Benedizione di coppie omosessuali e bene comune: le ragioni di una antica sapienza


fedi nuziali

E’ legittimo chiedersi se la “comunione di vita e di amore” possa essere una vocazione che riguarda anche la relazione tra soggetti dello stesso sesso. Se fosse questo il caso, non sarebbe possibile benedire le persone ed anche la loro relazione d’amore, per quanto essa non possa essere naturalmente aperta alla generazione biologica (ma senza escludere una generazione spirituale, pedagogica e relazionale)? Questo è un orizzonte che oggi possiamo considerare in modo nuovo. Se la fedeltà alla relazione e la indissolubilità del legame non creano problemi, diverso è il caso per la fecondità, il cui bene può essere riferito ad una coppia omosessuale solo se si esce dalla sfera strettamente riproduttiva, e si considera invece la omoaffettività come una sfera non estranea alla generatività e alla fecondità pedagogica e sociale, esistenziale e relazionale.

Queste considerazioni generali, che pure possono essere condivise, poco aiutano a risolvere la questione della benedizione, sul cui “divieto”, rispetto alle coppie omosessuali (ma anche alle coppie eterosessuali irregolari), la argomentazione del recente “Responsum”1 risulta contorta e non appare lineare:

 a) Sacramento e sacramentale non sono identici

La benedizione assimilerebbe la unione omosessuale ad un sacramento, essendo la somiglianza al sacramento la logica dei sacramentali. Ma questa censura si basa su un argomento classico, che viene usato in modo capovolto: il sacramentale è simile ad un sacramento, ma non è un sacramento. Perciò si censura una somiglianza imputandole di indurre a ritenere che ciò che è simile sia identico al sacramento. La somiglianza, infatti, nella sua radice teologica più radicale, non implica una identità, anche se impone una non-estraneità.

 b) Benedizione di cose e persone, non di “valori”

Sarebbe possibile benedire il singolo soggetto, ma non la unione: essendo la unione considerata un peccato, se ne deduce che il peccato non possa essere mai benedetto. Anche in questo caso, tuttavia, se vi è una dimensione che non permette di parlare di matrimonio, ma solo di “coniugio”2 per la coppia omosessuale, questo non significa che la relazione omosessuale non sia priva di beni da benedire. La riduzione della identità omoaffettiva a “disordine”, come strategia dottrinale che pretende di desumere la intrinseca malvagità della relazione omoaffettiva, sulla base della “mancanza di alterità costitutiva”, che renderebbe la relazione una “non-relazione”, procede da un assunto “a priori” in cui si confonde il dato rivelato con il pregiudizio3. Si possono benedire non solo le persone con identità omoaffettiva, ma anche le relazioni omoaffettive nella misura in cui sono, contro il pregiudizio avverso, esperienze di alterità, di comunione di vita, di fedeltà e di servizio. Una teoria generale della omoaffettività come “autocompiacimento” – così come si desume dal testo di Homosexualitatis Problema (1986) – non può aspirare ad alcun primato nel giudizio sulla realtà. Il magistero deve essere riconosciuto autorevole non in quanto parla, ma in quanto resta al servizio della correlazione inesauribile di Parola di Dio ed esperienza degli uomini e delle donne (GS 46).

 c) Benedizione e “sostanza” del legame

Emerge una curiosa contraddizione: da un lato la benedizione nuziale non farebbe parte della “sostanza” del sacramento del matrimonio, fondato sul vincolo che scaturisce dal consenso di soggetti legittimi, ma può essere invece utilizzata “in positivo”, per escludere una lettura ecclesiale della unione omosessuale. Una benedizione di una coppia che non genera figli, ma che genera amicizia, accoglienza, gioia, speranza ed eventualmente adozione, come può essere esclusa dalla logica del benedire ecclesiale? Se vive la comunione di vita e di amore, la fedeltà e il legame stabile, come può non essere riconosciuta un bene non solo possibile, ma già reale? Per quale singolare alleanza tra pregiudizio e ipocrisia si può svalutare la benedizione fino alla irrilevanza, nella ordinaria amministrazione ecclesiale, salvo poi farla diventare una “sovrana epifania sacramentale” quando si tratta di negarla, per non offrire precedenti scandalosi (scandalizzati dal pregiudizio) in vista del riconoscimento della realtà?

 Il ricorso, esclusivo per le coppie omosessuali, alla possibilità di “benedire le singole persone”, ma la esclusione della benedizione del legame tra le persone, mette un velo di censura sulla lunga tradizione che ha benedetto solo l’anello della sposa dopo il consenso e solo la sposa nella unione. Questa tradizione benedice solo “una persona”, in quanto futura madre e moglie. La impossibile benedizione è oggi il riflesso indiretto della impossibile generazione. Ed è la forma più implicita, ma più pesante, di identificazione della unione legittima solo ed esclusivamente con la unione che genera. Tuttavia la decadenza obiettiva e salutare di una teologia del matrimonio tutta concentrata sul “bonum prolis”, senza nulla togliere al valore comunitario e personale della generazione, rende possibile valorizzare la ipotesi di una benedizione delle “persone omosessuali”, considerate nel loro legame di fedeltà, di comunità di vita e di stabilità di rapporto, che non si può trascurare né come bene personale, né come bene comunitario. Le persone, che si legano stabilmente, nella loro concretezza, sono il bene da benedire. Che in una unione omosessuale vi sia anche un bene comune che la Chiesa può/deve riconoscere, permette di capovolgere l’argomento classico della teologia degli ultimi 50 anni: è per il bene comune che possiamo benedire le unioni omosessuali, non solo per il bene dei singoli. Una nozione di “legge” che non identifichi il bene pubblico con la società chiusa emerge come una crescita di tono e di lucidità, oggi disponibile alla attenzione del linguaggio ecclesiale. D’altra parte, la normativa civile ha già cambiato il rito del matrimonio, trasformando l’anello della sposa in “scambio degli anelli” e la benedizione della sposa in benedizione degli sposi. Perché dovremmo sorprenderci che la normativa sulle unioni omosessuali non incida sul modo ecclesiale di benedire?

 Una riflessione radicale sull’oggetto della benedizione nuziale permette di purificare lo sguardo e di raffinare il tatto, di rendere l’orecchio più sensibile e il naso meno schizzinoso. Per salvare il fenomeno della benedizione nuziale, in tutte le sue applicazioni passate, presenti e future, non è possibile farne, allo stesso tempo, un accessorio superfluo o una dichiarazione sostanziale. La benedizione non può essere un “accidente non necessario” per il matrimonio eterosessuale e una “sostanza vietata” per il coniugio omosessuale. Se la teologia gioca con le parole, anche con le migliori intenzioni, si prende gioco della tradizione, la stravolge, la strumentalizza e la tradisce, riducendola ad un piccolo o grande martello, con cui può colpire il nemico di turno. Ma la tradizione non è un martello, bensì una lampada, che può illuminare anche il nostro presente e il futuro comune.

1Cfr. il Responsum della Congregazione per la Dottrina della Fede ad un dubium circa la benedizione delle unioni di persone dello stesso sesso, del 15.03.2021, che si può leggere al linkhttps://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2021/03/15/0157/00330.html, accesso 25 maggio 2022.

2Cfr. C. Scordato, Chiesa cattolica e “coniugio omosessuale”: realtà e possibilità, in A. Grillo – C. Scordato, Può una madre non benedire i propri figli? Unioni omoaffettive e fede cattolica, Assisi, Cittadella, 2021, 57-84.

3Per una considerazione teologica della questione cfr. A. Grillo, Cattolicesimo e (omo)sessualità. Sapienza teologica e benedizione rituale, Brescia, Morcelliana, 2022.

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