La revisione della “riserva maschile” come segno dei tempi e il diaconato


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La “riserva maschile” non è una invenzione della Chiesa. Una lunga cultura civile ha separato nettamente lo spazio pubblico dal sesso femminile. Ricordiamo che, fino a un centinaio di anni fa, era impossibile per una donna votare in occasione delle elezioni, diventare magistrato, suonare come strumentista nella Filarmonica di Berlino, diventare carabiniere o “mettere l’anello” al dito del marito durante il matrimonio. Quando parliamo di “riserva maschile” peschiamo in un immaginario culturale antico di secoli, che si radica nella nota definizione aristotelica della natura femminile come “mancanza di alcune qualità”, ripresa dalla visione della donna che “ex natura habet subjectionem” secondo S. Tommaso d’Aquino.

Anche la “venerabile tradizione” che riservava i ministeri ecclesiali ai “viri” è rimasta come un “non detto” per molti secoli della tradizione cristiana e cattolica, per esplicitarsi appieno solo nel CJC del 1917, mediante la indicazione del “vir” come condizione soggettiva della ordinazione.

Nel mondo del 1917 la “ordinazione sacerdotale” era guadagnata come “settimo grado” di un cursus che dopo la premessa della tonsura percorreva 7 livelli fino al sacerdozio. Già in Pietro Lombardo, nella Parigi di metà XII secolo, questa era la rappresentazione: dopo la tonsura inaugurale, si diventava ostiario, lettore, esorcista, accolito, suddiacono, diacono e infine presbitero. Da questa visione, che resterà centrale e dominante fino al Concilio Vaticano II, veniva escluso il vescovo, perché l’episcopato non faceva parte del sacramento dell’ordine, ma era “nome di una dignità e di un ufficio”. Essere ordinati ha significato, per circa 800 anni, ricevere queste 7 ordinazioni progressive, fino alla pienezza del presbiterato/sacerdozio. Quando il codice del 1917 dice che possono essere ordinati solo “viri” pensa precisamente in questa visione. La “riserva maschile” copre, inevitabilmente, tutti e sette i gradi dell’ordine.

Per comprendere gli sviluppi più recenti, bisogna considerare una duplice ristrutturazione interna a questo “cursus honorum et sacramentorum”:

a) Da un lato, il Concilio Vaticano II ristruttura l’intera materia, perché riduce il “ministero ordinato” a soli tre gradi (non più 7), ma inserisce come “pienezza del sacramento” l’episcopato. Perciò i tre gradi oggi sono “diaconato, presbiterato e episcopato”. Ne fuoriescono i 5 gradi anteriori al diaconato e vi subentra il grado massimo dell’episcopato.

b) La fuoriuscita dal ministero ordinato dei 5 gradi minori dà vita, nel 1972, ai “ministeri istituiti”, come categoria aperta, pensata sulla base del battesimo, che si identifica in due gradi residuali, il lettorato e l’accolitato, ma non ne esclude altri nuovi. Su questi ministeri, cui si aggiunge quello del catechista, di nuova istituzione, il MP Spiritus Domini del 2021 ha fatto cadere la “riserva maschile”.

E’ un fatto interessante che questo nuovo sistema subisca, contemporaneamente, due diverse letture.

Da un lato si continua a pensare il sistema unitario di un “cursus” continuo, che inizia dal lettorato e si conclude con il presbiterato (o eventualmente con l’episcopato). Sono 4/5 gradi che vengono pensati, più o meno esplicitamente, come ancora segnati dalla “riserva maschile”.

D’altro canto vi è una lettura “aggiornata” che pensa i ministeri istituiti come “ministeri laicali” e il ministero ordinato come un altro ambito, strutturalmente separato dal primo. Questa seconda visione può superare la “riserva maschile” e aprire i ministeri istituiti anche alle donne.

Tuttavia questo sistema nuovo fatica a coordinare le due visioni, perché per farlo è costretto a rendere statico ciò che è necessariamente dinamico. Potremmo dire che il “segnale” di questa difficoltà è sorto già con la istituzione del “diaconato”, come grado del ministero ordinato al quale possono accedere anche i battezzati coniugati. Lo si è chiamato “diaconato permanente” per scongiurare la ipotesi che possano essere ordinati presbiteri o vescovi battezzati coniugati.

Lo stesso sta accadendo oggi a proposito dei ministeri istituiti. Nel momento in cui delle donne diventano formalmente “lettrici” o “accolite” si deve parlare, pure per loro, di “lettorato e/o accolitato permanente”, per sottrarle alla logica dinamica della progressione dei ministeri.

Qui però il sistema conosce una “falla”. Perché se da un lato la lettera Ordinatio sacerdotalis ha posto come principio indiscutibile la non ammissibilità della donna alla ordinazione sacerdotale (ossia al presbiterato e all’episcopato), essendo il ministero ordinato composto anche dal diaconato, nulla impedisce che la logica dei ministeri istituiti possa essere estesa al primo grado del ministero ordinato, ossia al diaconato, con una applicazione ad esso della argomentazione che ha permesso il superamento della “riserva maschile” per lettorato e accolitato.

Vorrei soffermarmi brevemente su questa argomentazione che si trova al centro della lettera di papa Francesco al Card. Ladaria, che ha accompagnato il MP Spiritus Domini.

La argomentazione della lettera

Questa condizione di “cambio di paradigma” viene illustrata in modo interessante da un lungo passo della lettera che accompagna il MP. Ecco il passaggio centrale:

Per secoli la «venerabile tradizione della Chiesa» ha considerato quelli che venivano chiamati «ordini minori» – fra i quali appunto il lettorato e l’accolitato – come tappe di un percorso che doveva portare agli «ordini maggiori» (suddiaconato, diaconato, presbiterato). Essendo il sacramento dell’ordine riservato ai soli uomini, ciò era fatto valere anche per gli ordini minori.

Una più chiara distinzione fra le attribuzioni di quelli che oggi sono chiamati «ministeri non-ordinati (o laicali)» e «ministeri ordinati» consente di sciogliere la riserva dei primi ai soli uomini. Se rispetto ai ministeri ordinati la Chiesa «non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale» (cf. san Giovanni Paolo II, lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis, 22 maggio 1994; EV 14/1348), per i ministeri non ordinati è possibile, e oggi appare opportuno, superare tale riserva. Questa riserva ha avuto un suo senso in un determinato contesto ma può essere ripensata in contesti nuovi, avendo però sempre come criterio la fedeltà al mandato di Cristo e la volontà di vivere e di annunciare il Vangelo trasmesso dagli apostoli e affidato alla Chiesa perché sia religiosamente ascoltato, santamente custodito, fedelmente annunciato.

Non senza motivo, san Paolo VI si riferisce a una tradizione venerabilis, non a una tradizione veneranda, in senso stretto (ossia che «deve» essere osservata): può essere riconosciuta come valida, e per molto tempo lo è stata; non ha però un carattere vincolante, giacché la riserva ai soli uomini non appartiene alla natura propria dei ministeri del lettore e dell’accolito. Offrire ai laici di entrambi i sessi la possibilità di accedere al ministero dell’accolitato e del lettorato, in virtù della loro partecipazione al sacerdozio battesimale, incrementerà il riconoscimento, anche attraverso un atto liturgico (istituzione), del contributo prezioso che da tempo moltissimi laici, anche donne, offrono alla vita e alla missione della Chiesa.

Per tali motivi ho ritenuto opportuno stabilire che possano essere istituti come lettori o accoliti non solo uomini ma anche donne, nei quali e nelle quali, attraverso il discernimento dei pastori e dopo un’adeguata preparazione, la Chiesa riconosce «la ferma volontà di servire fedelmente Dio e il popolo cristiano», come è scritto nel motu proprio Ministeria quaedam, in forza del sacramento del battesimo e della confermazione.

E’ interessante notare qui tre cose. In primo luogo il parallelismo tra ministeri istituiti e ministeri ordinati non è perfetto. Vi è una “analogia imperfetta” tra riserva maschile superabile per i primi e non superabile per i secondi. In effetti la resistenza assoluta della riserva maschile secondo il principio di autorità (o, meglio secondo il principio di mancanza di autorità), come risulta dal passo citato di Ordinatio sacerdotalis, non vale per l’intero ambito del ministero ordinato, ma solo per la ordinazione sacerdotale (ossia per presbiterato ed episcopato). Ciò significa che il diaconato, pur appartenendo ai ministeri ordinati, non è ufficialmente vincolato dalla riserva maschile. Altrettanto deve far riflettere la affermazione secondo cui “la riserva ai soli uomini” non appartiene alla natura propria dei ministeri del lettore e dell’accolito. In realtà l’intero sistema dei ministeri era riservato, per tradizione, ai soli uomini. Circa il diaconato non si vede in quale misura si possa dire che la riserva maschile appartenga alla “natura” di questo primo grado del ministero ordinato. Quanto poi al grado del presbiterato e dell’episcopato, che esso sia coperto da riserva maschile risulta dalla prassi storica della Chiesa, su cui si pronuncia Ordinatio sacerdotalis, ma non dalla natura del sacramento. Storia del sacramento e natura del sacramento non sono mai identiche.

Se in secondo luogo si osserva la argomentazione “esegetica” intorno alla tradizione “venerabile” della riserva maschile, è evidente che il testo di Ministeria Quaedam del 1972 assume la riserva come normale continuazione della tradizione precedente. La rilettura che distingue tra il termine “venerabile” e il termine “veneranda”, e che pertanto identifica uno spazio di discernimento ecclesiale per far cadere la riserva, potrebbe essere applicata all’intero quadro della ministerialità ecclesiale. Nel momento in cui la partecipazione all’esercizio della autorità nella chiesa fa cadere la riserva maschile, e lo fa con la coscienza di un grande cambio di paradigma, deve considerare anche quel livello del ministero ordinato che non è coperto da un pronunciamento vincolante: ossia il primo grado del diaconato.

In terzo luogo non si può non notare come la forma della argomentazione, che supera la “riserva maschile”, non abbia fondamento storico, ma sistematico. Non si devono cercare “forme storiche” di lettorato o accolitato femminile, bensì si rilegge sistematicamente l’essere donna come una ricchezza obiettiva per il lettorato e l’accolitato. Questa forma argomentativa si basa sulla nuova evidenza della “donna nello spazio pubblico” come segno dei tempi, di cui la Chiesa cattolica è divenuta ufficialmente consapevole dal 1963, con la enciclica Pacem in terris di papa Giovanni XXIII. Dopo di allora la problematizzazione della riserva maschile non è mai semplicemente la discussione di un “dato storico”, ma la assunzione di un nuovo “principio sistematico”.

Alcune obiezioni e deduzioni

Le obiezioni a questa possibile estensione, se non si limitano ad un argomento di autorità, si fondano su argomentazioni molto fragili: il sesso maschile del candidato alla ordinazione sarebbe elemento “sostanziale” del sacramento, e perciò non riformabile dalla Chiesa. Ma l’argomentazione in termini di “sostanza del sacramento” si fonda su argomenti di fatto, certamente rilevanti e basati su una prassi secolare, ma appare fragile nella argomentazione dogmatica e sistematica: tanto l’argomento antropologico, quanto quello cristologico non riescono a reggere la tradizione, quando addirittura non la rendono più fragile. Che la donna sia inadeguata all’esercizio della autorità e che il sesso dell’uomo Gesù sia normativo per chi lo rappresenta sembrano argomentazioni troppo deboli, quasi impresentabili: si deve riconoscere che la donna oggi esercita di fatto la autorità e che in Cristo non c’è più né maschio né femmina. D’altra parte la tesi formale che sottrae alla Chiesa ogni autorità per ammettere le donne al ministero ordinato sembra capovolgersi facilmente nella tesi che attribuisce alla Chiesa tutta la autorità per escluderle. Forse la soluzione sta nel guardare alla questione non solo come problema del diritto delle donne ad essere ammesse al ministero, ma anzitutto come problema del diritto della Chiesa a non privarsi della autorità femminile sul piano dell’annuncio, del governo e della santificazione. E non si può troppo facilmente aprire sull’annuncio (fino al dottorato) e sul governo (fino al segretariato di congregazione) e chiudere d’autorità sulla santificazione, senza fornire ragioni convincenti, ma solo sulla base di un problematico e tassativo “si è sempre fatto così”.

Tutto ciò induce a pensare che sul piano del primo grado del ministero ordinato sia possibile estendere la logica di Spiritus Domini – ed anche il suo stile argomentativo non storico, ma sistematico – per arrivare alla giustificazione dell’accesso della donna al ministero ordinato. Le peripezie della riserva maschile sono destinate a continuare e possono essere risolte solo se si studiano i fenomeni istituzionali e sacramentali non soltanto sul piano del precedente storico.

Per finire una curiosità: anche il sacramento del matrimonio ha superato, molto recentemente, una sua “riserva maschile” circa il “rito dell’anello”, che per secoli è stato riservato all’uomo verso la donna e vietato alla donna verso l’uomo. Si doveva scambiare il consenso, ma non si dovevano scambiare gli anelli. Essere arrivati allo “scambio degli anelli” a partire dal rito del 1969 è uno dei modi con cui, sacramentalmente, si è superata una riserva maschile fondata culturalmente, ma non fondata ecclesialmente. Il riconoscimento di questa “assenza di fondamento ecclesiale” di una tradizione anche risalente è un cambio di paradigma che recupera la “sana tradizione” e lascia cadere le tradizioni malate.

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