Sui quattro principi di papa Francesco. Stefano Biancu risponde a Giulio Meiattini


BergoglioMetro

Nei giorni scorsi Don G. Meiattini aveva sollevato una serie di domande critiche sui “4 principi” che orientano il magistero di Papa Francesco. Nel post su questo blog del giorno 24 agosto avevo risposto a Don Giulio, che a sua volta aveva replicato in un lungo commento al mio post. Oggi ricevo da S. Biancu una lettera che rilegge i 4 principi e li colloca in un ambito teologico-sapienziale e non filosofico. Mi sembra un ottimo contributo al dibattito che si è aperto su questo tema e la pubblico integralmente qui di seguito, ringraziando di cuore il suo autore, Stefano Biancu, che insegna etica presso l’Università di Ginevra ed è professore a contratto presso l’Università Cattolica di Milano.

Caro Andrea, 

ho letto con molto interesse la riflessione del prof. Meiattini sui quattro principi di papa Francesco (http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/1351356), come anche la tua risposta (http://www.cittadellaeditrice.com/munera/il-rischio-di-un-risentimento-dello-spazio-contro-il-tempo-a-proposito-di-una-critica-di-don-giulio-meiattini-a-papa-francesco/).

Quei quattro principi hanno molto colpito anche me, al punto che sono ritornato su di essi in diverse occasioni: sia nell’intento di approfondirne meglio il senso e la genesi (https://www.academia.edu/27978816/Essere_cittadini_della_citt%C3%A0_in_cui_Dio_vive_sguardi_sulla_citt%C3%A0_nel_pensiero_di_Papa_Francesco_in_A._BONDOLFI_et_M._MARIANI_eds._Dio_uomini_e_citt%C3%A0_EDB_Bologna_2015_pp._125-141), sia nell’intento di immaginare – a partire da essi – l’identità di un’etica cristiana che possa essere all’altezza del nostro tempo (https://www.academia.edu/27590712/L%C3%A9thique_th%C3%A9ologique_le_temps_la_r%C3%A9alit%C3%A9_et_lart_de_vivre).

Rispetto a quanto ho già scritto, non ho molto altro da aggiungere. Riprendo qui solo alcuni spunti, in particolare sulla natura dei quattro principi – sono davvero dei postulati filosofici o presuppongono invece una lettura teologale e credente della storia? – sperando di contribuire alla riflessione comune.

  1. La fonte di questi principi: la ragione o la fede?

Dico subito che non credo che i quattro principi possano essere catalogati sotto la categoria della produzione filosofica. Mi pare derivino piuttosto da una lettura sapienziale e credente della storia.

Mi spiego. In Evangelii Gaudium (EG) i quattro principi trovano collocazione nella sezione che si occupa di come si possa attuare il compito di «diventare popolo». (EG, 220).

Quella di «popolo» è una categoria molto cara a papa Francesco: suoi antefatti sono la categoria biblica di «popolo di Dio» e la ripresa che ne ha fatto il Concilio Vaticano II al fine di pensare la Chiesa. Papa Francesco ritiene che la categoria di popolo sia fruttuosa anche per pensare – da cristiani – l’ambito sociale. Il retroterra di tutta questa riflessione è dunque biblico e teologico (deriva da una lettura credente), non filosofico.

Prova ne è l’osservazione secondo la quale uno dei quattro principi – il principio della superiorità della realtà sull’idea – «è legato all’incarnazione della Parola» in quanto incarnazione che non si è esaurita con la vita del Gesù storico, ma è proseguita in una storia della Chiesa come «storia della salvezza» (EG, 233). Il modello di una idea che si incarna nella realtà senza separarsi da essa è dunque ritrovato nella Parola di Dio. Ma un discorso analogo può essere fatto anche per il principio relativo alla superiorità del tempo sullo spazio: come ha messo in luce il pensatore ebreo A.J. Heschel, nel suo classico volume del 1951 Il Sabato. Il suo significato per l’uomo moderno (tr.it. Garzanti, Milano 1999), è il Sabato biblico che attesta e fonda quella superiorità.

Se dunque quei principi non costituiscono delle riprese letterali del testo scritturistico, sono comunque intrisi di teologia biblica.

  1. Il contesto entro cui rileggere i quattro principi

 Per comprendere l’intento di papa Francesco, credo si debba guardare alla storia da cui egli viene. La “Teologia del popolo” argentina, a lui certamente cara, ha articolando il rapporto (astratto) Chiesa-mondo, tematizzato dal Concilio, nei termini (concreti) di un Popolo di Dio che si incarna, di volta in volta, in un popolo particolare di cui evangelizza la cultura, ma dal quale anche riceve qualcosa di essenziale per la sua appropriazione credente del Vangelo.

Francesco compie un passo ulteriore: recepisce le intuizioni del Concilio e della teologia argentina e le mette a confronto con la situazione attuale di società multiculturali nelle quali è difficile cogliere i tratti di una storia comune, di una cultura comune, di una religione comune. Non si è più popolo, occorre diventarlo.

A suo giudizio, il compito dei cristiani diviene allora quello di mettere a servizio delle nostre società multiculturali la propria expertise nell’essere popolo: un popolo che vive una unità di fondo pur nella ricchezza delle sue infinite differenze. Non si tratta – questa mi pare la sua proposta – di trovare uno spazio per (astratti) valori cristiani nell’elaborazione dei grandi maîtres-à-penser del momento, nella speranza di una ricristianizzazione della società a partire dall’alto. Si tratta invece di riscoprire di essere «popolo di Dio» in cammino nella storia e nelle strade di ogni città particolare: città nelle quali Dio stesso già abita (è, questo, un dato di fede, non un’evidenza sociologica o filosofica).

Questo diventare popolo non è irrilevante – secondo Francesco – per la qualità della convivenza civile, ma neanche lo è per la qualità della vita cristiana.

  1. Il tempo è superiore allo spazio

 I quattro principi sono dunque da rileggere entro il quadro – di fede – di un popolo che cammina nella storia e presso il quale Dio stesso ha preso dimora.

Molto ci sarebbe da dire su ciascuno di essi e sulla forza che essi hanno per la vita cristiana e per la riflessione teologica. Sulla superiorità del tempo sullo spazio, che si traduce nella necessità di “occuparsi di iniziare processi più che di possedere spazi” (EG, 223) mi limito a dire che condivido le tue considerazioni sul fatto che ciò che sembra fare problema ad alcuni è precisamente il passaggio da una visione statica a una visione processuale, l’accettare dunque il dato – antropologico e teologico – della temporalità e della storicità (infine la serietà – antropologica e teologica – della nostra condizione corporea). Credo che ci sarebbe da stupirsi del contrario: veniamo da una lunghissima tradizione – questa sì, filosofica – di segno radicalmente opposto.

Francesco non fa un discorso filosofico e non è un caso che egli abbia indicato nella misericordia la categoria generatrice di una adeguata forma di vita cristiana ed ecclesiale (cfr. S. Morra, Dio non si stanca. La misericordia come forma ecclesiale, EDB, Bologna 2015): a differenza di altre categorie generatrici del passato (le categorie di ratio, di natura, di verità…), quella di misericordia non appartiene infatti al vocabolario classico della filosofia.

Che la necessità di “iniziare processi più che di possedere spazi” sia intrinsecamente teologale mi pare lo dimostri anche la sua affinità essenziale con la virtù – teologale, non filosofica – della speranza. Che cos’è la speranza se non un continuo iniziare processi, accettando – con fiducia – l’indisponibilità del tempo? Un continuo iniziare processi il cui esito non dipende da noi? E, viceversa, non è forse una forma di disperazione la ricerca continua del possesso degli spazi: l’atteggiamento di chi ritiene di non poter ricevere nulla gratuitamente e di dover dunque accaparrarsi quanto può (è una tentazione anche degli evangelizzatori!)? Mi torna in mente, a questo proposito, quanto osservava un Emmanuel Mounier lettore di Charles Péguy: la speranza «semina cominciamenti». È, appunto, la virtù di chi sa iniziare processi.

Per tutto questo e per altri motivi, che ho espresso altrove, non credo che una lettura semplicemente filosofica dei quattro principi colga nel segno.

 Camaldoli, 25 agosto 2016                            Stefano Biancu

 

 

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