Una delle ultime occasioni per riflettere sui confini è stata ammirare il quadro di Pellizza da Volpedo Gli emigranti nello studio dove l’artista s’impiccò a trentanove anni. Superato il periodo di “schietto realismo”, nella sua pittura Giuseppe Pellizza sembra interrogarsi sul rapporto tra l’uomo, con le sue passioni e il suo dolore, e la natura che lo circonda, alla ricerca, sempre più affannosa, di una loro compenetrazione armonica. Il biondo capo della donna, ritta davanti alla valle del Curone, illuminato da quella luce della campagna sul far della sera che quasi fa distinguere ogni crine, è gettato al di là dello scorrere del fiume, della spossatezza delle membra dei compagni di viaggio e della fatica che si avverte nelle attività cui sono intenti i contadini, eroici nella visione di socialismo ideale cara all’autore. È questa una delle immagini più evocative dell’inesausta tensione dell’uomo a oltrepassare i confini, un’immagine che sembra lenire anche il dolore e il male di vivere.
L’uomo che asseconda tale natura si trova però costantemente di fronte a frontiere soprattutto politiche, a barriere a volte insormontabili.