Abstract
È questione non da oggi dibattuta se nella rappresentazione artistica l’ombra stia a indicare un’assenza o una presenza, se essa evidenzi uno spazio vuoto, riempito appunto dalla proiezione di qualcosa che non è lì, ovvero se rimandi, con i suoi contorni che si stagliano rispetto a una o più zone di luce, a un volume, a una massa incombente e quindi, come tale, anche quando non visibile, molto presente.
Questo gioco ambiguo di essere e non essere sembra uno dei fili conduttori delle opere di Mario Panizza della raccolta Ombre e sagome qui presentate: incerto, lo spettatore s’interroga sulla reale natura delle sagome che si delineano dinanzi al suo sguardo e che, nella loro moderna essenzialità, richiamano le raffigurazioni che i primi uomini, a dar vita a una rappresentazione artistica, tracciarono sulle pareti delle grotte nella notte dei tempi.
Ma alla fine, più forte di qualsiasi richiamo alle masse che la originano, l’ombra rappresenta un’occasione figurativa.