Munera 1/2018 – Marina Di Lello Finuoli >> La destinazione a fini sociali dei beni confiscati alla criminalità organizzata

«Una rapida destinazione dei beni immobili improduttivi o costituiti in azienda ed una effettiva destinazione a fini sociali od istituzionali dei profitti derivanti da attività illecite costituiranno un beneficio inestimabile per le comunità sul cui territorio le attività illecite si sono dispiegate. Oltre a ciò, scomparirà o si attenuerà di molto il valore simbolico negativo di un potere mafioso, a volte intoccabile anche dopo una pronuncia dell’autorità giudiziaria, costituito da aziende, complessi immobiliari, ed altri beni, confiscati, mai utilizzati e lasciati deteriorare a fronte di una carenza cronica di sedi istituzionali, di aule scolastiche, di case, di centri sociali ed altro».

La citazione posta all’inizio del presente contributo riporta le parole con cui i promotori dell’atto C 1778 sintetizzano le finalità della legge 7 marzo 1996, n. 109: Disposizioni in materia di gestione e destinazione di beni sequestrati o confiscati. Approvata dalla Commissione Giustizia in sede deliberante in tempi e condizioni straordinarie, a legislatura già finita, la legge è il frutto della lungimirante intuizione dei parlamentari firmatari e della mobilitazione promossa dall’associazione Libera, che raccolse oltre un milione di firme a sostegno della proposta depositata in Parlamento.

La legge sulla destinazione dei beni, oggi trasposta nel decreto legislativo del 6 settembre 2011, n. 159 (c.d. codice antimafia), afferma un principio “nuovo”, che dà atto del significato della confisca dei patrimoni illecitamente accumulati dalle associazioni criminali: la “restituzione” dei beni alla collettività.

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