La storia di Bibihal Uzbeki, la migrante afghana di 105 anni che sogna un futuro migliore in Europa, e che il figlio e il nipote si sono caricati in spalla durante il lungo e faticoso viaggio,[1] è una storia incredibile che ci fa tornare a credere nell’umanità.
Niente in questa lunga vicenda dei migranti, che ha tutte le caratteristiche di una tragedia appena iniziata, ci sembra umano. Non le condizioni di miseria, di guerra, di violenza, di oppressione, da cui queste persone scappano. Non gli interessi di chi si prende “cura” dei loro spostamenti: organizzazioni criminali senza scrupoli che sfruttano i sogni e i risparmi di persone senza più alternative e che li abbandonano spesso a un destino atroce. Non l’“accoglienza” dei Paesi europei, che hanno eretto contro questa enorme massa di disgraziati, inermi e indifesi, muri e barriere degni dei più potenti eserciti. Non le parole che sono risuonate nei più influenti contesti pubblici – politici, economici e intellettuali – dell’Europa: un’Europa ricca e potente che una massa di poveri inermi e indifesi ha fatto vacillare fin nelle sue fondamenta.
In tutta questa vicenda, la storia di Bibihal Uzbeki ci restituisce fiducia nell’umanità: nella sua capacità di sperare, di amare, di includere, di mettere le relazioni al primo posto.
Bibihal non si è sentita troppo vecchia per intraprendere il suo lungo viaggio: anche un solo giorno nella sua nuova vita avrebbe valso la fatica.
Non sapremmo dire di preciso che cosa sia la speranza: essa è terrestre e celeste al contempo, sappiamo che è iscritta nelle nostre stesse carni, eppure ci giunge e ci sorprende sempre dall’esterno. Ma sappiamo per certo che la storia di Bibihal è in sé speranza: è la testimonianza, umile e sconvolgente, di chi non ha paura di cominciare e sempre di nuovo ricominciare: di chi calcola in modo differente, di chi non si chiede se ne vale la pena, di chi sa che ne vale comunque la pena.
Non hanno ritenuto che fosse troppo vecchia, Bibihal, i suoi parenti. Non hanno ritenuto che il peso del suo corpo di ultracentenaria avrebbe inutilmente appesantito un viaggio già pesantissimo. No, Bibihal è apparsa un carico leggero, un “dulce pondus” che avrebbe reso più leggero il viaggio di tutti. Ci si salva tutti insieme o si è tutti perduti: anche solo per un giorno.
In un’epoca che valuta il valore delle persone per l’efficienza, le performance, i rendimenti di cui queste sono capaci, la storia di Bibihal ci sconvolge e ci riconcilia con la nostra umanità. Nel tempo dei muri, delle barriere, delle discariche umane, delle paure e del “si salvi chi può”, la famiglia umana scopre di essere la famiglia di Bibihal. E si riscopre, così, umana.
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Davide Zordan, il nostro amico Davide, ci ha lasciati il 25 ottobre scorso. Nato a Brescia il 24 maggio 1968, Davide ci ha lasciati troppo presto, vinto da una malattia che ha affrontato con determinazione e con straordinaria serenità. Alla moglie Lucilla e al piccolo Federico esprimiamo tutto il nostro affetto e la nostra vicinanza. A Federico vogliamo dire che suo papà, della cui presenza ha potuto godere per un tempo troppo breve, è stato una persona straordinaria, per intelligenza e per umanità: un genio umile, se così possiamo dire.
Davide ha tenuto per «Munera» la rubrica Fotogrammi, di recensioni cinematografiche, per due anni, dal 2013 fino a quando la malattia gli ha permesso di scrivere. Era contento di questo spazio e noi siamo stati contenti e orgogliosi di ospitare le sue recensioni, sempre intelligenti, fini e ben fatte.
Nella vita, Davide, che aveva conseguito il dottorato di ricerca a Bruxelles, era ricercatore e docente di Teologia fondamentale presso il Centro per le Scienze Religiose di Trento. Aveva studiato a fondo il pensiero di Louis Bouyer, diventando in materia un’autorità mondiale. Era poi passato a occuparsi di teologia estetica e di estetica teologica, approfondendo il ruolo dell’immaginazione nella vita di fede e l’esperienza mistica. A questi suoi interessi teologici aveva affiancato una forte passione per il cinema, fino a integrare gli uni e l’altra, mettendo il cinema a servizio dell’intelligenza teologica e le grandi questioni della teologia a servizio di una più profonda comprensione della settima arte.
Direttore degli «Annali di Studi Religiosi» e caporedattore della rivista «Cabiria. Studi di cinema», Davide era inoltre membro della redazione di «Studia Patavina», presidente del Religion Today FilmFestival di Trento e membro di varie giurie di festival cinematografici internazionali.
Lo ricordiamo con riconoscenza e affetto, mentre invitiamo i nostri lettori a rileggere le sue recensioni cinematografiche al seguente indirizzo: muneraonline.eu/davide-zordan.
La Redazione di Munera
[1] http://www.corriere.it/esteri/15_ottobre_27/bibihal-uzbeki-migrante-afghana-105-anni-che-sogna-vita-migliore-svezia-deb1c36e-7ce8-11e5-8cf1-fb04904353d9.shtml
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