Munera 3/2021 – Francesco Valerio Tommasi >> Pensiero e vita. Una via italiana alla filosofia

Al contrario di quanto avvenuto nell’arte, nella letteratura, nella musica, la filosofia non ha probabilmente conosciuto una tradizione specificamente italiana. La linea di pensiero empirista e poi lo sviluppo della corrente analitica sono proprie del mondo anglosassone, mentre il razionalismo e poi l’approccio definito – con un aggettivo derivato dal radicamento geografico – continentale si sono sviluppati in modo particolare in Francia e Germania; ciascuna di queste nazioni, poi, ha maturato nei secoli vere e proprie scuole, con dei padri fondatori chiaramente riconoscibili in Hobbes, Cartesio o Kant.

I fattori che possono contribuire a spiegare questa circostanza sono senza dubbio molteplici, e non si lasciano ricondurre a una causa univoca. Un presupposto necessario allo stabilirsi di una scuola filosofica nazionale è senza dubbio la lingua: tutte le tradizioni menzionate sono moderne, e sorgono pressoché in concomitanza con il passaggio dall’uso del latino all’uso dei volgari come lingue anche scientifiche. Difficilmente definiremmo Tommaso d’Aquino un pensatore italiano, o Agostino d’Ippona un pensatore algerino. Infatti, pensatori più propriamente qualificabili come italiani, quali Niccolò Machiavelli, Giordano Bruno o Giambattista Vico, utilizzano l’italiano come lingua.

Da questo punto di vista, il predominio nella diffusione di alcune lingue ha giocato e gioca tuttora un ruolo nel contribuire a sostenere anche il pensiero.

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