Conquiste del lavoro - 06.06.2009
di
STEFANO CAZZATO
La filosofia dell’uomo a venire
Compito di una critica filosofica è quello di restituire visibilità ad aspetti trascurati della produzione di un autore e di riaprire idee troppo spesso ermeticamente chiuse nelle loro comode etichette. E di non dare mai nulla per scontato, nemmeno quelle interpretazioni che sembrano assestate e consolidate dalla tradizione. Su un filosofo come Feuerbach sembrava che fosse stato detto tutto, visto che una copiosa letteratura ha fatto di lui un materialista a trecentosessanta gradi, il critico dell'alienazione religiosa a sua volta criticato da Marx, un pensatore rivolto più a distruggere i sistemi dell'idealismo e dello spiritualismo che a indicare nuove strade della filosofia. E poco ci si è interrogati sulle parti costruttive del suo pensiero e sull'influenza, esplicita e implicita, che hanno esercitato nella cultura filosofica del Novecento.
Con un suo recente lavoro intitolato Dalla filosofia della morte alla filosofia della vita. La prospettiva etica dell'io-tu in Ludwig Feuerbach (Morlacchi, 2009, pp.144), Giuseppe Moscati ha voluto riaprire il discorso sul filosofo tedesco presentandoci, attraverso una disamina attenta che va dagli scritti degli anni giovanili alle opere della maturità, un pensatore inedito rispetto alle letture deterministiche, capace di integrare in una coerente visione esistenziale finito e infinito, sensibile e spirituale, l'individuo e la specie, la caducità degli esseri e l'eternità dell'essere.
Se Fuerbach fu materialista, sostiene l'autore, lo fu in modo del tutto atipico, per una serie di ragioni: per il debito nei confronti dell'idealismo dal quale, come molti giovani della sinistra hegeliana, prese le distanze ma non quanto si è soliti credere; per aver incrociato produttivamente religione, filosofia, antropologia e politica; per l'affermazione dell'integralità speculativo-pratica della persona, irriducibile alla sola dimensione biologica dei bisogni; per la priorità assegnata all'etica rispetto alla logica, e in particolare a un'etica dell'io-tu, della relazione e dell'incontro con l'altro.
'Feuerbach - scrive Moscati – vede l'esistenza come qualcosa di colmo di contenuto, addirittura come un grembo inesauribile di quella che è la più grande molteplicità di connessioni ma soprattutto come un mondo che si riempie di altro, che anzi non è se non con altro, in altro, per altro'.
L'esistenza dell'altro costituisce il limite della soggettività umana ma anche la possibilità del suo superamento. Ed espressione suprema di questo oltrepassamento è l'amore, quel sentimento che la tradizione cartesiana aveva collocato sullo sfondo delle questioni etiche e che Feuerbach riporta in primo piano per la sua capacità di affermare il tu, sottraendolo alla negazione, al nulla, alla morte.
Su queste basi dialettiche e dialogiche viene ricostruito il percorso di maturazione di quella filosofia dell'avvenire che rappresenta il risultato più maturo, meno conosciuto e probabilmente più resistente dell'opera di Feuerbach. Al cuore di questa filosofia troviamo l'etica e al cuore di quest'etica troviamo, secondo Moscati, un'esigenza pubblica di comunicazione e di intesa tra gli uomini. Un'intesa che parte dal basso, in quanto sostituisce il principio di responsabilità a quello di autorità, religiosa o politica che sia. Si potrebbe dire che la filosofia dell'avvenire è dunque la filosofia dell'uomo a venire, chiamato a uscire dal suo stato di minorità e di isolamento e a diventare adulto di fronte alle sfide della comunità e della storia.