Il Manifesto - 09.02.2007
di
Augusto Illuminati
Lo schiavismo moderno e caritatevole di von Hayek
Nel saggio "Novecento negato" Paolo Ercolani indaga l'opera dello studioso austriaco e il suo rifiuto dello stato sociale come del suffragio universale
Il culto ufficiale dei grandi maestri del pensiero liberale fa ormai talmente parte non solo del pensiero unico della globalizzazione ma anche della specifica cultura "riformista" della sinistra italiana (basti pensare all'intitolazione a Tocqueville della scuola quadri del futuro Partito Democratico) che viene da tirare il fiato quando compare qualche critica azzeccata dei santoni ell'individualismo metodologico. E' il caso del Novecento negato. Hayek filosofo politico di Paolo Ercolani (prefazione di Domenico Losurdo, Morlacchi editore, pp. 194, euro 17), che rilegge il pensiero di Friedrich von Hayek, evidenziandone un carattere molto particolare nell'ambito del liberalismo corrente. Infatti, se nel liberalismo classico la lodevole esaltazione della libertà formale individuale si accompagnava a clausole di esclusione che ne tenevano fuori gli schiavi o le classi subalterne o i popoli extra-europei e se nel liberalismo novecentesco (da Kelsen a Popper a Rawls) risultano incorporate molte delle libertà sostanziali storicamente conquistate, Hayek rimette in discussione proprio queste ultime, regredendo esplicitamente rispetto alla fusione moderna di motivi liberali e democratici, anzi assumendo un esplicito atteggiamento anti-moderno. In una strana scissione i migliori temi liberali (fallibilità della conoscenza, libertà individuale, opposizione al totalitarismo) si accoppiano a un lato "notturno" di cui è esempio il rifiuto non solo delle misure interventiste dello stato sociale ma dello stesso suffragio universale, negato agli strati più poveri e a volte anche alle donne.
Lo stesso rifiuto della pianificazione consapevole comporta non solo l'esaltazione dell'ordine spontaneo ma la riabilitazione della tradizione, che corregge con la carità del conservatorismo compassionevole i guasti di una distribuzione libera della ricchezza.
Ercolani analizza chiaramente i presupposti epistemologici di Hayek, distinguendoli dal fallibilismo popperiano: infatti i primi rinviano a una dispersione ineguale della conoscenza fra i bagagli genetici individuali compensata da una tradizione superindividuale trasmessa in modo non genetico, mentre il secondo si mantiene entro uno schema epistemologico universale di tipo kantiano, di approssimazione indefinita a una verità oggettiva. Per Hayek l'imprevedibilità dell'agire umano, e dunque l'ignoranza costitutiva in quanto incompletezza, derivano proprio dai meccanismi arbitrari e soggettivi legati alla singola percezione ed esperienza. L'uomo agisce non per istinto geneticamente predeterminato né per ragionamenti astratti, ma per facoltà imitativa organizzata secondo tradizioni locali che possono evolvere. Di qui la critica del razionalismo costruttivista, cui viene contrapposto non solo il confronto delle opinioni ma anche la libertà delle azioni regolate dalla competizione sul mercato, che soddisfa i bisogni secondo criteri non sempre corrispondenti alla scala di priorità della maggioranza. La priorità conferita alla tutela della proprietà individuale e del mercato distingue ancora una volta l'anticostruttivismo di Hayek dal concetto popperiano di società aperta, che si fa carico anche delle esigenze di cooperazione sociale e ammette interventi correttivi parziali, portandolo invece a negare ogni forma di ingerenza statale e legislazione coercitiva dei meccanismi impersonali di formazione dei prezzi e di allocazione delle risorse. Di qui, anche la polemica con la teoria della giustizia di Rawls e, nella sua ultima opera degli anni '70, il tentativo (diretto essenzialmente contro Kelsen) di foggiare uno schema di democrazia limitata, in cui gran parte della legislazione sia costituzionalmente separata dalla temibile dittatura di una maggioranza e collegata piuttosto all'evoluzione spontanea della norma. Per fare un esempio suggestivo: si prevede un reddito umano garantito per chi non riesce a stare sul mercato, ma lo si esclude dal diritto di voto. Un moderno schiavismo caritatevole.
Corriere della Sera - 27.01.2007
di
Dario Fertilio
Se il grande Hayek diventa Mr. Hide
Il vecchio, grande Friedrich von Hayek, premio Nobel per l'economia nel 1974 e padre del pensiero liberale moderno, si sarebbe senz'altro divertito a leggere il saggio intitolato Il Novecento negato che gli ha dedicato lo studioso Paolo Ercolani, dell'Università di Urbino (con prefazione di Domenico Losurdo, edizioni Morlacchi). La ben nota ironia mitteleuropea di Hayek avrebbe trovato pane per i suoi denti nello scorrere le argomentazioni impietose e sottili contenute nel libro. Ercolani lo dipinge (letteralmente) alla stregua di un dottor Jekyll-Mr. Hide, ovvero come un liberale di facciata che coltivava in segreto le più inconfessabili inclinazioni elitarie, misogine, antipopolari, ostili alla democrazia, incarnando il tipo umano dell'aristocratico (quale in realtà era, come si evince dal "von") e sostenitore del diritto dei ricchi a prevaricare sui poveracci. Il bello è che questo Hayek-Mr. Hide, a giudizio di Ercolani antiliberale e nemmeno classificabile tra i conservatori, ma decisamente reazionario, era effettivamente una personalità geniale e contraddittoria, un cavallo di razza soggetto alle impennate e probabilmente tentato come tutti dai lati oscuri della vita. Ma ridurlo a una specie di vampiresco nemico della modernità è un'operazione ideologica figlia di una cultura legata al secolo scorso. Piuttosto, l'attacco al pensiero di von Hayek ottiene un effetto paradossale: porta alla luce, insieme alla giovinezza provocatoria del suo pensiero, la vecchiaia politicamente corretta dei suoi critici. E non erano proprio le conseguenze non intenzionali delle azioni umane un caposaldo intellettuale del vecchio Hayek?