“Traditionis Custodes” tra principio, eccezioni e sviste: E’ legittimo creare stabili riserve indiane dell’anticoncilio?
Traditionis Custodes tra principio, eccezioni e sviste.
E’ legittimo creare stabili riserve indiane dell’anticoncilio?
La logica di Summorum Pontificum era stata quella di innalzare a livello universale sia la “forma ordinaria”, sia la “forma straordinaria” del rito romano. Questa forma di provvedimento “generale” ipotizzava di risolvere la questione del “conflitto rituale” rendendo contemporaneamente vigenti, nello stesso spazio-tempo, due logiche rituali profondamente diverse. La confusione scaturita da quel provvedimento, che si basava su una argomentazione sistematica senza fondamento né razionale, né storico, ma solo emotivo, aveva prodotto una grande confusione.
La logica di Traditionis Custodes ha appena restituito una coerenza allo sviluppo organico della liturgia, che non può sopportare né sistematicamente né pastoralmente la coesistenza di due riti tra loro contraddittori. La contraddizione viene dal fatto che il secondo è stato elaborato per superare i limiti e le distorsioni del primo. Per questo ristabilire un’”unica lex orandi vigente” è stato anzitutto il ripristino del buon senso e un atto di chiarezza elementare.
E’ evidente che, venendo dopo 14 anni di sviluppo incontrollato di “doppia lex orandi”, TC abbia trovato un panorama complicato di usi, abusi, appartenenze, attaccamenti. Fin dall’inizio era chiaro che al posto di un regime “generalista” di duplice lex orandi, ci sarebbe stata un’unica forma vigente, con la possibilità di concedere, a singoli soggetti o luoghi, la eccezione alla regola, per custodire alcune differenze e circostanze che meritavano una eccezione alla regola. Questo è ragionevole.
Il decreto con cui si concede alla Fraternità di San Pietro di far uso della “lex orandi” vigente prima della riforma – non solo per il messale, ma per l’intera esperienza liturgica – costituisce un passaggio che mostra i limiti intrinseci alla soluzione fornita da TC. Il cui valore resta fuori di ogni dubbio, ma la cui applicazione può degenerare nel momento in cui si permetta, ad una intera fraternità, di celebrare integralmente come se il Concilio Vaticano II non ci fosse stato. Certo, abbiamo superato la crisi che aveva reso possibile, persino ad ogni parrocchia, di avere, al suo interno, un “gruppo resistente”. Ora questo non è più possibile. Non sentiremo più cardinali dire: “Il papa vuole che in ogni parrocchia si celebri anche con il Messale del 62”.
Ma con questa soluzione introdotta da TC, che è radicalmente diversa e di certo migliore, parlare di “comunione ecclesiale” per comunità, in cui ogni atto rituale è esattamente identico a quello compiuto presso quelle altre “fraternità” che hanno perso la comunione con Roma, assume un effetto del tutto paradossale. Quando la regola comune muta, le eccezioni sono possibili, ma solo se limitate e temporalmente definite.
Se si decide che si guida tutti a destra, qualche eccezione per la “guida a sinistra” sarà possibile, purché sia delimitata personalmente e spazialmente. Se la guida a sinistra diventa una prerogativa soggettiva, che può estendersi a piacere in qualsiasi luogo, questo diventa un altro modo di minacciare la comunione del traffico.
Chi crede profondamente alla svolta del Concilio Vaticano II e alla riforma liturgica che ne è scaturita, non può in alcun modo ammettere, strutturalmente e sine die, che si possa celebrare con il rito preconciliare, senza partecipare alla responsabilità di costruire riserve indiane dell’anticoncilio che possono vantare protezione papale. Questo è certo diverso da un disegno generale di contestazione della Riforma, come era derivato dall’uso intemperante di Summorum Pontificum, che giustamente è stato bloccato. Ma anche questa diversa soluzione, inevitabilmente, solleva una questione sistematica, prima che pastorale. Se una intera “fratellanza” può fare diversamente da tutti gli altri fratelli, e può farlo senza limiti che non siano personali o spaziali, che tipo di comunione è quella che qui viene custodita? Sul piano sistematico, prima che liturgico, la eccezione diventa non solo una regola parallela, ma una chiesa parallela. Che si possa giustificare teologicamente, mi pare difficile. E che sia un problema non solo di disciplina, ma di dottrina, è difficile contestarlo.
Annoto ancora un particolare, singolarmente dissonante: nel Decreto, per una svista evidente, si è lasciata una delle espressioni più infelici di “Summorum Pontificum”, che stabiliva, come criterio generale, che ogni prete fosse abilitato a celebrare la “messa senza popolo” indifferentemente in una o nell’altra forma. Questa logica fa del rapporto con diversi “libri liturgici” una prerogativa insindacabile del soggetto clericale. Esattamente il contrario di ciò che dice TC, quando afferma che gli unici libri vigenti sono quelli scaturiti dal Concilio Vaticano II.
Ora nel Decreto, limitatamente a coloro che appartengono alla Fraternità, si prevede che possano celebrare solo nelle chiese e negli oratori privati, mentre altrove devono ottenere il consenso dell’Ordinario del luogo, salva la celebrazione della “messa privata”. Quindi, almeno per quanto riguarda la messa privata dei membri della fraternità San Pietro, ogni Vescovo perde la possibilità di orientare e disciplinare la liturgia nella sua diocesi.
Questa logica feudale del “privilegio” concesso ad alcuni soggetti, gruppi, associazioni o fraternità, può essere un sistema utile per gestire le fasi di passaggio. Non per istituire mondi paralleli. Non siamo più al tempo in cui il papa poteva concedere ad una intera nazione il “privilegio di una dispensa da alcuni obblighi del digiuno quaresimale”. Con la liturgia, oggi, non si scherza. E’ stato il Concilio Vaticano II a farne un “linguaggio comune” di cui non si può abusare. Pensare che, poiché si è membri di una determinata “fraternità”, si possa vantare il diritto, garantito da un privilegio papale, di poter celebrare la “messa privata nel rito preconciliare” non importa dove, senza che nessuno possa sollevare la minima obiezione, questo è, di fatto, un arretramento generale ad una forma ecclesiae che può essere compatibile solo con il pre-concilio, e che un papa “figlio del Concilio” in nessun modo può consentire. Se la eccezione può essere consentita solo provvisoriamente, questa “libertà di messa privata” in luoghi non controllabili deve essere necessariamente vietata. La svista del Decreto merita una immediata correzione a posteriori, visto che non è stato corretto prima dagli organi competenti. La correzione è necessaria per i motivi teologici e sistematici, ecclesiali e spirituali che sono stati bene espressi da TC e dalla lettera che lo ha accompagnato. Perché non si dica che quelle di TC sono “parole al vento”.
Allego qui il testo del Decreto
DECRETUM
Sanctus Pater Franciscus, omnibus et singulis sodalibus Instituti vitae consecratae “Fraternitas Sancti Petri” nuncupati, die 18 iulii 1988 erecti et a Sancta Sede pontificii iuris declarati, facultatem concedit celebrandi sacrificium Missae, sacramentorum necnon alios sacros ritus, sicut et persolvendi Officium divinum, iuxta editiones typicas librorum liturgicorum, scilicet Missalis, Ritualis, Pontificalis et Breviarii, anno 1962 vigentium.
Qua facultate uti poterunt in ecclesiis vel oratoriis propriis, alibi vero nonnisi de consensu Ordinarii loci, excepta Missae privatae celebratione.
Quibus rite servatis, Sanctus Pater etiam suadet ut sedulo cogitetur, quantum fieri potest, de statutis in litteris apostolicis motu proprio datis Traditionis Custodes.
Datum Romae, Sancti Petri, die XI mensis Februarii, in memoria Beatae Mariae Virginis de Lourdes, anno MMXXII, Pontificatus Nostri nono.
Un adagio scolastico stabilisce che la vita è nel movimento: vita in motu. Mi diverto a pensare che per i tradizionalisti la vita sarebbe piuttosto nel motu proprio: vita in motu proprio (Traditionis Custodes). Ciò che è straordinario è che i superiori della Fraternité Saint-Pierre hanno avuto un così facile accesso a Papa Francesco, mentre altre persone importanti come il presidente della Parola Liberata, François Devaux, e il presidente della Ciase, Jean-Marc Sauvé, hanno visto i loro ricorsi respinti. C’è ancora il fondamentalismo nascosto in Vaticano sotto i zucchetti e dobbiamo superare questo clericalismo in cui papa Francesco si bagna suo malgrado. La riserva degli indiani potrebbe purtroppo trovarsi nella Curia romana.
Padre Vignon,
bisogna avere proprio gli occhi foderati di prosciutto per non vedere che il sig. papa si è sempre bagnato (e non suo malgrado) nel clericalismo che a parole ostenta di disprezzare. Del resto il pontefice felicemente regnante alimenta gradevolmente questa confusione di governo e di dottrina solo in virtù del potere clericale conferitogli. Siamo troppo buoni come cattolici.
Auguri!
Il problema è il razionalismo, conservatore o progressista che sia. Incredibile vedere notabili cristiani fieramente avverso concordare su ciò che in realtà li teleguida e impedisce tra l’altro un rinnovato dialogo.
https://gpcentofanti.altervista.org/la-fecondazione-di-cana/
Per fortuna, il Ven. Rito detto di San PIO V ha dalla sua parte il soffio dello Spirito Santo. La riformetta di Paolo VI, un falso ritorno alla liturgia dei primi secoli, ha dalla sua personaggi alla Andrea Grillo. È già morta e sepolta. Se avrò fortuna fisica, fra qualche decennio sarà estinta come la chiesa del Concilio Vaticano Secondo. In tante nazioni del Nord Europa lo è già.
Rileva dire che è lo stesso Messale di San Pio V ad affermare la propria validità irrevocabile e perpetua, a pena di scomunica.
Il motu proprio TC ignora questo aspetto.
Inoltre, il privilegio riservato alla Fraternità di San Pietro avrebbe dovuto essere esteso a tutti gli istituti Ecclesia Dei, inclusi i Francescani dell’Immacolata.
Gent.mo dott. Grillo,
senza scadere in attacchi personali o in ironiche recriminazioni (che non hanno senso e non sono certo consoni alla gravità del momento), desidero solo rilevare che il Suo articolo è condivisibilissimo, ma difettivo di un elemento fondamentale: il coraggio di dire che la causa di tutta questa confusione sta in un papa ormai palesemente inadeguato e in preda ad agire schizofrenico. E’ comprensibile che l’innamoramento nei confronti di un pontefice “verace figlio del CVII” vi faccia tacere per “amor di padre e comodità di spirito”. Questo atteggiamento però non rende onore alla ragione teologica di cui Lei per primo si fa spesso promotore. In questo modo scade nel medesimo atteggiamento dei tanto aborriti tradizionalisti. E’ proprio vero il detto: similes cum similibus facillime congregantur.
Auguri! (in questa circostanza ne abbiamo tutti bisogno)
Praying the older Breviary is a point of particular concern for the “private” dimension of this permission. There are numerous issues of contempt for the Jewish people embedded in the 1962 texts for Holy Week. In a time of rising anti-Semitism, providing the cloak of legitimacy for such attitudes in the liturgy is not a harmless exercise. See my 2010 article in Worship, “Anti-Jewish Elements in the Extraordinary Form.” https://www.academia.edu/72467343/Anti_Jewish_Elements_in_the_Extraordinary_Form
La realtà ha la testa dura e non si lascia piegare dagli ideologi. Il venerabile rito di Sempre … detto di San Pio V … sostiene la fede di centinaia di sacerdoti e di milioni di fedeli che non hanno nessuna intenzione di essere rieducati.
Domenica prossima … Domenica di quinquagesima … come ogni Domenica … INTROIBO AD ALTARE DEI con buona pace di una stanca e vuota e sterile ideologia.
P.S. quanto stabilito per la Fraternità San Pietro vale, per analogia, per tutti gli Istituti ex Ecclesia Dei in virtù dei loro statuti approvati a suo tempo dalla Sede Apostolica.
W la realtà e al diavolo l’ideologia …
Caro Gianfranco, trovo per lo meno curioso che lei capovolga il rapporto tra realtà e ideologia. Un rito che non è più vigente è una ideologia. La realtà, l’unica comune a tutti i cristiani cattolici, è il rito romano che il Concilio e la Riforma ha riportato alla sua vera vocazione. Quando si vive nella convinzione che il proprio pregiudizio sia normativo, si entra nel tunnel della illusione e della mistificazione. E questo non è né spirituale né edificante.
Egregio Professore come lei sicuramente sa, le associazioni Ecclesia dei hanno statuti approvati dalla Santa Sede che prevedono l’uso esclusivo della liturgia antica. Parrebbe strano che il Romano Pontefice non rispetti i patti, diversamente chi si fiderebbe più della Chiesa. O no? Pacta sunt servanda.
Egregio. Professore, come lei ben sa, le associazioni ecclesia dei, hanno la ragione della loro esistenza e degli statuti, roconosciuti dalla santa sede su l’uso esclusivo della liturgia antica.Parrebbe strano che, propria la santa sede violasse gli accordi o no?. Pacta sunt servanda
Il principio “pacta sunt servanda” vale finché i patti sono in piedi. Quando si modificano i patti, si devono osservare i nuovi. E la novità di TC supera i patti precedenti. Nessuno ha un rapporto privatistico con le forme rituali. E’ proprio questa mentalità distorta ad alimentare gli equivoci. I riti non sono privilegi che il papa può concedere a qualcuno. Questo non è cristianesimo, ma feudalesimo.
i patti però sono (almeno) bilaterali, e quindi una loro modifica richiede il consenso di tutte le parti che li hanno stipulati
a meno che non si ritenga che ogni patto può essere modificato unilateralmente, ma a questo punto bisogna trarne tutte le conseguenze
Ma come si fa ad applicare la teoria contrattuale alla tradizione liturgica? Bisogna essere profondamente distratti. Una cosa è affermare una idea, e un’altra cosa è trovare gli argomenti adeguati . Qui mi pare che siamo in alto mare.
Non condivido perché dietro quei patti ci sono scelte difficili di sofferenza e di fedeltà che una organizzazione seria deve garantire per non perdere totalmente la sua credibilità …….
Le scelte difficili non possono essere ambigue. I due riti non sono altro che lo stesso rito, in una forma superata e in una forma attuale. Gli equivoci che permettono ancora di usare il rito che non è più vigente, che usa un linguaggio e un immaginario che può anche risultare scandalosamente improprio per la espressione della fede, chiedono una soluzione diversa. Per questo invocare i “patti” mi sembra nascondere la testa sotto la sabbia.
Caro Professore io ho una diversa idea di Chiesa, la mia Chiesa è aperta alla diversità , anche liturgica, ed alla peculiarità ed a mio giudizio questa è la vera Chiesa conciliare, con una visione orizzontale e non gerarchica e granitica.
Inoltre ogni organizzazione ha gran cura della propria Tradizione e cultura, al contrario la Chiesa, con i suoi 2000 annoi di storia, butta tutto nella spazzatura o no?
Ma perché deve pensare di essere solo lei a custodire la tradizione. E queste esagerazioni! Non ha mai letto con quanta cura i teologi antichi scolastici e moderni introducono “distinzioni”? Ha mai sentito parlare di distinguere tra tradizione viva e tradizione morta, tra tradizione sana e tradizione malata? Come è possibile essere così ingenui da pensare che per esser cattolici bisogna per forza benedire i riti che maledicono il nemico e benedicono le armi? Io a volte non riesco a comprendere tanta ingenuità unita a tanta presunzione.