Il tempo è superiore allo spazio?


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Nell’ultima parte di Evangelii Gaudium, specificamente in un insieme di paragrafi dedicati alla pace (217-237), papa Francesco ha proposto quattro principi la cui attuazione costituirebbe un “autentico cammino verso la pace in ogni nazione e nel mondo intero”.

Le parole usate sono estremamente generali: tempo/spazio, unità/conflitto, realtà/idea, tutto/parte, e il primo termine di ogni binomio viene proclamato superiore al secondo. Bisognerebbe quindi tenere fisso lo sguardo sui primi quattro termini: tempo, unità, realtà, tutto, e fare attenzione a subordinare loro i secondi.

Non è necessario essere un grande studioso della storia del pensiero umano per riconoscere che tali parole, insieme ad alcune altre simili, esistono da sempre nello spirito degli uomini in cerca di comprensione e di direzione per la guida della loro esistenza provata ed effimera. Anche qui, come spesso avviene, tali parole si presentano in coppie che sono e rimangono antagoniste: non si può sopprimere uno dei due termini a favore dell’altro, né identificare l’uno con l’altro, il che equivarrebbe a cancellarli entrambi. Bisogna quindi giocare con l’identità e la differenza. Tutte le sapienze giocano così con queste nozioni, le organizzano, le usano per contribuire ad un percorso di vita tendente alla felicità.

Per questo, i principi proposti da Francesco hanno evocato in me i due grandi presocratici: Parmenide ed Eraclito. Il primo e il terzo principio [«il tempo è superiore allo spazio», «la realtà è superiore all’idea»] ci collocano dalla parte di Eraclito: nella realtà, la nostra esperienza è davvero che “tutto scorre” e che “non ci si immerge mai nello stesso fiume”. D’altra parte, è certo che, per quanto sciolte, le nostre idee e parole (i nostri logos) non esauriscono il reale che scrutano.

Stranamente, con il secondo principio [«l’unità prevale sul conflitto»] e con il quarto [«il tutto è superiore alla parte»], Eraclito indietreggia, per lui «in principio era la guerra» e Parmenide si reinsedia in una pace e in una globalità da sempre incrollabili, lui che rifiuta decisamente l’idea stessa di un divenire e quella della precarietà di un logos.

Questo avvicinamento spontaneo dei principi di Francesco a quelli dei grandi presocratici fanno pensare che in essi non ci sia niente di definitivo, tanto più che sono in posizione dialettica.

Bisogna quindi prenderli come suggestioni intellettualmente fondate e praticamente utili per il discernimento oggi delle situazioni e delle “prese di decisione” costruttive. In fondo, nel loro «magistero», i vescovi e i papi hanno sempre agito così.

Ciò detto, mi sembra che l’originalità di papa Francesco si situi dal lato «eracliteo» delle sue affermazioni. Per ragioni che sarebbe troppo lungo presentare di nuovo qui e che dipendono da congiunture di civiltà, il pensiero cristiano si è volentieri sviluppato all’insegna dell’eterno, dell’identico, del ragionevole, di ciò che, in nome della realtà immutabile di Dio e del carattere terminale della resurrezione di Cristo, non cambia o non cambia più.

E la parola spazio è simbolica di questa identità. Connota l’estensione, la consistenza, la coerenza, la permanenza, il solido, e suggerisce, per ciò che è al di là (il metafisico), la stessa qualità, quella che sembra esprimere la parola essere e quella, correlativa, di perfezione.

Cominciando, nell’esposizione dei suoi principi, con la superiorità del tempo, Francesco propone una simbologia diversa: quella delle successioni, delle avventure, delle rotture e ricomposizioni, della morte e della vita, della durata spesso ripetitiva certo, ma sempre di nuovo attraversata da un inatteso che cambia tutto. Illustra lui stesso le sue affermazioni con l’immagine del poliedro che oppone a quella (assolutamente parmenidea) del cerchio: il poliedro è immagine di elementi diversi che, pur mantenendo la loro originalità, confluiscono; che si articolano senza annullarsi.

L’immagine, presentata in EG 236, sembra pertinente al papa poiché la riprende, di concerto con il richiamo al primo principio proposto della superiorità del tempo (AL 3-4), per caratterizzare l’insieme del Sinodo sulla famiglia.

A questo punto vorrei fare due riflessioni. La prima è che la Sacra Scrittura è costruita sul tempo prima di considerare lo spazio.

Quando gli scribi hanno raccolto in un volume l’insieme dei testi di cui disponevano, hanno scritto: “in principio” (Gen 1,1), e l’ultimo dei profeti pubblicati fa intravedere la fine: «il giorno del Signore, grande e terribile» (Mal 3,23). Solo in seguito hanno pubblicato gli scritti della sapienza. Il Nuovo Testamento non ha modificato l’ordine, e termina con la preghiera «Vieni Signore Gesù». In altri termini, gli autori della bibbia hanno subordinato la sapienza alla profezia. La teologia non ha avuto invece la tendenza a fare l’inverso? Anche se ha avuto delle ragioni per farlo, ci si potrebbe rallegrare di dover oggi restituire l’ordine primitivo – il che non vuol dire cancellare la sapienza, ma situarla all’interno della profezia e non al di sopra.

La seconda riflessione è che papa Francesco non si è limitato a proporre questi principi. Al primo posto della vita e della riflessione della Chiesa, ha invitato a mettere la misericordia, cioè la figura di Dio come Amore in eccesso. Lo ha fatto con la presa di coscienza drammatica dei pericoli incorsi dal mondo e delle cause della tragica situazione presente.

Ha proposto (ed espresso con atti simbolici) una visione sinodale della Chiesa come piramide rovesciata il cui vertice è al di sotto, – posizione che gli dà tutta la sua fecondità. Ha indicato la dinamica di ascolto, di dialogo, di ricerca, di discernimento a tutti i livelli che deve permettere alla Chiesa di dire e di fare una parola efficace e credibile. Credo che tutto questo debba essere accolto con favore e giudicato sulla base non dei dati acquisiti di ieri, ma di una coerenza profonda con l’intenzione innovativa del Concilio Vaticano II, che forse aspettava questo genere di messaggi per sviluppare le sue potenzialità nella Chiesa, certo, ma anche per il mondo degli uomini che le aspetta senza saperlo.

(traduzione a cura di www.finesettimana.org) 

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