Il Messaggero - Umbria - 30.05.2002
di
Marcella Calzolai
La 'bussola' dell'innovazione è la preparazione professionale
Identikit formativo dell'imprenditore: il caso dell'Umbria' (Morlacchi editore) è una ricerca condotta da Maria Caterina Federici, con la collaborazione di Sabrina Angiona, Sabrina Ferone, Silvia Fomari, Rosita Garzi, Lorella Loffredo, Giorgia Menciotti e Michela Tramonti. La premessa è che, di fronte al processo di globalizzazione e di internazionalizzazione dei mercati, il futuro delle imprese dipende in gran parte dalla capacità di rischio e di intraprendenza degli imprenditori, ma anche e soprattutto dalle loro conoscenze teoriche e dalle competenze tecnico professionali specifiche, che li potranno aiutare nei processi decisionali. La preparazione tecnico professionale dunque, diventa oggi, ancor più che in passato 'la bussola della razionalità' e la guida al mutamento economico incessante. Di qui l'importanza di delineare l’identikit formativo dell'imprenditore umbro.
La realtà economica umbra registra la presenza di oltre cinquemila imprenditori. L'indagine ne ha coinvolti 133, intervistati direttamente.
Spiega Maria Caterina Federici, docente di Sociologia nella Facoltà di Scienze della formazione dell'Università di Perugia: «La ricerca ha l'ambizione di costituire un punto di partenza per ulteriori spunti di ricerca, poiché il procedimento di ricerca parte sempre dai problemi pratici, o, come scrive Popper, da una teoria che si è imbattuta in difficoltà, che ha fatto nascere 'aspettazioni' e poi le ha deluse. La ricerca parte dai problemi e va alla 'ricerca', appunto, della soluzione dei problemi».
E ora sono gli umbri a due velocità
PERUGIA – L’imprenditore umbro? Deve il suo successo all’aria di famiglia che ha respirat, tanto più se è donna. Oppure è un “rampante”, nuova generazione del “selfmade–man”. Il primo è più tradizionalista e conservatore, l’altro più spregiudicato e intraprendente. Il primo – traducendo nel linguaggio della sociologia – più vicino alla figura dei Rentiers (vive di rendita e nella rendita stagna) di paretiana definizione, il secondo agli Speculateurs (ama l'azzardo e innova). Il primo opera essenzialmente nel nord della regione, il secondo nell'area ternana. E non è un caso.
La fotografia è stata 'scattata' dalla ricerca, 'Imprenditore umbro e formazione: tipologia locale e mercato globale', a cura di Maria Caterina Federici. L'obiettivo dell'indagine era capire come l'imprenditoria umbra si rapporta a una realtà economica in continuo movimento, in cui la formazione è fondamentale. E diverse sono le sorprese emerse: La prima è di fondo.
Poca università...
C'è un'incidenza ancora troppo elevata di giovani imprenditori che hanno concluso gli studi senza arrivare all'università e senza seguire alcun percorso formativo alternativo. Il livello di scolarizzazione risulta relativamente medio e, incrociato con le esperienze formative successive, si abbassa maggiormente la percentuale di coloro che, terminati gli studi scolastici, non hanno frequentato alcun corso di formazione in materia imprenditoriale. E ciò nonostante che una buona parte degli imprenditori umbri mostri di credere nella formazione del capitale umano. Le motivazioni?
e aria di famiglia
Fortemente presenti in Umbria sono ancora le imprese a carattere familiare, soprattutto nell'area del perugino. E questo ha un riflesso importante nella formazione dell'imprenditore. Infatti, la trasmissione delle conoscenze da una generazione all'altra avviene, tuttora, attraverso l'affiancamento e l'osservazione della generazione al potere. Che insegna all'emergente, con un bagaglio di conoscenze solo teoriche, ciò che è necessario 'fare' in azienda. Ma tanto basta ad un imprenditore moderno si chiedono i ricercatori per misurasi con il mercato globale, se non c'è anche un percorso formativo completo?
La sorpresa donna
Ad essere più sensibili dei colleghi maschi al problema della formazione sono le imprenditrici donne. Che sono riuscite ad elaborare strumenti e strategie di autoimpiego e di reinserimento professionale, spesso reinventandosi un'occupazione indipendente in settori a forte potenziale di crescita occupazionale, come, ad esempio, comunicazione, cura e servizi, no profit, agriturismo. Di necessità, virtù (si potrebbe pensare). Come sia, la ricerca registra che da presenza femminile nel mondo del lavoro rappresenta uno dei cambiamenti più profondi della cultura della società occidentale. Anche in Umbria.
Via col terziario
Ma la vera novità arriva dal terziario avanzato. Negli anni Ottanta il sistema economico umbro ha subito forti cambiamenti, segnato dall'indebolimento del settore industriale e dalla diminuizione dell'occupazione nei settori tradizionali. Ma, mentre l'area perugina è rimasta adagiata essenzialmente sull'impresa di famiglia, nel territorio ternano si assiste, via via, ad una crescita delle attività terziarie, favorita dalla presenza di numerose competenze specialistiche nelle grandi industrie. E non tanto in funzione della economia locale, dove la domanda è scarsa, quanto proiettata a livello internazionale. Si parla di servizi inerenti la programmazione e organizzazione e il marketing.
Chi osa e chi no
Ed ecco che a questo punto risulta più chiara, e motivata, la doppia fisionomia dell'imprenditore umbro. L'imprenditore di beni materiali 'nasce' dalla tradizione familiare, spinto (nel 98% dei casi) dal padre ad intraprendere, con la famiglia che continua ad avere un ruolo determinante all'interno dell'azienda. L'imprenditore del terziario avanzato sembra, invece, non essere stato influenzato da alcuno nella sua scelta e quella attività consente, per la maggior parte, di mettere alla prova la sua capacità di acquisire una propria identità in termini di sfida e di prestigio. La sua scelta è legata allo sviluppo della propria personalità e al raggiungimento di una elevata job satisfaction. E' perciò, suggerisce la ricerca, che (imprenditore del terziario avanzato in Umbria possiede nuove potenzialità.
Qui lobbying
E che relazione c'è con le 'reti associative'? Gli imprenditori intervistati sono stati riluttanti a rispondere su questo tema, anzi la maggior parte non ha proprio risposto. Il che, secondo (indagine, dipende da due fattori: da un lato, dalla fisionomia dell'economia locale, caratterizzata soprattutto da piccole e medie imprese, molto legata al territorio e poco aperta alla realtà internazionale; dall'altro lato, dal fatto che aumenta sempre più l'offerta di rappresentanza ma perde peso il potere di rappresentanza. Il riscontro si ha dal fatto che a credere nel potere associativo sono soprattutto gli imprenditori di seconda generazione, mentre pochi sono i più giovani (sotto i 39 anni) e i più anziani (oltre i 59 anni).
La spiegazione, secondo la ricerca, sta nel fatto che gli imprenditori di terza generazione sono persone già affermate, che hanno dovuto 'farcela da soli'. Selfmade men, uomini che hanno saputo investire in prima persona le loro risorse fisiche ed economiche per la realizzazione di un'azienda propria, rischiando tutto per un futuro successo. Inoltre, le associazioni di categoria sono viste, dai più, come attività di lobbying. E, anche per questo, funzionali soprattutto agli interessi delle maggiori aziende.
'Cappa' e... spada
Tirando le somme, l'imprenditoria umbra è ancora molto ripiegata sul territorio, poco attenta alle dinamiche della globalizzazione, sottovaluta l'importanza della formazione. Ed è soprattutto l'area del perugino che sembra stagnare sulla tradizione, mentre quella ternana, toltasi di dosso la 'cappa' della grande impresa, ha sguainato la spada, cominciando a mettere a frutto le spinte e gli stimoli che la stessa grande impresa ha lasciato in eredità. Tutt'altro che l'aria di famiglia. Una volta, quando c'era nel Perugino il dinamismo delle grandi (e meno grandi) famiglie e dall'altra la grande 'mamma' Terni, si parlava dell'Umbria due velocità. Ora abbiamo gli umbri a due velocità.