La trasformazione delle indulgenze. Dalla chiesa medievale alla chiesa di Francesco


 indulgenza

Raccontava un Arcivescovo, quasi 15 anni fa, di un curioso episodio avvenuto in occasione di una “visita ad limina” dei Vescovi del Brasile. Arrivati alla Congregazione per la Dottrina della fede, essi avevano dovuto ascoltare una pressante raccomandazione del Prefetto di allora (il card. Ratzinger) perché insistessero sul tema del “purgatorio” nella pastorale di base in Brasile. A questa sollecitazione, l’Arcivescovo in questione chiese la parola e disse: “Eminenza, come possiamo parlare del purgatorio ad un popolo che spesso è condannato a vivere all’inferno?”

In questa battuta si concentra un modo di pensare il rapporto della fede con la vita, con il peccato e con la morte, che acquista particolare evidenza in questo tempo giubilare, nel quale appare assai chiara la differenza tra chiesa medievale e chiesa contemporanea. Questa differenza non può essere presentata come una “trascuratezza” o una “liquidazione” della tradizione determinata da papa Francesco. Si tratta piuttosto di una evoluzione interna alla prassi, alla disciplina e alla dottrina cattolica circa la penitenza, sulla quale l’occasione del giubileo può giustamente consigliare una riflessione di fondo. Sarebbe piuttosto chi si limita a ripetere la tradizione medievale, senza pensarla adeguatamente, a risultare trascurato e liquidatorio…

Penitenza e indulgenza: una relazione complessa

Le indulgenze, come “remissione della pena temporale”, prendono senso in un mondo ecclesiale incline ad una capillare esperienza del “fare penitenza”. Intervenendo “festivamente”, le indulgenze interrompono saltuariamente una “logica feriale” secondo la quale ad ogni peccato grave perdonato da Dio corrispondono lunghi tempi di cambiamento, di rinuncia, di fatica, di “lavoro su di sé”. Questo mondo penitenziale, rispetto al quale le indulgenze irrompono come “festa”, oggi non esiste più. E questo è frutto non del mondo moderno o della nequizia dei tempi, ma della evoluzione della prassi e della disciplina ecclesiale, che ha reso molto più frequente la esperienza del sacramento, sottraendo sempre più spazio al “lavoro penitenziale”. In una chiesa, nella quale si moltiplicano le occasioni feriali di “celebrazione del sacramento”, viene eroso gradualmente lo spazio festivo della indulgenza medievale. Già la Chiesa postridentina ha conosciuto questa evoluzione. Ancor più questo è accaduto nella Chiesa del 900. Questo ha messo in moto non solo la disciplina, ma anche la dottrina, che tra Paolo VI, attraverso Giovanni Paolo II, fino a Francesco, ha subito un grande cambiamento.

Ciò che oggi sperimentiamo è, per certi verso, l’opposto di ciò che accadeva 700 anni fa. Nel Medioevo le indulgenze “attenuavano il duro regime penitenziale”, mentre oggi, se possibile, le indulgenze dovrebbero riaccendere il gusto, il desiderio e il compito di un “lavoro su di sé”. Per questo il “tema” ha ancora intatta la sua attualità: ma deve essere usato “al contrario”. Non per dispensare dal lavoro penitenziale, ma per stimolare verso di esso. E questa a me pare la logica, perfettamente coerente, che leggiamo nella Bolla Misericordiae vultus. Il “tempo della penitenza” non è solo “dono di grazia”, ma “risposta di libertà”.

Penitenza e purgatorio: una evoluzione non univoca

Questa evoluzione storica, che A. Catella ha bene presentato nel libretto A. Catella – A Grillo, Indulgenza, San Paolo, 2015, ha il suo riflesso anche sul modo con cui pensiamo la indulgenza in rapporto con i defunti. Come sappiamo, la “nascita del purgatorio” avviene precisamente con uno “spostamento semantico” del termine, che passa dalla storia alla metastoria. “Purgatorio” indica, fino al XII secolo, solo il “tempo di penitenza dei vivi”. Aver creato una categoria attribuita stabilmente ai defunti, come “anime purganti”, ha aperto una pratica della indulgenza per i defunti che è diventata del tutto prevalente. Ma anche qui la evoluzione dei “novissimi” deve renderci molto cauti nell’usare semplicemente le “categorie medievali” per interpretare il nostro tempo. Basti pensare che spostare la “pena temporale” oltre la morte significa introdurre una “escatologia intermedia” che risulta oggi particolarmente problematica. Tra la morte di ogni soggetto e il giudizio universale la differenza è evidente solo per chi vive, non per l’”anima del defunto”, che è già “fuori dal tempo”. E’ del tutto inevitabile che, in una tale coscienza contemporanea, la categoria di “pena temporale” mantenga tutto il suo significato e anzi abbia bisogno di poderosa ripresa per quanto riguarda i vivi, ma trovi insuperabili difficoltà per essere applicata ai defunti. Pregare per loro, con loro e chiedere la loro preghiera resta un segno insuperabile di “comunione”, ma trova la sua forma piuttosto nella eucaristia domenicale che non nella indulgenza giubilare.

La scommessa del Giubileo e il “sentire cattolico”

Tutta questa evoluzione, che è iniziata già con il Concilio Vaticano II e con Paolo VI, è avvenuta in continuità con una idea molto importante, formulata con chiarezza dal Concilio di Trento: ossia con la differenza tra “perdono del peccato” – dono di grazia – e “remissione della pena” – in cui la grazia collabora strutturalmente con la libertà. Il “sentire cattolico” difficilmente potrà rinunciare a questa bella intuizione. Ma proprio per restare fedele a se stessa, la tradizione cattolica non deve esitare ad adeguare le sue categorie alla storia che cambia. In una Chiesa che è “iperpenitenziale” – come quella medievale e moderna – le indulgenze funzionano da “valvola di scarico” rispetto al duro lavoro penitenziale; in una Chiesa “ipopenitenziale” – come quella tardo-moderna – le indulgenze collaborano invece ad un rilancio del fare penitenza ordinario. Usare il concetto medievale di indulgenza nel contesto tardo-moderno significherebbe invece incentivare una lettura “deresponsabilizzante” della conversione. Per questo a me pare del tutto opportuna la scelta con cui Francesco, deritualizzando e dislocando la indulgenza, l’ha resa molto più prossima ad un annuncio di grazia che abilita ogni soggetto alla propria libertà responsabile. In piena coerenza con un “sentire cattolico” che non considera una vergogna avere amici protestanti ed ebrei dai quali imparare qualcosa di importante, anche sul modo di pensare e di vivere le “indulgenze”.

 

Share