Dibattito sul diaconato femminile (/6): La “diaconissa” nella chiesa latina medievale (C.U. Cortoni)
Il riscontro storico costituisce un campo di inaggirabile interesse per giustificare un riconoscimento della autorità femminile nella Chiesa di oggi. Questo scritto del prof. Cortoni, che insegna Teologia dei Sacramenti nel Medioevo presso il Pontificio Ateneo S. Anselmo, scandaglia un periodo poco studiato e capace di fornire preziose indicazioni sulla storia del ministero ecclesiale in rapporto ai soggetti maschili e femminili. E approda al fecondo riconoscimento secondo cui “ogni progetto di riforma della chiesa appartiene alla tradizione di una chiesa attenta ai segni del suo tempo”.
La diaconissa nella chiesa latina medievale
di Claudio Ubaldo Cortoni
Nelle chiesa latina è possibile trovare testimonianze della presenza di un diaconato delle donne, anche se non viene sempre precisata la forma con il quale era esercitato. Tale considerazione, che trova fondamento sulla serie di azioni disciplinari messe in essere dalla chiesa sin dai sinodi merovingi per scoraggiarne la consuetudine, lascia in ombra un serie di riflessioni che precedono qualsiasi altro tipo di considerazione sul diaconato conferito alle donne: prima fra tutte l’impossibilità di sovrapporre la teologia del diaconato, quale oggi abbiamo1, al progressivo sviluppo che ha interessato la teologia dei sacramenti nel Medioevo2; in secondo luogo il lungo processo di riforma della chiesa medievale che prevedeva sin da subito la ricerca di una uniformitas liturgica e disciplinare, alla quale era associata anche il celibato del clero.
In quest’ottica risulta chiaro come la diaconissa potesse essere sovrapposta alla figura della moglie del diacono, che poteva dunque coadiuvare il marito nel suo ministero, la quale in seguito venne assorbita nell’ordine delle vedove, più per un motivo riconducibile al divieto fatto alle vedove di contrarre un secondo matrimonio, il che rifletteva il tentativo di stabilire per il clero, e più in generale per qualsiasi forma di vita religiosa, la legge celibataria. Allo stesso modo con lo sviluppo di comunità monastiche femminili, il diaconatoabilitava alcune consorelle a leggere la lettura dell’epistola o a proclamare il vangelo in assenza del presbitero, fino a sovrapporsi in ultimo alla figura della badessa in quanto serva della comunità.
In ogni caso il tentativo di ridurre la presenza di diaconissae è accompagnato da un divieto che riguarda la benedizione o l’ordinazione a diacono di donne: anche questi verbi, che potevano abilitare a diverse funzioni il ministro, specialmente nella chiesa altomedievale, non possono essere facilmente ricondotti ad un significato univoco.
Dal glossario alla realtà storica
Cercando rapidamente il lemma diaconissa o diacona nel Glossarium mediae et infimae latinitatis di Du Cange, nelle sue numerose riedizioni e revisioni, si osserva come il significato possa oscillare da «moglie del diacono, come la presbitera, è la moglie del presbitero», e quello di abbatissa3. Pur sembrando una limitazione rispetto ad alcune tradizioni osservate in chiese particolari dell’Oriente cristiano, questi due significati assunti da diaconissa,lungo un arco cronologico compreso tra il VI e il XII secolo, rappresentano il risultato di un lungo processo che vede limitare la diaconia ministeriale della donna, ma anche quella dell’uomo a partire dal sec. X, all’interno della chiesa latina. Tale processo è imputabile alla ricerca di una precisa uniformitas disciplinare e liturgica, iniziata con i sinodi merovingi, proseguita con la riforma carolingia4, e consolidata attraverso le riforme gregoriane dall’XI al XIII secolo, il cui interesse primario era quello di riformare la vita del clero e allo stesso tempo di fissarne compiti e competenze all’interno della chiesa stessa.
Il ruolo della donna nella chiesa finisce, infatti, per subire le tensioni nate all’interno della chiesa latina altomedievale sul diritto del clero di prendere moglie, sino all’imposizione della legge celibataria al Laterano II (1139), con il risultato che la moglie del presbitero, appunto la presbitera, venne chiusa in convento, ridotta a serva o tollerata come concubina5.
L’eredità dei concili merovingi nella canonistica bassomedievale
Uno dei problemi spesso sottovalutati nella ricostruzione storico-teologica del diaconato delle donne nella chiesa latina è la ricezione di alcuni concili merovingi nell’elaborazione della canonistica bassomedievale.
La prima questione è l’assorbimento del diaconato in un ordine di vedove decretato al concilio di Epaon del 517 e di Orléans II del 533. Al concilio di Epaon, oggi Saint-Romain-d’Albon, al can. 21 è fatto esplicito divieto di ordinare quelle vedove che vengono chiamate diaconesse6, mentre al concilio locale di Orléans II al can. 17 non si parla più di vedove ma di donne [feminae], alle quali è negata la comunione nel caso in cui, ricevuta la benedizione diaconale, fossero ritornate alla vita coniugale, sino a proibirne al can. 18 la benedizione diaconale a causa della fragilità della condizione femminile appoggiandosi sull’autorità di Ambrogio di Milano. Questi due concili sono preceduti dal divieto fatto al can. 13 di Orléans I del 511 che le vedove di un presbitero o di un diacono contraggano un secondo matrimonio con un ecclesiastico, e al can. 29 il divieto per i chierici di frequentare donne, dovuto in gran parte al tentativo di imporre il celibato al clero.
Ma nonostante tutto ancora al concilio di Vaison del 529 al can. 1, pur venendo elogiati quanti tra il clero non contraggono matrimonio, sono ammesse le nozze per i chierici a causa della fragilità della carne.
Se consideriamo attentamente le fonti usate da Du Cange ci accorgiamo che il significato di diaconessa, come moglie del diacono, compare al concilio di Tours del 567, i cui canoni vengono sottoscritti per ultimo da Mansueto vescovo dei Britanni, ovvero dei Bretoni d’Armorica7, rappresentante di una tradizione ecclesiale che conosceva una diaconia della donna, attraverso le conhospitae8, a lungo combattuta dalla chiesa merovingia.
Nonostante la reiterata proibizione ad ordinare diaconesse per la maggior parte dei concili merovingi, la questione venne ripresa anche nella chiesa carolingia che al concilio di Worms dell’867 riprende e conferma la validità del can. 15 di Calcedonia che riconosceva ad una donna, che avesse raggiunto l’età di quarant’anni, di accedere al diaconato, prevedendo come appropriato al loro nuovo stato nella chiesa il divieto di contrarre matrimonio.
Nella Collectio canonum in V libris del sec. XI viene appunto ripreso questo dato accogliendo come exempla i canoni del sinodo di Laodicea del 363 ca. e del Codex Iustinianus9,il punto in questione rimane l’età canonica per far accedere una donna al diaconato, tra i quaranta e cinquanta anni, e il fatto che non sia già stata sposata una seconda volta o che contragga matrimonio dopo l’ordinazione10.
Nel sec. XII si ritorna sulla questione nel Decretum Gratiani, nel quale elencando l’età canonica per accedere ai vari ministri, il presbitero, il diacono, il suddiacono e il lettore, si aggiunge non vengano consacrate tra le diaconesse della sacrosanta chiesa, quelle che non abbiano raggiunto i quaranta anni, e che non abbiano contratto secondo matrimonio11. Il testo suggerisce una completa sovrapposizione delle diaconissae all’ordine delle vedove, soprattutto per quanto riguarda l’età e il divieto di contrarre matrimonio dopo l’ordinazione, sulle funzioni non viene specificato, il dato interessante però è che viene presa in considerazione nel medesimo canone che riguarda gli altri ministri.
Nel Decretum Gratiani ritroviamo l’esempio della peccatrice Maria [Maddalena], la quale neppure dopo la conversione, divenuta santa e casta, venne annoverata tra le diaconossae, dopodiché vengono portati tutti i casi, tra cui quello della simonia, in cui un vescovo, un presbitero o un diacono non sono trovati degni di essere annoverati tra coloro che hanno ricevuto il sacerdozio. Interessante notare come in questo caso il parallelo tra la peccatrice convertita ma non ammessa tra le fila delle diaconissae avrebbe dovuto sostenere il parallelo tra il ministro ordinato e l’indegnità del sacerdozio ricevuta con l’ordine a causa della simonia o altro12.
L’abbatissa-diaconissa in Abelardo
Allo sviluppo della canonistica risponde anche quello della riflessione teologica, la quale oltre alla proibizione di ordinare diaconissae affermato da Attone di Vercelli nel sec. X13, durante il quale anche il diaconato degli uomini viene ridotto nelle sue funzioni. La questione intorno alla figura della diaconissa viene rilanciata da Abelardo, impegnato per lungo tempo nella definizione di una nuova regola di vita per la comunità monastica presieduta da Eloisa.
Il fatto che vi fossero delle diaconissae nei monasteri non doveva costituire alcun problema per Abelardo e in genere per la chiesa del suo tempo, dato che la consacrazione a Cristo prevedeva già la castità e un età precisa per accedere alla professione. Quest’ultima prevedeva per il mondo femminile due riti: quello della consacrazione delle vergini, con i simboli del velo e dell’anello, e quell’altro della benedizione delle diaconesse, con la consegna della stola e del manipolo. Si ha una fusione dei due riti nell’antica tradizione del monastero di Prébayon, fondato nel 611, passato nel 1145, appena tra anni dopo la morte di Abelardo, alla regola dei certosini divenendone il primo nucleo delle monache certosine. In questa nuova tradizione alla monaca professa si aggiunge la monaca consacrata, che indossa stola e manipolo nel giorno della sua consacrazione, nel giubileo e nell’ora della sua morte. Le insegne che indossa le conferivano il privilegio di leggere l’epistola durante la messa e di cantare il Vangelo in assenza del sacerdote durante l’ufficio notturno.
In questo contesto va compreso quanto Abelardo scrive sulla diaconessa, nel caso di Eloisa sovrapposta all’ufficio di badessa, in particolare la lettera VII sull’autorità e la dignità dell’ordine delle monache, che ripercorre tutto quanto la chiesa latina medievale poteva conoscere della diaconia delle donne da quella ministeriale alla sovrapposizione altomedievale della diaconissa tardoantica all’ordine delle vedove, rivelando al contempo anche la problematicità di una riforma della chiesa centrata soprattutto sulla riforma del clero, lasciando ogni altra forma di vita religiosa ad una espressione personale o di gruppo disciplinata solo al Laterano IV del 1215. Allo stesso tempo la sovrapposizione tra l’abbatissa e la diaconissa, ma più in generale la sopravvivenza delle diaconesse tra le nascenti realtà monastiche femminili,suggerisce la sopravvivenza di strutture simboliche e funzioni liturgiche proprie delle diaconesse tardoantiche.
Infine di grande interesse è quanto Tommaso d’Aquino scrive sulla diaconessa nel commento alle Sentenze di Pietro Lombardo, che conferma un intero percorso compiuto dal diaconato lungo tutte le riforme che hanno attraversato la chiesa medievale:14
Sed diaconissa dicitur quae in aliquo actu diaconi participat, sicut quae legit homiliam in Ecclesia; presbytera autem dicitur vidua, quia presbyter idem est quod senior.
Quanto afferma Tommaso sulla funzione della diaconessa rientra perfettamente nella prospettiva nella quale era stata ormai inserita dalla tradizione teologica precedente, come nella Summa de arte praedicandi di Tommaso di Chobham (ca. 1160-1233) discepolo a Parigi di Pietro il Cantore, nella quale le monache che hanno il compito di predicare sono chiamate diaconissae.
I documenti raccontano una storia complessa
Riassumere non è semplice e trarre conclusioni potrebbe voler dire chiudere troppo presto la riflessione su una storia che incrocia la condizione della donna e gli innumerevoli tentativi di riforma della chiesa, che spesso sono coincisi con un restringimento della sua ministerialità, ma che dopo tutto, in modi inaspettati e soprattutto trasversali, hanno mantenuto la memoria almeno simbolica di una antica tradizione. Ad una domanda forse ancora oggi dobbiamo rispondere prima di poter entrare nel merito della questione: ogni riforma, almeno medievale, è intervenuta su un preciso modo di essere chiesa e contemporaneamente, nell’attuarsi, ha dato origine ad una nuovo modo di sentirsi chiesa, dalla metafora altomedievale del corpo alla società dei Decretalisti. Oggi quale chiesa si profila davanti a noi debitrice di quella riforma che ha preso corso con il concilio Vaticano II? Pongo questa domanda certo che ogni progetto di riforma della chiesa appartiene alla tradizione di una chiesa attenta ai segni del suo tempo.
1 Cf. K. Rahner,«Cosa dice la teologia sul ripristino del diaconato», in saggi sui sacramenti della teologia e sulla escatologia, 307-395.
2 Cf. B.-U. Hergemöller, «Diakon, Diakonat», in Lexikon des Mittel Alters, 3, Atremis Verlag, München-Zürich 1986, 941-943; R. Messner, «Sakrament/Sakramentalien», in Lexikon des Mittel Alters, 7, Atremis Verlag, München-Zürich 1995, 1267-1272.
4 Cf. il saggio di S.F. Wemple,Women in Frankish Society: Marriage and the Cloister, 500 to 900, Universityof
Pennsylvania Press, 1981.
5 Cf. A. Valerio, «Donne», in Dizionario Enciclopedico del Medioevo, 1, edd. A. Vauchez, C. Vincent, C. Leonardi, Cerf, Città Nuova, James Clarke & Co. LTD, Paris, Roma, Cambridge, 1998, 593-594.
6 Cf. Les canones des conciles mérovingiens (VIe-VIIe siécles), 1, edd. J. Gaudemet, B. Basdevant, (SC 353), Cerf, Paris 1989, 110-111.
7 Cf. R.W. Mathisen, Barbarian Bishops and the Churches in Barbaricis Gentibus During Late Antiquity, in Speculum 72 (luglio 1997) 667.
8 Ruolo e funzioni delle conhospitae sono stati largamente studiati cf. G. Otranto,Italia meridionale e Puglia paleocristiane: saggi storici, EDIPUGLIA, Bari 1991, 114; Mary M. Schaefer,Women in Pastoral Office: The Story of Santa Prassede, Rome, Oxford University Press, New York 2013, 147;
9 Cf. Collectio canonum in V libris (lib. 2,198,1 ): «DE ORDINATIONE DIACONISSAE. Ex concilio Laodicensi. Diaconissa ante XL annum aetatis merito non ordinetur. Et si post ordinationem maritum acceperit, anathema sit. DE DIACONISSIS. Iustinianus rex. Diaconissas autem creari constitutio praecepit L annorum aetatem agentes ita tamen ut uirgines sint uel si unum tantummodo maritum habuerint. Sin autem mulier propter aliquam necessitatem minor L annis diaconissa facta fuerit non liceat ei alibi degere quam in assisterio sanctimonialium mulierum ubi neque mares conuersantur uiuere liceat ei quomodo uelit. Nulla autem facultas diaconissis attributa est habere quosdam se cum, nisi fratres, siue cognatos uel quos dicere solent agapetos id est dilectos. Nam diaconissae super se habitare debent et nullum alium admittere se cum nisi reuera fratrem»; CChCM 6 (M. Fornasari, 1970).
10Collectio canonum in V libris (lib. 2,66,3): «Si osculatus est episcopus per desiderium mulierem id est aut sanctimonialem uel uxorem alterius siue sororem seu cognatam commatrem uel matrem de sacro fonte uel filiam spiritualem, diaconam siue presbyteram uel qualemcumque quae statuta seniorum laica coniunctione tenetur detestabilis si praeter coinquinationem LXX dies poeniteat episcopus, presbyter L, diaconus et monachus XL, subdiaconus XX, clericus uel laicus X»; CChCM 6 (M. Fornasari, 1970).
11Decretum magistri Gratiani [Concordia discordantium canonum] (p. 1, d. 78, c. 2): «Nemo presbiter consecretur, qui minor triginta annis sit; nemo diaconus uel subdiaconus fiat, qui minor uigintiquinque annis sit; nemo lectoribus connumeretur, qui minor decem et octo annis fuerit; nemo inter diaconissas consecretur sacrosanctae ecclesiae, que minor sit quadraginta annis, uel ad secundum matrimonium peruenerit»; ed. E. Friedberg, 1879 (= Corpus iuris canonici, pars prior), 275; Decretum magistri Gratiani [Concordia discordantium canonum] (p. 2, c. 27, q. 1, c.23): «C. XXIII. Diaconissa, que post ordinationem nubit, anathema sit. Item ex eodem. [c. 15]. Diaconissam non debere ante annos quadraginta ordinari statuimus, et hoc cum diligenti probatione. Si uero susceperit ordinationem, et quantocumque tempore obseruauerit ministerium, et postea se nuptiis tradiderit, iniuriam faciens gratiae Dei, hec anathema sit cum eo, qui in illius nuptiis conuenerit. C. XXIV. Inter bigamas reputantur qui uirginitatem pollicitam preuaricantur. Item ex Sinodo Anchiritana. [c. 18]. Quotquot uirginitatem pollicitam preuaricatae sunt professione contempta, inter digamos, id est qui ad secundas nuptias transierunt, haberi debent. C. XXV. Virginibus Deo dedicatis nec in fine danda est conmunio, si libidini seruierint. Item ex Concilio Elibertano. [c. 13]. Virgines, que Deo se dedicauerunt, si perdiderint pactum uirginitatis, atque eidem libidini seruierint, non intelligentes quid amiserint, placuit nec in fine dandam eis esse conmunionem»; ed. E. Friedberg, 1879 (= Corpus iuris canonici, pars prior), 1055, 23.
12Decretum magistri Gratiani [Concordia discordantium canonum] (p. 1, d. 78, c. 2): «Nouimus primum peccatricem Mariam; post conuersionem, quamuis sancta et casta, tamen inter diaconissas conputata non est. Sed quid hoc dico? Sequens sanctos apostolos et uenerabiles Patres cum omni fiducia clamo: Quod qui per symoniam ordinatus est, siue episcopus, siue presbiter, siue diaconus, alienus est a sacerdotio, neque enim uenalis est gratia Spiritus sancti; Cayphae traditio et adinuentio Symonis a sancto sacerdotio est aliena»; ed. E. Friedberg, 1879 (= Corpus iuris canonici, pars prior), 1055, 23.
13 Cf. S.F. Wemple, Atto of Vercelli. Church State and Christian Society in Tenth Century Italy, (Testi e Temi 27), Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1979.
14 Thomas de Aquino, In IV Sententiarum, Dist. 25, q. 2, art. 1, quaes. 1.
Interessante disamina dove si nota da subito l’ovvia conclusione. Hanno cambiato allora, perchè non cambiare oggi? E’ così semplice, così in linea “con il nuovo paradigma della Chiesa neoconciliare”.
Nel mentre tanti cristiani vengono trucidati a causa del Santo Nome di Gesù, ma noi ci balocchiamo in facezie teologiche, pronti anche a rinnegare la nostra fede per piacere al mondo o ad altre credenze. La risposta, paradossalmente è racchiusa in una noticina tanto dottamente citata dal sullodato professore (bisogna sempre stare attenti alle note, da AL in poi…): “Cayphae traditio et adinuentio Symonis a sancto sacerdotio est aliena”. Traduco per Grillo, che evidentemente ha bisogno di studiare: noi, con un falso sacerdozio di stile templare non abbiamo nulla a che fare. E chi ha orecchie per intendere intenda.