Munera 1/2016 – Eraldo Tognocchi >> “Se non ritornerete”. Lo sguardo del cristiano secondo il Vangelo

La vita di fede trova un suo equivalente in un atteggiamento che può essere riconosciuto e riscontrato nella vita del bambino. Tra le consistenze della felicità del bambino e quelle della felicità del credente vi è infatti una profonda analogia. Gesù stesso – in occasione di un viaggio attraverso la Palestina, forse in un villaggio della Giudea – diffonde nei suoi discepoli questa convinzione: non si può accogliere il regno di Dio se non adottando un atteggiamento da piccoli, da bambini.

I bambini ritengono assurda una vita che sia prodotta dalle loro stesse fatiche. Ai loro occhi è invece normale una vita felice, piena, serena, che sia frutto della fatica dei genitori: sono i genitori che faticano, cercano, pensano, e che sono felici di vedere felice il loro bambino.

Il bambino non ha complessi di inferiorità, non ha sensi di colpa, sa prendere tutto ciò che i genitori gli procurano. Non per niente la sua vita – come quella di tutti gli esseri umani – è nata senza un suo concorso: nove mesi nel bacino morbido, caldo, cullante, di una madre che si prepara a sostenerlo nella luce, nella vita; e poi la nascita, una grande festa. È la continuità di un ricevere senza dare nient’altro che la propria contentezza.

La prima occupazione del bambino è quella di mangiare, di sorridere, di prendere tutto in funzione della sua gratificazione, della sua soddisfazione, del suo piacere, scoprendo però che questo piacere è anche il piacere dei genitori, del papà e della mamma. È una misteriosa concertazione: di essa Gesù dice che somiglia da vicino a ciò che succede tra Lui e noi.

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