Quale Rahner è caro a papa Francesco? Una piccola ermeneutica papale del teologo


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In un gustoso articolo di Alfonso Botti, pubblicato ieri su Vatican Insider, si propongono una serie di lucide critiche alla impostazione fallace con cui Ernesto Galli della Loggia ha sollevato obiezioni pesanti e ingiustificate contro il magistero di papa Francesco. Qui non mi interessa considerare le giuste riserve che il prof. Botti muove contro Galli della Loggia. Mi piace invece soffermarmi sul riferimento che egli dedica al pensiero di K. Rahner, come “ispiratore” del magistero di Francesco. L’autore ha infatti buon gioco nell’identificare un lato particolarmente debole delle analisi di Galli della Loggia la mancanza di riferimenti teologici diversi da De Maistre o da Maritain (con tutte le differenze tra i due!). Perché mai, si chiede Botti, dovrebbe essere “cattolico” ispirarsi a De Maistre o a Maritain, e non lo sarebbe riferirsi a Rahner?

E’ evidente che K. Rahner è un autore che chiede una lettura attenta, irriducibile ad un unico modello. H. U. Von Balthasar, in una bella espressione non priva di riserve, lo ha detto così: “Ci sono molti Karl Rahner”. Il tentativo di ridurlo ad una sola figura (teologo trascendentale, teologo della svolta antropologica, teologo della vulgata post-conciliare…) è destinato al fallimento e/o alla lettura ideologica. E’ allora fondamentale domandarsi a “quale K. Rahner” possa ispirarsi papa Francesco. Credo che non sarebbe sbagliato orientarsi almeno secondo una duplice mappa, che provo qui a formulare sinteticamente:

a) In K. Rahner tutte le opere principali sono “divise in due parti”: da un lato la unità di essere e pensare affascinano e danno la vertigine; ma nell’altra parte la “differenza” e la “recettività” sono salvaguardate e recuperate. Gli equivoci, insieme al fascino quasi irresistibile, vengono soprattutto dalle “prime parti”. Non c’è dubbio che papa Francesco riprenda indirettamente, la lezione delle “seconde parti” dell’opera rahneriana, nelle quali il teologo si confronta con i dettagli della tradizione e li rilegge con fedeltà e con creatività. Questo Rahner è sicuramente una delle matrici della potenza ricostruttiva del magistero di Francesco, della sua libertà fedele e della sua fedeltà creativa. Vi è qui una vocazione al “primato della realtà sulla idea” e “del tempo sullo spazio” che innerva profondamente questo lato del pensiero rahneriano e che talora sembra smentito dalla tendenza “idealizzante” e “astorica” del primo versante delle sue opere principali.

b) Ma K. Rahner, nel suo centro, ha voluto essere un “uomo spirituale”. E tale è il carattere di moltissimi suoi scritti, che vanno a collocarsi nello spazio di una tradizione religiosa, spirituale e specificamente “gesuita”. Una tradizione spirituale in cui il senso urgente della storia, ma anche la relatività della storia stessa di intrecciano e si sovrappongono, con mirabile equilibrio. Il Rahner dei “ritiri spirituali” è forse quello che, sinteticamente, ha parlato con le parole più forti nella esperienza di J.M. Bergoglio. Ascoltiamone alcuni passi, tratti dal volume “Ritiri spirituali. Il rischio del cristiano” (Brescia, Queriniana, 1975).

“Che cosa è l’uomo? Dirò con molta schiettezza quello che penso: l’uomo è la domanda senza risposta” (9)

“Che cosa semplice è allora il cristianesimo: la volontà di arrendersi, nell’amore, alla inafferrabilità di Dio” (18)

“Il cristiano è il vero scettico, il più radicale. Credendo alla incomprensibilità di Dio, egli è convinto che nessuna verità singola è realmente vera al di fuori di quel movimento (che le è essenziale) in cui essa si supera in domanda destinata a rimanere senza risposta perché è domanda su Dio e sulla sua inafferrabilità” (18)

“Vita e pensiero mi conducono continuamente in situazioni di perplessità che non possiamo mai liquidare…Allora trovo la speranza. Essa condensa tutta l’esperienza della vita in due parole: mistero e morte. Mistero dice questa perplessità della speranza. Morte comanda di non dissimulare la perplessità, ma di affrontarla. Guardo a Gesù crocifisso e so che nulla mi sarà risparmiato. Mi consegno alla sua morte e spero che questa morte sia l’alba del mistero beato. Ma in questa speranza la vita emerge nella sua bellezza, anche nel fitto delle tenebre, e tutto diventa promessa” (29).

La teologia di papa Francesco – per come lui stesso la caratterizza con le “tre i” della “inquietudine”, della “incompletezza” e della “immaginazione” –  mi sembra che riprenda questo filone potente di riflessione radicale ed esigente, che possiamo scoprire con gratitudine e con commozione sulla pagina rahneriana.

Ma questo versante del pensiero rahneriano resta carico di novità e di promessa. Rappresenta una “possibilità” di recezione del Concilio Vaticano II come “inizio di un inizio”. Il suo linguaggio franco, diretto, anche crudo, contrasta con la immagine di un Rahner astruso, involuto, sempre astratto… Si tratta di luoghi comuni che fanno torto all’autore e che oggi possono essere superati, se saremo capaci di offrirne una lettura sintetica e lungimirante.

Rahner, pur con tutti i suoi limiti, ha pensato radicalmente la tradizione e ne ha offerto riletture potenti, accurate, illuminanti. Non sorprende che chi critica Francesco non abbia mai letto davvero Rahner nella sua urgenza e nella sua disarmante profondità. Potremmo quasi dire che, se da un lato Rahner ha potuto ispirirare Francesco, oggi Francesco, con il suo magistero, ci mostra nuove possibilità di interpretazione di Rahner.

E’ singolare che oggi, nella Chiesa, vi sia un papa che sa a quali fonti abbeverare con larghezza la sua ispirazione, mentre una parte della Chiesa resta arroccata su forme “antimodernistiche” di lettura della tradizione, che, ovviamente, fanno di tutta erba un fascio e mettono, indistintamente, modernisti, Rahner e Francesco nello stesso “sacco”. Anche Galli della Loggia non è sfuggito a questa “prova di incompetenza”. Una Chiesa che legga con intelligenza K. Rahner può comprendere con profondità la propria storia degli ultimi 100 anni e anche il suo papa attuale. Altrimenti, se si lascia distrarre da altre cure e da antiche diffidenze, potrebbe cadere nella stessa trappola con cui, 100 anni fa, la cultura “laica” appoggiò l’antimodernismo ecclesiale, come ci ricorda in conclusione del suo articolo il prof. Botti:

“Tra Otto e Novecento, quando la Chiesa cattolica fu percorsa dal movimento riformatore modernista, la cultura idealista italiana ne applaudì con entusiasmo la condanna da parte di Pio X nell’enciclica Pascendi (1907). Mentre erano in gestazione le intese clerico-moderate, infatti, il cattolicesimo andava bene così com’era, e cioè come fattore di stabilità degli equilibri sociali esistenti. Viene da chiedersi se oltre un secolo dopo Galli della Loggia non sia un epigono, non dico di quella linea, ma di quell’atteggiamento. Non foss’altro per il contributo che (inconsapevolmente?) ha fornito all’offensiva integralista contro papa Francesco.”

Uno dei compiti che ci è dato, oggi, in quanto teologi, è di rileggere con intelligenza il pensiero dei grandi autori del 900, per liberarlo dalle lettura ideologiche e incompetenti che spesso ne hanno oscurato la autorità: il “dispositivo di blocco” passa anche attraverso una “censura previa” che impedisce agli autori di parlare. Ma abbiamo bisogno, oggi più che mai, della “parrhesia” di Rahner, del suo sguardo lucido, persino dei suoi abbagli. I suoi testi, a distanza di molti decenni,  possono ancora ispirare non solo papi intelligenti e sensibili, ma tutti i cristiani che siano disposti a considerare la tradizione più un giardino da coltivare, che un museo da conservare.

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