Munera 3/2017 – Keith Hart >> Il capitalismo, ora e allora

Nella seconda metà del XX secolo, per la prima volta nella storia, il genere umano si è costituito in un’unica rete sociale interattiva. La società mondiale che ne è derivata è la nuova umanità universale – non un’ideale, ma il fatto concreto che 7,5 miliardi di persone hanno un disperato bisogno di nuovi modelli di aggregazione. Risulta ormai urgente l’obiettivo di costruire una società civile globale per il XXI secolo e, indubbiamente, ci siamo allontanati parecchio dalle speranze di libertà e di uguaglianza che si sono diffuse dopo la Seconda guerra mondiale e la Rivoluzione anticoloniale che ne è seguita.

La Rivoluzione borghese ha rappresentato il tentativo di sostituire il profitto alla rendita quale principio economico dominante, un cambiamento che implicava anche uno spostamento di enfasi dalla distribuzione alla produzione. I capitalisti presupponevano che i lavoratori avrebbero tratto vantaggio dalla vittoria sui proprietari terrieri, non da ultimo perché il costo dei beni alimentari si sarebbe ridotto. Karl Marx si prefiggeva di dimostrare come questa alleanza si basasse su una falsa premessa, dal momento che i capitalisti sfruttavano i lavoratori, i cui interessi sarebbero stati perseguiti meglio opponendoli, anziché uniformandoli, a quelli dei capitalisti. Marx ed Engels si convinsero che il capitalismo industriale di età vittoriana stesse per cambiare il mondo intero: erano pertanto sicuri del suo trionfo quanto lo erano gli economisti politici liberali, seppure per diverse ragioni.

Il capitalismo si è sempre basato su un contratto diseguale tra i detentori di grandi capitali e quanti producono e acquistano i loro prodotti. Tale contratto fa leva sulla minaccia per i lavoratori di perdere il proprio impiego e per i consumatori di non riuscire a pagare i prodotti acquistati. I capitalisti non possono sostenere questa minaccia da soli: hanno bisogno del sostegno dei governi, delle leggi, delle carceri, della polizia, anche degli eserciti.

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