza di trarre le ultime conseguenze di quel progetto, e si è dimesso. Avrebbero un tantino di quella coerenza coloro che pensano che le dimissioni di Benedetto XVI siano soltanto una “debolezza”, mentre sono state la sua vera forza? La dottrina, se vuole essere “nutriente”, deve farsi pastorale, altrimenti è lettera vuota, diventa pietra e ossessione idealizzata. E per questo si fa aggressiva e violenta. Affermare che “senza dottrina la pastorale è cieca” è un modo per riportare le questioni a prima del Vaticano II: ho la sensazione che Valli di tutto questo non sia affatto consapevole.

c) Un uso dei concetti di “legge”, “coscienza” “giudizio”, “giudizio universale” e “indulgenza” troppo superficiale

Nel suo scritto di replica Valli infarcisce il testo di definizioni, implicazioni teoriche, catechistiche e pastorali spesso del tutto fuori controllo. Se parlo del “giudizio” – solo per criticare la nota frase di buon senso con cui Francesco ha detto “chi sono io per giudicare” riferendosi al giudizio morale sul comportamento di un collaboratore – e lo associo al “giudizio finale”, faccio un sonoro pasticcio, che confonde solo le acque e impedisce di elaborare una vera opinione fondata. Altrettanto si deve dire del modo disinvolto con cui i concetti di “legge” o di “coscienza” vengono usati, mettendo in concorrenza ciò che invece deve collaborare. Il merito di Francesco è di aver riaperto la relazione tra legge e coscienza, non quello di aver affermato la seconda contro la prima. Far credere che sia come non è appare come un pessimo servizio alla comunicazione alla informazione. Per non dire delle “indulgenze” che Valli tratta come “prova” di una scarsa sensibilità escatologica di Francesco, non comprendendo né l’istituto della indulgenza né il documento di Francesco. Non ha mai scoperto, Valli, che il testo fondamentale sul “giudizio finale” è Matteo 25? Ha mai sentito dire che “anticipare il giudizio finale” è una tipica pretesa delle sette e dei fondamentalisti e che la differenza tra giudizio finale e giudizio attuale è custodita dalla prudenza ecclesiale e non dalla fretta dei moralisti?

d) Una assunzione sbagliata e distorta del concetto di “società liquida”, coniato da Bauman per descrivere la realtà, non per giudicarla.

Anche il tono con cui Valli parla della “società liquida” è direttamente trascritto dal registro apologetico più classico, nel quale la modernità viene confusa con il demonio. Oggi non si dice più “società moderna”, ma “liquida” per formulare lo stesso giudizio. Ha mai pensato, Valli, che la società ha cominciato a diventare “liquida” quando ha riconosciuto una pari dignità a tutti i cittadini? Quando ha superato la schiavitù? Quando ha riconosciuto anche alle donne una pari dignità rispetto ai maschi e alle mogli rispetto ai mariti? Ha mai sentito parlare del fatto che tutte queste grandi conquiste il mondo moderno ha dovuto farle quasi sempre “nonostante la Chiesa cattolica”? E non sarebbe l’ora di ammettere le proprie responsabilità – come Francesco fa apertamente in AL e in altri contesti – e smetterla con questo paternalismo insopportabile verso tutto e verso tutti?

e) Una lettura “pre-moderna” della questione pedagogica (in famiglia e nella società civile)

Anche su un altro punto vorrei segnalare a Valli una questione di fondo: la richiesta di pedagogia, che egli solleva a ragione, non può certo rivolgerla a Francesco o a Schoenborn. Ma lo capisco, perché anche in questo campo egli è rimasto ad una concezione della tradizione cattolica e della relazione tra Chiesa e mondo precedente a Dignitatis Humanae, che sancisce la libertà di coscienza come conquista comune di tutti gli uomini e donne. E l’errore è di ripetere, come spesso fa Valli, che Francesco difende il diritto e non il dovere. Questa è una grave menzogna, che non corrisponde né alle parole di Francesco né alla coscienza ecclesiale comune, ma che ripete le parole ossessive dei tradizionalisti e dei reazionari, che conoscono solo opposizioni. Francesco riscopre il “dono delle fratellanza”, che abbiamo ricevuto in Cristo, e a partire dal quale appaiono chiari, ma complessi, tutti i doveri e tutti i diritti. Il punto di partenza non è un “obbligo”, ma un “dono”. Questa è la novità del Vaticano II, con cui Valli non sembra precisamente sintonizzato.

f) La metafora del padre assente…

La sorpresa maggiore mi è venuta dalle considerazioni conclusive in cui Valli-padre si mette a paragone di Francesco-padre e quasi lo rimprovera di non saper educare i propri figli. Qui, a me sembra, si va oltre il segno e si cade – mi si perdoni – quasi nel ridicolo. La esperienza paterna deve far crescere figli coscienziosi. Per farlo occorre anche la legge, senza alcun dubbio. Ma l’uso della legge, se non si vuol essere padri-padroni, non è senza discernimento. Ad un figlio che rientra non alle 23, ma alle 2.40 del mattino, si chiede ragione, ma non si applica la “legge oggettiva”, mai. Può aver perso tempo a cantare, può aver avuto un incidente, può aver aiutato un compagno che si sentiva male, può aver litigato con la fidanzata…i casi sono molti, anche se la legge è una. Orienta al bene ma non è il bene. Ci sono casi in cui un figlio “deve disobbedire alla legge (paterna)” se vuole crescere in coscienza. Valli ha certamente fatto queste esperienze da padre, ma non capisco perché qui le vuole rimuovere e negare: solo per accusare più facilmente Francesco sulla base di categorie inadeguate?

Alla fine, la questione che Valli solleva non riguarda né Francesco, né Scannone, né Schoenborn, ma i preconcetti mediante i quali lui non riesce proprio ad ascoltarli. Se si impongono categorie tradizionalistiche – che oppongono legge e coscienza, giudizio storico e giudizio finale, – e lo si fa in modo “non cattolico”, non secondo l’et-et, ma con la nostalgia dell’aut-aut, il risultato è che il testo di Valli mi sia diventato noto, con pingback sul mio blog, non dal suo sito e blog, ma dal blog www.anticattocomunismo… Se fossi in Valli, inizierei a preoccuparmi, e a verificare le categorie con cui pretende di giudicare papa, cardinali e teologi. Forse i loro testi non lo convincono solo perché parlano diversamente da come lui crede dovrebbero parlare, avendo consultato finora fonti poco affidabili o troppo superficiali. D’altra parte, se per interpretare i testi di Francesco, Valli continuerà a prendere per buone le caricature tradizionalistiche e non le realtà effettive, finirà per trovarsi in buona compagnia solo degli oltranzisti, che non sono disposti ad ascoltare e leggono tutto con le opposizioni tra bianco e nero. Ma a me risulterebbe comunque strano che un cattolico vero e un giornalista sensibile come A.M. Valli preferisca le cattive idee alle buone realtà.

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