Perché Lucetta Scaraffia ha dimenticato Marie Collins?


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Le dimissioni di Marie Collins dalla Commissione vaticana che si occupa di combattere la pedofilia nella Chiesa ha sollevato alcuni mesi fa un giusto scalpore. Anche il Segretario di Stato Parolin l’aveva definita allora “Un modo per scuotere l’albero”. Ma Lucetta Scaraffia sembra essersene dimenticata. Scrivendo venerdì scorso il suo articolo sull’Osservatore Romano ha cancellato tutto come se nulla fosse, e si è impalcata contro i media, che userebbero due pesi e due misure quando parlano di “violenze da parte di militari” o di “violenze da parte di preti”.

Di fronte a queste gravi amnesie, occorre mettere in luce, ancora una volta, come vi sia una connessione decisiva tra “riforma della Chiesa” e “cura per le procedure”. Marie Collins aveva colto con molta lucidità una contraddizione tra “affermazioni di principio” e “prassi acquisite”. Questa osservazione, che ritengo del tutto preziosa, ci permette di ampliare il discorso e valutare, alla luce di questo episodio – alla luce del coraggio della Collins e della amnesia della Scaraffia – l’impatto complesso che le riforme di papa Francesco hanno sul piano della “recezione ufficiale”. La reazione della Collins, riguardando un tema delicato come la “lotta alla pedofilia”, ha ottenuto immediatamente un risalto e un interesse particolare. Riforma della Chiesa non è solo “riforma della mentalità”, ma “riforma delle procedure”. Significa che la Chiesa accetta di rispondere in tribunale per i propri reati e non si trincera dietro il silenzio irresponsabile. 

Marie Collins è giustamente preoccupata per una Chiesa che non risponde. Lucetta Scaraffia si preoccupa invece per la diversa reazione che i media riservano quanto le violenze scoppiano in una caserma o in una scuola “laica”, e quando invece sono commesse in un Seminario o in una Scuola diocesana cattolica. Ma questa differenza è proprio la giustificazione della diversa reazione. Non vi è nulla di peggio che fare il contrario di quello che si predica: una caserma non è giustificata dalla carità, ma dalla difesa e dalla tutela dell’ordine pubblico. Se un Seminario o una Scuola di giovani coristi si giustifica per ideali ben più alti, cade molto più fragorosamente quando contraddice se stessa. Dicevano gli antichi, con saggezza: corruptio optimi, pessima.

Dunque, la questione sollevata da Marie Collins – e rimossa dalla Scaraffia – va molto al di là della pur importante lotta alla pedofilia nella Chiesa. Ed è proprio questo che sfugge allo sguardo di una osservatrice distratta come Lucetta Scaraffia. La questione riguarda un deficit strutturale della Chiesa cattolica contemporanea, che Francesco ha messo in chiara luce e rispetto a cui ha chiesto con grande forza un cambiamento strutturale. L’esercizio della violenza sui minori non è anzitutto un problema morale, ma una questione di esercizio autoreferenziale della autorità, che cancella i diritti dei terzi. Nel senso che non ne percepisce la esistenza e ne rimuove la consistenza. E qui si deve fare una doppia considerazione, che aiuta a comprendere meglio anche le diverse resistenze al pontificato e al suo slancio riformatore. Il pontificato di Francesco lavora anzitutto su questo punto: contesta frontalmente la autoreferenzialità, che è la vera radice della distorsione formativa e relazionale.

Di fronte a questo ci sono due reazioni. Da un lato vi è il numero di coloro che si oppongono apertamente e contenutisticamente alla Riforma, difendendo spregiudicatamente ogni forma di potere autoreferenziale. E trovano tutti i mezzi, procedurali o meno, per ostacolare il cambiamento e la conversione della Chiesa.

Ma vi è anche un certo numero di soggetti – a diversi livelli della gerarchia e anche ben sistemati nei giornali “amici” – che sono disposti a recepire a parole tutti i contenuti nuovi, ma lo fanno senza alcuna elasticità sul piano delle procedure. Non essere autoreferenziali non è questione di intenzione, è questione di “prassi”. Lamentarsi per il fatto che le violenze nelle caserme non sono trattate dai media come quelle nelle canoniche è una forma di analfabetismo procedurale. Il fatto che una simile ingenuità sia stata scritta sull’organo ufficiale della Santa Sede la dice lunga sulla mancanza di chiarezza – o sulla nostalgia – che continua a resistere nei cuori inariditi e nelle menti ristrette.

E non è un caso che a presiedere la Commissione che si occupa di questa materia sia propria l’Arcivescovo di Boston: chiunque abbia visto “Il caso Spotlight” – che a Boston è ambientato – sa di cosa si tratta e ha capito che dietro ai casi di “pedofilia” vi è sempre anzitutto un problema di comprensione del ruolo della autorità della Chiesa – e dell’immaginario clericale – in rapporto ai diritti dei giovani battezzati e alla parità di trattamento in campo civile. La “pedofilia clericale” è – in una certa misura e senza alcun generico automatismo – una conseguenza del deficit formativo e relazionale che la struttura ecclesiale talora “impone” ai propri futuri ministri. La prima riforma non riguarda i tribunali che perseguono i reati, ma i luoghi formativi che prevengono queste distorsioni delle relazioni e queste perverse soddisfazioni della libidine. Le quali sono reati per tutti coloro che le commettono, ma sono scandali quando riguardano chi annuncia in modo radicale ed esistenziale la salvezza e la comunione riservata ad ogni uomo e ad ogni donna. Lamentarsi, di fronte a tutto questo, dei media, che userebbero “due pesi e due misure”, assomiglia molto al capriccio di un bambino viziato che vede rompersi il giocattolo preferito: quello di una Chiesa autoreferenziale e che non risponde a nessuno di quello che fa. Nel pestare i piedi capricciosamente la Scaraffia sapeva bene di compiacere anche qualche cardinale ancora influente. Ma questo non le ha impedito di perdere ogni autorevolezza nel presentarsi come interprete del “nuovo corso”: qui appare solo come voce attardata a difendere l’ancien régime

 

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