Era un samaritano
XXVIII domenica del Tempo ordinario C
LETTURE: 2 Re 5, 14-17; 2 Tm 2, 8-13; Lc 17, 11-19
Introduzione
Un ritornello apre il testo del vangelo di questa domenica: «lungo il cammino verso Gerusalemme». Sì, un ritornello, perché Luca segna tutta la seconda parte del suo Vangelo con insistenti riferimenti al fatto che ci si trovi nel viaggio verso Gerusalemme iniziato in Lc 9,51. Tutto accade lungo questo cammino “metafora” di tutta la vita di Gesù e di quelli dei suoi discepoli di ogni tempo, anch’essi sempre in cammino dietro di lui verso Gerusalemme. Siamo tutti sempre in questo cammino. In cammino verso una Gerusalemme che è quella della terra dove si gioca la nostra testimonianza che si modella su quella del Maestro nel dono della vita; in cammino verso una Gerusalemme che è quella del cielo, una città che noi non meritiamo e che non costruiamo con le nostre forze, ma che ci è donata e scende dal cielo, da Dio, adorna come una sposa pronta per lo sposo.
Su questo cammino, che è quello di Gesù e il nostro, si colloca anche l’episodio del Vangelo di questa domenica. Il brano del Secondo Libro dei Re (I lettura) ci introduce alla comprensione del brano evangelico con la narrazione della guarigione dalla lebbra si Naaman il Siro da parte del profeta Eliseo. Dall’incontro con Eliseo nasce la certezza che «non c’è Dio su tutta la terra se non in Israele», così attraverso l’incontro con Gesù si scopre il volto di Dio e la sua presenza nella nostra vita. L’apostolo nella Seconda Lettera a Timoteo (II lettura) esorta a “ricordarsi di Gesù Cristo”. Nella unione con Cristo e nella fedeltà alla Parola sempre nella vita dei credenti si manifesta quella purificazione che nel vangelo hanno sperimentato i dieci lebbrosi incontrando Gesù.
Riflessione
La situazione
La situazione che viene descritta nel brano evangelico è la seguente. I personaggi sono Gesù e dieci lebbrosi. Tutto avviene probabilmente ai margini del villaggio. Infatti da una parte si dice che Gesù stava entrando nel villaggio, dall’altra i lebbrosi non potevano entrare nei villaggi. Ci sono dieci lebbrosi, cioè dieci uomini colpiti da una malattia che per la Bibbia e la cultura antica equivaleva alla morte. I lebbrosi erano come “morti viventi”. Essi vanno da Gesù e gridano a lui, chiamandolo maestro, per ottenere misericordia. A questo punto Gesù ordina loro ciò che la legge comandava di fare ai lebbrosi, cioè di recarsi dai sacerdoti perché verificassero lo stato della loro malattia ed eventualmente venissero reintegrati nella comunità sociale e cultuale. I dieci lebbrosi vanno ma lungo il cammino si accorgono che la lebbra è scomparsa. Uno dei dieci ritorna da Gesù per ringraziarlo, gettandosi ai suoi piedi. Il testo afferma che quest’uomo, che solo era ritornato per ringraziare era un samaritano. Ricaviamo alcuni spunti da questo testo.
Andate a presentarvi ai sacerdoti
Abbiamo detto che ci si trova nel contesto del grande viaggio di Gesù verso Gerusalemme. Durante questo viaggio Gesù incontra anche questi dieci lebbrosi. Dieci uomini segnati da una malattia che li escludeva da ogni rapporto sociale e da ogni pratica religiosa. Nel suo viaggio verso Gerusalemme Gesù incontra l’umanità intera, anche quella umanità segnata in modo indelebile dalla morte, dalla malattia, dalla esclusione, ma lungo questo viaggio ciò che è indelebile per l’uomo viene sanato – scompare – quando si ascolta la parola di Gesù che chiede semplicemente di osservare la Torah, la Parola di Dio.
Infatti Gesù non chiede ai dieci lebbrosi di fare cose nuove, o strepitose. Egli ordina loro di fare semplicemente ciò che tutti i lebbrosi in Israele hanno fatto dalla Legge di Mosè in poi. La novità non sta evidentemente nelle pratiche, nelle norme: non si fa nulla di magico. La novità sta nell’incontro con lui su quella strada che lo conduce a Gerusalemme. Ciò che è indelebile scompare si quando incontra colui che si dona fino in fondo e chiede anche ai suoi discepoli di percorrere quella medesima via. Succede come a Naaman che incontra Eliseo: non gli è chiesto nulla di straordinario, ma semplicemente di lavarsi.
Era un samaritano
Fino alla guarigione si afferma che il gruppo di persone venute da Gesù per chiedere il suo aiuto è un gruppo indistinto. Si suppone siano ebrei dal contesto e dal momento che si rivolgono a Gesù ed egli li manda ai sacerdoti. Gesù incontra sulla sua strada l’umanità ferita e l’umanità ferita è priva di distinzioni. Nella malattia, nel dolore, nella morte tutti sono uguali. In ciò che separa l’uomo dall’uomo e l’uomo da Dio non c’è distinzione di popolo, di religione, di classe sociale. Questa umanità, tutta l’umanità Gesù incontra nel suo cammino verso Gerusalemme.
Ma dopo la guarigione sappiamo che tra quei dieci lebbrosi uno era samaritano, cioè un eretico per il Giudaismo del tempo. Proprio quest’uomo eretico ritorna a ringraziare, mentre degli altri non si dice più nulla. E’ l’universalismo, in questo caso un po’ ironico, di Luca! Proprio colui che è escluso non solo per la malattia, ma anche per la sua origine è colui che torna a ringraziare. Forse gli altri, appartenenti al popolo di Dio, potevano pensare che la guarigione fosse loro dovuta. Forse ritenevano un diritto per loro, che Dio intervenisse per liberarli dalla malattia. Ma solo chi non aveva nessun diritto, nessun privilegio da far valere sa cogliere la gratuità dell’intervento di Dio in Gesù; sa gioire e meravigliarsi perché tutto è grazia.
L’incontro con Gesù fa uscire quell’uomo dall’anonimato e lo ridona al suo popolo, alla sua cultura: gli ridona dignità. Incontrare Gesù non significa rinnegare la propria cultura e la propria storia, bensì riceverla nuovamente liberata da tutto ciò che ci teneva lontano.
Per ringraziarlo
Infine il testo ci mostra l’atteggiamento “ortodosso” di fronte a Dio di questo uomo “eretico”. Sì, egli un eretico assume la voce dei salmi, che nel ringraziamento riconoscono le grandi opere di Dio in favore del suo popolo e di una singola persona. Il ringraziamento che è l’atteggiamento più puro di fronte al dono di Dio. Quando ricevo un dono da qualcuno che è sul mio stesso piano, io posso ricambiare, ma quando è Dio il donatore non potrò mai ricambiare e l’unica cosa che mi resta da fare è ringraziare. Il ringraziamento è l’atteggiamento di chi sa che il dono ricevuto non aspetta un contraccambio, ma riconosce la persona del donatore come colui che dà gratuitamente.
Matteo Ferrari, monaco di Camaldoli