Muovendo dalla Prima guerra mondiale, desidero affrontare in queste pagine il sentimento dell’odio, il suo contributo allo scatenamento delle ostilità nel 1914 e il suo evolvere fino ai giorni nostri. Al centro dell’attenzione saranno il nesso fra i sentimenti e la tecnica, le modificazioni e le costanti emotive che inducono l’homo necans a uccidere in modo sempre più asettico e tecnologico, all’insegna della “distanza”: una distanza spersonalizzante.
Nel primo conflitto tecnologico dell’Età contemporanea, il nemico resta in larga parte invisibile, rintanato in trincea: «Io mi ero sempre immaginato che la guerra si risolvesse in una mischia furibonda, in un cozzo di esaltati che si avventano gli uni contro gli altri, sostenuti dall’odio, accecati dal furore, esaltati dal sangue. Invece qui gli uomini non si vedevano, non si sentivano, la guerra si riduceva ad un impiego di mezzi posti a disposizione da una parte e dall’altra per annientarsi a vicenda», scrive Giuseppe Personeni.
Con questa lucida testimonianza siamo al cuore del problema: la prima conflagrazione mondiale inaugura “l’obsolescenza dell’odio”. Sì, ormai L’odio è antiquato, per dirla con Günther Anders.
Illuso dalla propaganda bellicista, Personeni, come tanti suoi coetanei, immaginava la guerra simile a una pugna omerica: quella fra Achille ed Ettore, per esempio. O come un’impresa cavalleresca. E invece si è ritrovato nel pieno delle “battaglie di materiali” meccanizzati e blindati, strumenti concepiti per annientare il “materiale umano” – e già questa reificazione dell’uomo, ridotto a semplice “materiale” al pari dei tank nelle tempeste d’acciaio, la dice lunga sulla disumanizzazione del fronte. Un fronte su cui l’industria bellica va sperimentando le prime armi di distruzione di massa e i gas (come l’yprite) che – passando per il Zyklon-B dei campi di sterminio – arriveranno sino ai crimini di guerra contro i civili iracheni e siriani dei giorni nostri.
Il dato nuovo della Grande guerra è “l’invisibilità del nemico”, ridotto a un “bersaglio lontano” di cui si è persa la percezione fisica.