Munera 3/2021 – Raffaele Mellace >> Il suono di Dante

Che la musica significasse molto per Dante, è lui stesso a dircelo. Ne esalta il potere irresistibile nel Convivio (II, XIII,24): «La Musica trae a sé gli spiriti umani, che sono vapori del cuore, sicché quasi cessano da ogni operazione: si è l’anima intera, quando l’ode, e la virtù di tutti quasi corre a lo spirito sensibile che riceve lo suono». La dichiara luogo della presenza di Amore nella Vita nova (XII,8): «Queste parole […] falle adornare di soave armonia ne la quale io sarò tutte le volte che farà mestiere». La frequenta soprattutto nella Commedia, con la ben nota sensibilità nell’accordare l’evocazione di qualsiasi fenomeno (dunque, anche quelli musicali) alla condizione spirituale degli interlocutori (dannati, penitenti, beati) e al paesaggio ultraterreno che ne costituisce l’emanazione. Così la musica tace completamente all’Inferno, luogo adatto soltanto a sonorità aspre, dolorose, indecenti, presentate già dal primo, celebre impatto dei due viaggiatori, accolti da un concerto dell’orrore: «Quivi sospiri, pianti e alti guai / risonavan per l’aere sanza stelle ecc.» (Inferno III,22-30), vero campionario di suoni disarmonici. Risuona invece ovunque, e «dolcemente», nel Purgatorio, nel- la memoria dei professionisti (musicisti, liutai, trovatori) che l’hanno praticata in vita: Casella, che accenna a una canzone su testo di Dante (Purgatorio II,112-117), Belacqua, Sordello, Arnaut Daniel, e nei canti liturgici intonati dai penitenti ad accompagnare il pellegrinaggio per antonomasia. Infine, è simbolo di sublime, estatica armonia la «dolce sinfonia di Paradiso» (Paradiso XXI,59).

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