“Non per alcuni, né per pochi, né per molti, ma per tutti”
Nel monumentale discorso di Firenze, papa Francesco ha toccato oggi moltissimi aspetti della vita cristiana. Ma un passaggio, verso la fine del testo, ha dato anche una splendida conclusione alle inutili discussioni sul “pro multis”, che avevano caratterizzato gli ultimi anni del pontificato di Benedetto XVI. Sul tema erano intervenuti molti autorevoli pastori e anche teologi, tra cui vorrei ricordare la lucida posizione di Francesco Pieri. Oggi il papa ha superato ogni discussione, con una splendida ripresa del tema, sul piano della sapienza pastorale. Ecco il passaggio da considerare:
"Siamo qui a Firenze, città della bellezza. Quanta bellezza in questa città è stata messa a servizio della carità! Penso allo Spedale degli Innocenti, ad esempio. Una delle prime architetture rinascimentali è stata creata per il servizio di bambini abbandonati e madri disperate. Spesso queste mamme lasciavano, insieme ai neonati, delle medaglie spezzate a metà, con le quali speravano, presentando l’altra metà, di poter riconoscere i propri figli in tempi migliori. Ecco, dobbiamo immaginare che i nostri poveri abbiano una medaglia spezzata. Noi abbiamo l’altra metà. Perché la Chiesa madre ha in Italia metà della medaglia di tutti e riconosce tutti i suoi figli abbandonati, oppressi, affaticati. E questo da sempre è una delle vostre virtù, perché ben sapete che il Signore ha versato il suo sangue non per alcuni, né per pochi né per molti, ma per tutti."
La conclusione, inequivoca, giunge solo alla fine di una lunga digressione, che permette al testo di collocarsi nella carne viva di una “relazione materna”. La interpretazione delle parole della eucaristia non si può fare nella diffidenza verso ogni altro, ma solo nella speranza materna verso ogni figlio. Una interpretazione delle “parole eucaristiche” che punti alla “lettera” e non allo “spirito” cadrebbe proprio in una di quelle tentazioni che Francesco ha così ben descritto in un altro passo del suo discorso:
Il pelagianesimo ci porta ad avere fiducia nelle strutture, nelle organizzazioni,nelle pianificazioni perfette perché astratte. Spesso ci porta pure ad assumere uno stile di controllo, di durezza, di normatività. La norma dà al pelagiano la sicurezza di sentirsi superiore, di avere un orientamento preciso. In questo trova la sua forza, non nella leggerezza del soffio dello Spirito. Davanti ai mali o ai problemi della Chiesa è inutile cercare soluzioni in conservatorismi e fondamentalismi, nella restaurazione di condotte e forme superate che neppure culturalmente hanno capacità di essere significative. La dottrina cristiana non è un sistema chiuso incapace di generare domande, dubbi, interrogativi, ma è viva, sa inquietare, sa animare. Ha volto non rigido, ha corpo che si muove e si sviluppa, ha carne tenera: la dottrina cristiana si chiama Gesù Cristo.