Dibattito sul diaconato femminile (/5): La donna ministro del battesimo nella Summa Theologiae.


 ministerodonne

Dopo aver pubblicato la settimana scorsa il resoconto del mio intervento al Seminario di Vicenza, sulla “Donna diacono” (leggi qui), ho ricevuto un messaggio via mail dal prof. J. Komonchak nel quale egli scriveva tra l’altro:

 “I read with interest and agreement your essay reproduced today on “Finesettimana” with regard to the argument St. Thomas gives against the ordination of women, and how its logic would today lead to the opposite conclusion. I published an essay back in 1976 in which I briefly reviewed the arguments against ordaining women to the presbyterate and concluded that no one of them, nor all of them together, were persuasive. There is another line of argument that, I think, needs to be excluded, the one drawn from sexual symbolism, as, for example, when it is argued that the priest acts “in persona Christi sposi”. As far as I know, St. Thomas never appeals to this in the course of his treatment of the matter, and his notion of liturgical representation would not by itself exclude women on the grounds that they cannot represent Christ.”

 Dopo aver ricordato in quale testo Tommaso presenta la sua teoria della mediazione ministeriale nel battesimo (S. Th., III, 67, 4) egli concludeva sulla esigenza urgente di riconsiderare questi argomenti con attenzione. Accanto a ciò, J. Komonchak ricordava di aver trattato il tema, nel lontano 1976, elencando tutti gli “argomenti” di impedimento alla ordinazione delle donne: tale articolo è disponibile sul web al link:

 https://jakomonchak.files.wordpress.com/2016/04/jak-ordination-of-women.pdf

Sulla base di questo provvidenziale incontro “digitale”, e dopo aver riletto nel mio precedente post su questo blog quella parte della Summa Theologiae in cui Tommaso si occupa degli “impedimenti” alla ordinazione delle donna, vorrei seguire il consiglio di J. Komonchak ed esaminare le considerazioni che Tommaso sviluppa per “non escludere” l’ipotesi che una donna possa essere “ministro del battesimo”. Si tratta di una ammissione importante, soprattutto per gli argomenti che impiega.

In effetti, se leggiamo il testo di Tommaso, nella Summa Theologiae, all’articolo 4 della questione 67 della parte III, scopriamo che la logica “sociologica e gerarchica” viene composta con la logica “teologica e cristologica” in un forma davvero originale.

Seguiamo, anche in questo caso, il procedimento argomentativo di Tommaso, così come gli consente di configurare una soluzione passando in rassegna diversi argomenti:

a) La obiezione (di Agostino) neividetur quod

 Praeterea, in spirituali regeneratione videtur aqua habere locum materni uteri, ut Augustinus dicit, super illud Ioan. III, numquid homo potest in ventrem matris suae iterato introire et renasci? Ille autem qui baptizat, videtur magis habere patris officium. Sed hoc non competit mulieri. Ergo mulier baptizare non potest.

Una argomentazione teologica, basata su una ermeneutica del vangelo di Giovanni, tenderebbe ad escludere che la donna possa esercitare la “funzione paterna” di chi battezza.

b) la posizione di Tommaso, che media teologia e sociologia

Respondeo dicendum quod Christus est qui principaliter baptizat, secundum illud Ioan. I, super quem videris spiritum descendentem et manentem, hic est qui baptizat. Dicitur autem Coloss. III quod in Christo non est masculus neque femina. Et ideo, sicut masculus laicus potest baptizare, quasi minister Christi, ita etiam et femina. Quia tamen caput mulieris est vir, et caput viri Christus, ut dicitur I Cor. XI; non debet mulier baptizare si adsit copia viri. Sicut nec laicus praesente clerico, nec clericus praesente sacerdote. Qui tamen potest baptizare praesente episcopo, eo quod hoc pertinet ad officium sacerdotis.

Interessante è in questo testo il comporsi di una logica gerarchico-sociologica con una logica cristologico-escatologica: l’orizzonte cristologico, che riconoscere la vera soggettività sacramentale e la pienezza escatologica del significato, relativizza le pur forti differenze imposta dalla gerarchia naturale ed ecclesiale. A conferma di ciò interviente anche la ulteriore confutazione della posizione agostiniana.

c) La confutazione della posizione di Agostino

Ad tertium dicendum quod in generatione carnali masculus et femina operantur secundum virtutem propriae naturae, et ideo femina non potest esse principium generationis activum, sed passivum tantum. Sed in generatione spirituali neuter operatur virtute propria, sed instrumentaliter tantum per virtutem Christi. Et ideo eodem modo potest et vir et mulier in casu necessitatis baptizare.

Come è evidente, l’orizzonte biologico/sociologico della argomentazione di Agostino, e che Tommaso di per sé condivide, oggi non può essere più utilizzato se non cadendo in una apologetica ridicola. Ma la distinzione tra “generazione carnale” e “generazione spirituale”, con la acquisizione di una ministerialità umana più libera e più ampia, in forza della grazia di Cristo, può essere considerata, a giusto titolo, una argomentazione che può far riconsiderare la ministerialità femminile al di là dei limiti sociologici e biologici che finora avevamo visto valorizzati.

d) La differenza tra ruolo pubblico e ruolo privato

Vorrei aggiungere una ulteriore considerazione, di estremo rilievo. Tommaso sottolinea per due volte nel suo testo che ciò che alla donna è “vietato in pubblico” (insegnare, battezzare) non lo è in privato.

Sicut mulieri non permittitur publice docere, potest tamen privata doctrina vel monitione aliquem instruere; ita non permittitur publice et solemniter baptizare, sed tamen potest baptizare in necessitatis articulo.

 Questa differenza, che sociologicamente non possiamo più accettare sic et simpliciter, manifesta la “apertura” della prospettiva tomista, che è consapevole della ristrettezza di una lettura rigidamente “sociale” e “gerarchica” del ruolo della donna. Potremmo aggungere che la assunzione del carattere “storico” della rivelazione comporta, precisamente, la puntuale valutazione della differenza tra pubblico e privato, che non è “per sempre”.

 e) Alcune conseguenze per il dibattito contemporaneo

 La considerazione di questa argomentazione tomista conduce ad una serie di utili implicazioni in vista del dibattito che si è aperto con la costituzione di una commissione di studio sul diaconato femminile:

 – nel pensiero di Tommaso d’Aquino non solo la considerazione sociologico-gerarchica dipende da una immagine della società tipicamente medievale, rispetto alla quale possiamo e dobbiamo gungere a conclusioni molto diverse da quelle di Tommaso; ma anche la considerazione teologica non inclina ad una “assolutizzazione del maschile” nel riferimento cristologico, mentre gioca piuttosto sul registro escatologico del “superamento” della rilevanza del genere per l’esercizio della mediazione ecclesiale;

 – la presenza di una argomentazione tanto audace deve essere collocata, ovviamente, in una logica “di necessità”: per Tommaso, infatti, la attivazione di questa “logica del compimento” scatta soltanto quando non ci sia sacerdote, non ci sia chierico, non ci sia “copia virum” e resti solo una “povera donna” come possibile soggetto ministeriale del battesimo; ciò che qui viene ammesso come “extrema ratio” può diventare “ratio intima” in un altro tempo e in un’altra storia

 – Il dibattito attuale può essere ricondotto ad una sapiente valutazione di superamento della “eccezionalità” di questo ragionamento, estendendone la pertinenza anche a casi ordinari. Ciò che tuttavia risulta di particolare importanza è la costatazione, anche in questo caso, di una relazione delicata tra “approccio gerarchico-sociologico” e “approccio cristologico-escatologico”. In Tommaso la sintesi, pur pesantemente condizionata da condizioni culturali e sociali assai diverse dalle nostre, mostra chiaramente la determinazione a lasciare aperta la definizione del ministero ecclesiale alla profezia di una radicalità cristologica e pneumatologica, che in nessun modo può essere fatta dipendere dalle condizioni culturali e sociali delle singole epoche

 Se Tommaso d’Aquino ha potuto avvalersi della libertà di attribuire a sé e alla tradizione questa elasticità autorevole, perché noi dovremmo sigillare noi stessi in una “negazione di autorità” e in una “statica ministeriale” che ci renderebbe schiavi di una tradizione così ridotta ad un ossequio troppo formale ad una serie ingente di pesanti pregiudizi?  

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