Per riflettere sull’ipotetica fragilità o forza dell’idea d’umanesimo nella civiltà contemporanea, propongo qui d’utilizzare come lente di lettura uno dei più resistenti nuclei d’umanità della storia cristiana; la mistica infatti, costituisce da sempre una culla di vivibili mondi, una sorgente generativa e ancora attingibile di compiute visioni umane. Il percorso che seguiremo sarà dunque un percorso testuale, un breve viaggio negli scritti d’una delle più feconde, quanto ancora sconosciute, personalità della mistica italiana moderna: Giovanna Maria della Croce.
Monaca dell’ordine di S. Chiara e donna di grande carisma, cui si deve la travagliata fondazione di ben due monasteri femminili nella provincia di Trento, Giovanna è autrice di un’officina letteraria di durata quasi quarantennale (1634-1672) che si sviluppa nella prolifica sperimentazione di vari generi della letteratura spirituale: dall’autobiografia agli undici libri delle Rivelazioni, dall’epistolario alle composizioni poetiche, fino al commento al Cantico dei Cantici. Due dati biografici appaiono fondamentali per comprendere il linguaggio che, come vedremo tra poco, traduce la sua spiritualità: l’esser figlia d’un padre pittore e l’avere un fratello violinista; tutto il sentire di suor Giovanna s’articola infatti principalmente sul binario della sensibilità visiva ed acustica, l’esperienza del divino procede per ‘quadri viventi’, pannelli figurativi che ricordano le grandi visioni di Maria Maddalena de’ Pazzi e Teresa d’Avila, una tra le sue più care guide.