Preti sposati in Amazzonia?
Nella sua esortazione apostolica “Querida Amazonia”, papa Francesco non menziona nel suo sogno per la Chiesa amazzonica l’eventuale ordinazione sacerdotale di diaconi sposati. Alcuni se ne rallegreranno, altri (tra cui chi scrive) ne proveranno rammarico, tanto più che, come ho osservato nel precedente articolo di questo blog, questo silenzio potrebbe sembrare fondarsi nel testo su una teologia del “sacerdozio” che il Concilio Vaticano II ha reso obsoleta nei suoi testi innovativi (anche se la teologia precedente vi affiora ancora qua e là, e rispettabili prelati vi si attengono oggi contro tutto e tutti).
Resta il fatto che la possibilità di una simile ordinazione è stata votata ai due terzi per il Sinodo per l’Amazzonia, e che papa Francesco non ha certo voluto annullare questo voto. Questo rimane. E’ talmente vero che una commissione post-sinodale è stata studiata per proseguire la riflessione, su questo argomento come su altri.
Vorrei egualmente esprimere un timore: quanto tempo si prolungherà tale riflessione? Quali criteri ci si dà per porvi un termine? Come ho notato altrove a proposito di una decisione della conferenza episcopale tedesca, un voto ai due terzi è sufficiente per prendere una misura e agire; è soltanto nei regimi totalitari che si arriva a dei voti al 99%![1] Questo voto significava quindi che il Sinodo dell’Amazzonia, riunito nello Spirito Santo, considerava come possibile e in certi casi auspicabile tale ordinazione. Non penso che prolungare la discussione sfocerà mai nell’unanimità. Papa Paolo VI desiderava molto che i testi del Concilio fossero votati all’unanimità, e questa è stata raggiunta nella maggior parte dei casi. Ma in seguito, le divergenze si sono nuovamente manifestate e non poteva essere altrimenti! Bisogna dunque agire, e vi si è autorizzati dalla maggioranza dei due terzi già raggiunta.
Da parte mia, ne traggo la conclusione che la palla è – ora o in un futuro che spero prossimo – nel campo delle chiese d’Amazzonia e, concretamente, di coloro tra i loro vescovi che avevano votato favorevolmente per questa ordinazione sacerdotale. D’altronde non è che, avendo dato esplicitamente un semaforo verde in “Querida Amazonia”, i problemi concreti sarebbero stati per ciò stesso risolti. Appoggiandosi sul testo del Sinodo e sull’invito del papa a vigilare sulla questione dell’Eucaristia, le chiese e i vescovi possono, direi persino devono immaginare una procedura che permetta alla misura di realizzarsi. Mi permetto di ricordare quanto avevo scritto nel mio Piccolo saggio sul tempo di papa Francesco.[2] Avevo notato che la chiesa particolare dovrebbe essere sensibilizzata attraverso informazioni chiare e poi consultata per mezzo di consigli, quello pastorale e quello presbiterale, e anche più ampiamente; che bisognerebbe verificare il carisma e l’idoneità delle persone che si pensa di ordinare; che non bisognerebbe fare di questa missione sacerdotale una funzione a tempo pieno (come accade nelle Chiese d’Oriente); che la decisione dovrebbe essere ratificata in un modo o in un altro dalla Conferenza episcopale del paese. Infine, avevo suggerito che il dossier, una volta completato, dovrebbe essere rimesso direttamente al papa stesso affinché nessuna istanza intermedia frapponga degli ostacoli.
Mi sembra che tutto questo resti valido o che si possa immaginare qualcosa di equivalente. Se è permesso sognare (sulla scia di Martin Luther King, del cardinal Martini, di papa Francesco!), sogno che alcune chiese d’Amazzonia e i loro vescovi mettano in movimento il carisma profetico che non manca mai alla Chiesa, e avviino senza indugio il processo di ordinazione. Al Concilio e nella generazione successiva, ci sono stati vescovi che hanno lasciato il segno, in America centrale o latina; alcuni nomi mi vengono spontaneamente alla mente: Arns, Lorscheider, Helder Camara (Brasile), Silva Henriquez (Cile), McGrath e Romero (Panama e Salvador). È impossibile che non ce ne sia alcuno che emerga ora.
(traduzione dal francese di Emanuele Bordello)