Leggendaria - 25.01.2008
di
Claudia Vitale
Il globale e l’intimo: luoghi del non ritorno
a cura di Liana Borghi e Uta Treder, Morlacchi, Perugia 2007
Questa terza pubblicazione del gruppo fiorentino della Società delle Letterate (SIL), che compare dopo Canonizzazioni (2000) e La perturbante (2003), è uno studio provocatorio e innovativo nato sullo spunto di intense riflessioni teoriche, oggi soprattutto prodotte da donne, nella cornice del VI convegno nazionale della SIL intitolato “Sconfinamenti”. Tali “sconfinamenti” hanno di per sé generato un nuovo tema, apparentemente più circoscritto ma più ricco e stimolante, sul rapporto dinamico e delicatissimo fra “il globale” e l’intimo” nella realtà delle donne (i due termini sono collegati quanto lo sono “il personale e il politico” secondo quanto scrive Liana Borghi). Il volume nasce dunque su spinte – emotive, politiche e intellettuali – che si intrecciano e si potenziano per dare vita a un ripensamento individuale e collettivo sull’odierna dimensione del femminile.
Ripensare lo spazio privato, con tutto ciò che esso ha rappresentato e ancora oggi rappresenta per la donna (l’interiorità, la casa, la lingua-madre) mettendolo in connessione con il globale (il mondo, la società patriarcale, l’altro da sé), significa confrontarsi con i pilastri su cui ruota la stessa costruzione dell’identità delle donne al fine di sviluppare nuovi percorsi interpretativi. Tale ripensamento si gioca infatti tutto sull’endiadi presente nel titolo, su quella congiunzione e che vuole mettere in relazione due dimensioni solo apparentemente discordanti e contrapposte, perché il rapporto fra il globale e l’intimo per le donne è in realtà di “stampo analogico, ovvero di corrispondenza e mutua implicazione” (Monica Farnetti). La relazione esistente fra i due termini va dunque intesa come sinonimo di “passaggio”, di “soglia” (Luciana Floris), ossia come quel luogo di intersecazione che si dilata nello spazio infinito del “tra”, dello “in-between”. Questo tipo di sapere, brillantemente definito da Monica Farnetti di stampo “relazionale”, sottolinea quella componente emotiva ed emozionale del fare esperienza del mondo che solo le donne conoscono. Un tipo di sapere che è formativo perché vissuto nella carne, sentito nel “cuore”– elemento con cui significativamente si chiude il saggio di Farnetti – inteso quale centro vivo e pulsante di ogni creatura.
Dal cuore, in termini affatto banali o naif, parte dunque la conoscenza del mondo al femminile, che va intesa come “moto ondoso” in perenne trasformazione, significativo rimando alle Waves di Virginia Woolf, non a caso autrice spesso menzionata nel volume. Le Waves fanno da eco a questo mondo marino e acquatico delle donne, il cui sapere si nutre di relazioni, di memorie, di moti dall’io al tu, di empatia ossia di vita e perciò agli antipodi rispetto ai principi della società patriarcale: la linearità e la rigidità che tende alla morte. Sapere vivere in tale condizione esistenziale equivale al saper “abitare la soglia” (significativo titolo del saggio di Luciana Floris), saper vivere secondo un “principio di instabilità” e di sospensione che è arricchimento e risorsa vitale (Uta Treder), saper “esser stranieri” (Maria Letizia Grossi) perché l’io non è unità immobile e compatta bensì, come la definisce Rosi Braidotti “nomadica”, e perché anche lo stesso luogo di nascita è attraversato da nomadismi e trasformazioni incessanti, da un perenne “passaggio” (Eleonora Chiti) in cui la porta della storia non risulta “né aperta né chiusa” ( Clotilde Barbarulli).
Analizzando opere di note scrittrici appartenenti.a diversi periodi storici e a diverse nazionalità (Anna Maria Ortese, Hélène Cixous, Dolores Prato, Sujata Bhatt, Eva Hoffman, Bettina Brentano, Karoline von Günderrode, Emily Dickinson, Ingeborg Bachmann, Christa Wolf, Elfriede Jelinek), e personaggi femminili particolarmente significativi che hanno un peso nell’immaginario collettivo (Penelope, Alice nel Paese delle Meraviglie), le autrici dei saggi tracciano un percorso di riflessione che si sviluppa a partire dalla letteratura di viaggio intesa quale dimensione che attesta un nuovo senso di “avventura” propriamente femminile, un viaggio concepito dalle donne quale dilatazione di un universo interiore (Monica Farnetti) o più in generale, di una sfera emotiva che tende all’esterno (Rita Svandrilik).
Su questa spinta si muovono tutti i saggi del volume, incentrati su aspetti chiave della cultura di donne e concatenati fra loro dall’idea di “trasformazione”, “dilatazione” e “metamorfosi” il cui linguaggio si fa metalinguaggio, ossia riflessione rivolta al mondo sulla perdita di sé, sulla perdita della “lingua madre” (Brenda Porster). Il linguaggio adottato è dunque quello “di margine di frontiera”, di “confine”. Un confine che è prima di tutto sinonimo di uno “stare accanto” che si concilia con una scrittura metonimica che è “forse una caratteristica di molta grande scrittura femminile” (Maria Luisa Wandruszka). La forza dei saggi sta nella loro stessa capacità di sconfinamento che tocca indirettamente temi di varia natura anche attualissimi, non ultimi i recenti studi in campo neuroscientifico che hanno dimostrato l’importanza del sapere emotivo anche in campo cognitivo .
Fare esperienza del mondo al femminile significa dunque in primo luogo “sentire”, “relazionarsi”, “amare” col corpo o, nelle parole di Stefania Zampiga, la cui preziosa performance chiude il volume e gli dà senso, conoscere un “desiderio di contatto” in cui le parole, che sono “abbracci e carezze con propri colori e ritmi”, vincono la morte e riscoprono nuove, infinite modulazioni e “sconfinate” possibilità di comunicazione.