Il sinodo sull’Amazzonia


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All’inizio del libro Un cattolicesimo diverso,[1] avevo indicato il mutamento operato al n° 21 della Costituzione Lumen Gentium per quanto riguarda la natura dell’episcopato e, di conseguenza, del sacerdozio presbiterale. Secondo questo numero, la funzione episcopale è unificata: il sacramento dell’Ordine conferisce al suo titolare una responsabilità globale rispetto alla comunità cristiana, e il “carattere sacerdotale” richiede un’attività unificata: il vescovo deve condurre un popolo sulla strada del vangelo e dunque dell’assimilazione a Cristo, Figlio di Dio, morto e risorto. L’attività pastorale sfocia nella celebrazione del Mistero liturgico e pone il popolo in stato di sacrificio spirituale; reciprocamente, l’azione liturgica permette al popolo questa vita secondo il vangelo che è la sua vocazione. Ho cercato di sviluppare tutto ciò nelle pagine di questo libro. Ho parlato di “mutamento” perché il Concilio, su questo punto, ha preso le distanze rispetto a una posizione presa in precedenza da papa Pio XII. Riporto qui un estratto dei testi.[2]

 

Estratto del discorso di Papa Pio XII al II Congresso dell’Apostolato dei Laici (Assisi 1957) – AAS LIV, 1957

Il Cristo ha affidato ai suoi apostoli un doppio potere: innanzi tutto il potere sacerdotale di consacrare, che fu accordato in pienezza a tutti gli Apostoli; in secondo luogo, quello d’insegnare e di governare, cioè di comunicare agli uomini in nome di Dio la verità infallibile che li impegna, e di fissare le norme della vita cristiana. Questi poteri degli Apostoli passarono al Papa e ai Vescovi. Questi, attraverso l’ordinazione sacerdotale trasmettono ad altri, in una determinata misura, il potere di consacrare, mentre quello d’insegnare e di governare è proprio al Papa e ai Vescovi.

Quando si parla di “apostolato gerarchico” e di “apostolato dei laici”, bisogna tenere conto di una duplice distinzione: innanzi tutto tra il Papa, i Vescovi e i preti da una parte, e l’insieme del laicato, dall’altra; quindi, all’interno del clero, tra quelli che detengono nella sua pienezza il potere di governare, e gli altri chierici. I primi (Papa, Vescovi e preti) appartengono necessariamente al clero. Se un laico fosse eletto papa, non potrebbe accettare l’elezione che a condizione di essere idoneo a ricevere l’ordinazione e disposto a farsi ordinare; il potere d’insegnare e di governare, così come il carisma d’infallibilità, gli sarebbero concessi dall’istante della sua accettazione, prima ancora della sua ordinazione.

 

Estratto dell’intervento al Concilio di Mons. Doumith, vescovo maronita del Libano, nel contesto della discussione del cap. III della Costituzione Lumen Gentium (Discours au Concile, edd. Y. Congar et al. Paris, 1964, 76-79)

La carica dell’episcopato non è ristretta al potere di santificare, al quale sarebbe collegato attraverso un legame stretto il potere di insegnare e di governare, ma comporta egualmente e contemporaneamente i poteri di santificare, insegnare e governare, come emerge chiaramente dalla disciplina antica dei libri liturgici. Tutte le prerogative episcopali dipendono dalla consacrazione stessa. Questo risulta dal fatto che il consacrato, subito dopo la sua consacrazione, esercita la sua funzione senza alcun’altra condizione : consacrato, egli diventa dottore ovvero autentico araldo del Vangelo, pontefice con il potere di ordinarne un altro, diventa pastore e membro del collegio che detiene la successione degli apostoli.

 

Lumen Gentium n° 21

Il santo Concilio insegna quindi che con la consacrazione episcopale viene conferita la pienezza del sacramento dell’ordine, quella cioè che dalla consuetudine liturgica della Chiesa e dalla voce dei santi Padri viene chiamata sommo sacerdozio, realtà totale del sacro ministero. La consacrazione episcopale conferisce pure, con l’ufficio di santificare, gli uffici di insegnare e governare; questi però, per loro natura, non possono essere esercitati se non nella comunione gerarchica col capo e con le membra del collegio. Dalla tradizione infatti, quale risulta specialmente dai riti liturgici e dall’uso della Chiesa sia d’Oriente che d’Occidente, consta chiaramente che dall’imposizione delle mani e dalle parole della consacrazione è conferita la grazia dello Spirito Santo ed è impresso il sacro carattere in maniera tale che i vescovi, in modo eminente e visibile, tengono il posto dello stesso Cristo maestro, pastore e pontefice, e agiscono in sua vece.

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Ora, mi sembra che, nei numeri 109-111, il testo del documento finale del Sinodo per l’Amazzonia confermi la prospettiva stabilita dal Concilio. Riafferma il posto centrale dell’Eucaristia nella vita cristiana. Dice con esattezza che la celebrazione eucaristica è «il punto di arrivo (culmine e consumazione) della comunità; ma è, allo stesso tempo, il punto di partenza: di incontro, di riconciliazione, di apprendimento e catechesi, di crescita comunitaria» (110): è la reciprocità tra il sacrificio spirituale della Chiesa e il suo sacrificio liturgico. Non si può dissociare il momento vitale e il momento liturgico dell’esistenza di una comunità cristiana. Si comprende allora con evidenza che il responsabile del primo momento (pastorale) lo è del secondo (liturgia) e reciprocamente; è quanto dice Lumen Gentium. La conseguenza è che, per quanto nobile, la tradizione canonica del celibato obbligatorio deve cedere il passo, se necessario, all’esigenza di una comunità cristiana al tempo stesso teologale, missionaria e liturgica. Per rispettare la tradizione canonica millenaria della Chiesa, il documento procede con discrezione: riserva l’ordinazione di uomini sposati ai diaconi che abbiano dato prova di sé nel loro servizio, ai quali d’altronde bisognerà dare una formazione adeguata. Tuttavia, malgrado la legittima prudenza nella maniera di fare, il principio è posto. Ciò che è primario nella vita della Chiesa, è l’assimilazione del popolo cristiano al suo Signore, attraverso la vita teologale, missionaria e liturgica. Questo si realizza attraverso il gioco delle virtù e dei carismi, grazie alla sorveglianza, alla moderazione e alla presidenza (moltiplico gli equivalenti delle parole vescovo e anziano) che sono ordinati a tale missione tramite il sacramento. Se papa Francesco conferma tali disposizioni, avrà ristabilito l’ordine dei valori: prima la vita della Chiesa in tutte le sue dimensioni servita tramite il ministero episcopale (sacerdotale), poi, eventualmente ma non necessariamente, in ragione di una chiamata particolare, il celibato per questo servizio. Il santo John Henry Newman, circondato nella sua Chiesa da numerosi preti sposati di alto valore e predisponendosi lui stesso all’ordinazione, aveva udito tale chiamata sin dalla giovinezza: «Sono obbligato a menzionare, benché non lo faccia senza ripugnanza, un’altra e profonda immaginazione che, a partire da quell’epoca, autunno 1816 [aveva 15 anni], si è impadronita di me – non ci si può sbagliare in proposito – ovvero che avrei dovuto condurre una vita di celibe… La chiamata della mia vita richiedeva un sacrificio come quello implicato nel celibato, per esempio per la missione presso i pagani, verso la quale ero profondamente attratto durante alcuni anni».[3] Io penso sinceramente che il futuro dimostrerà che il carisma del celibato sarà largamente diffuso dallo spirito nel cuore degli uomini che avranno ricevuto quello della responsabilità di una Chiesa, ma avrà un tenore nuovo per il fatto che non sarà più una legge. E, in ogni caso, la responsabilità pastorale e liturgica passerà sempre al primo posto, prima del celibato.

Detto questo, bisogna ammettere che, in proposito, le disposizioni auspicate al n° 96 di questo stesso documento finale del Sinodo per l’Amazzonia sono strane. Questo testo infatti prevede che, « il Vescovo può affidare, con un mandato a tempo determinato, in assenza di sacerdoti, l’esercizio della cura pastorale delle comunità a una persona non investita del carattere sacerdotale, che sia membro della comunità stessa»; e aggiunge che questo «mandato ufficiale» può essere istituito «attraverso un atto rituale». Mentre il n° 21 di Lumen Gentium dice espressamente che l’incarico pastorale è dato dal sacramento dell’Ordine, qui esso viene ridotto al livello di un «mandato ufficiale» (espressione canonica il cui contenuti aveva costituito l’oggetto di lunghe discussioni ai tempi dell’Azione cattolica sotto papa Pio XI), e si prevede un «atto rituale». Ma quale? L’atto rituale che esprime il ministero episcopale su una comunità è il sacramento dell’Ordine. Se il lettore vorrà rileggere qui sopra il testo di Pio XII, vedrà che la disposizione auspicata dal Sinodo corrisponde a questo testo, come se questo non fosse stato annullato dal Concilio. Bisogna dunque sperare che questo n° 99 sarà diventato obsoleto prima ancora di essere stato applicato!


[1] EDB, Bologna 2019.

[2] Li ho commentati in La Chiesa : il travaglio delle riforme, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2012, 5-13.

[3] Apologia pro vita sua, capitolo primo.

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