La sindrome di Stoccolma dei 4 cardinali “sessantottini”


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“La nostra coscienza ci spinge”: così si intitola il testo della lettera, stesa dal Card. Caffarra, a nome proprio e degli altri 3 cardinali dubbiosi. Gustoso è il fatto che la “coscienza cardinalizia” si mobiliti solo per escludere la rilevanza della coscienza personale ed ecclesiale. La coscienza dei cardinali sostituisce e scavalca la coscienza comune: decisamente contro il dettato di AL 37. Ma che cosa dice questa lettera? Possiamo riassumerla in 4 dichiarazioni:

a) si premette che i 4 cardinali sono fedeli alla autorità del Papa (andava detto, visto quello che segue);

b) si indicano Vescovi, pastori e intere Conferenze Episcopali come sostenitrici di affermazioni che “approvano ciò che il magistero della Chiesa non ha mai approvato” (ed è evidente che la abitudine alla censura del prossimo diventa paradossale quando pretende di sostituirsi alle autorità preposte…);

c) si esaltano “laici” – questi sì obbedienti e fedeli, non come i pastori, i Vescovi e le Conferenze episcopali inaffidabili – che vorrebbero garantiti i sacramenti contro questi “abusi”. E si segnala la prestazione dei 6 laici impegnati a maggio in un convegno nella “piccola sala di un hotel” (ma presentato come un evento epocale);

d) si domanda di essere ricevuti per discutere sui “dubia” già presentati e sulla “confusione” in cui AL avrebbe precipitato la Chiesa, e in primis i parroci;

Ciò che sorprende, in questa lettera, è la perdita completa di contatto tra i 4 cardinali e la realtà ecclesiale. Il cammino sinodale, il confronto tra le diverse opinioni, la elaborazione del testo di AL e la sua iniziale recezione: tutto viene risolto in una posizione risentita e negativa, autoreferenziale e senza respiro.

La coscienza dei cardinali li “spinge”: a che cosa? A resistere sulle posizioni acquisite, che vengono scambiate come le “verità di sempre”. E qui vorrei dire, con tutta la necessaria chiarezza, che sono davvero stupito di come questi 4 cardinali siano caduti nel peggiore errore di ciò che loro chiamano “modernismo”. Essi hanno talmente combattuto il moderno, che sono rimasti vittime di una vera e propria “sindrome di Stoccolma”: si sono lasciati talmente segnare dallo scontro con il pensiero soggettivistico, da averne assunto uno dei lati più problematici, ossia la identificazione della propria coscienza soggettiva con la realtà.

Questo è evidente almeno per tre motivi:

a) Con tutta la buona volontà, è ben difficile che Vescovi e intere Conferenze episcopali abbiano assunto decisioni erronee, mentre laici fedeli sarebbero custodi della verità. Questa è una rappresentazione caricaturale della dialettica ecclesiale. Ed è una sorta di “protesta sessantottina” – i laici liberi contro la struttura oppressiva – fatta propria da menti reazionarie. Ma è una assolutizzazione della (loro) coscienza soggettiva contro la evidenza della realtà;

b) La esaltazione del Seminario di studio tenuto a Roma da “6 laici di tutti i continenti” è a sua volta una preoccupante “campagna pubblicitaria” – nel peggior stile postmoderno – contro ogni evidenza teologica e pastorale. I “6 laici”, proprio con i loro discorsi tenuti al Seminario di studio, hanno dimostrato di essere teologicamente incompetenti e ecclesialmente irrilevanti, senza alcun vero collegamento con il cammino ecclesiale, con il dibattito teologico e con la logica del buon senso. Ed è allarmante (anzitutto per loro) che i 4 cardinali preferiscano i deliri infondati di 6 sconosciuti al cammino sinodale di una Chiesa.

c) Infine – e anche questo non può essere taciuto – la difesa che il card- Caffarra fa di quella che chiama “tradizione intangibile” – contro la quale si sarebbero mossi non solo Vescovi e Conferenze, ma lo stesso testo di AL – altro non è che la custodia ostinata della  “collezione dei propri testi”: Familiaris Consortio e Veritatis Splendor sono infatti in buona misura il frutto del pensiero e della scrittura dello stesso Card. Caffarra. E se umanamente è comprensibile che ognuno si leghi a filo doppio ai propri testi, ci si affezioni e li veda come “passi insuperabili” nella storia del mondo, proprio per questo motivo ognuno, soprattutto se è un cardinale, dovrebbe anche considerare eccessivo che i propri testi pretendano di essere il punto di arrivo definitivo della Tradizione e della Scrittura. Una moderazione della coscienza e un supplemento di temperanza sarebbero auspicabili, per non compromettere non solo il giudizio sulla persona, ma anche quello sulla funzione cardinalizia, che non può mai ridurre la “voce della coscienza” alla testarda difesa dei propri diritti d’autore.

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