Munera 1/2017 – Andrea Grillo >> Il perdono tra religione e cultura

Alla fine del XVIII secolo la religione inizia a uscire dall’ambito della metafisica e della morale, per riconoscersi come caratterizzata dal sentimento e dal gusto (dell’infinito). Non è azzardato affermare che questo sia uno degli inizi della tarda-modernità, che rinveniamo con immutato stupore sulle pagine delle Reden di Schleiermacher già nel 1799. Ancora per I. Kant, nel suo Streit der Fakultäten, le tre facoltà fondamentali dell’università sono teologia, legge e medicina. Da Schleiermacher non inizia soltanto una religio nova, ma anche una diversa collocazione del religioso nella universitas scientiarum. E non dobbiamo aspettare l’effetto che ebbero le lezioni di Schleiermacher su L. Feuerbach per capire che ci troviamo qui di fronte a un profondo rivolgimento della tradizione, tale da far irrompere uno sguardo antropologico nel cuore stesso della religione.

Da quando non è più assimilabile anzitutto a una legge o a una virtù, la religione aspira ad altro e turba le coscienze e i cuori. Una religione irriducibile ad altro da sé diventa inevitabilmente una religione non istituzionale – non ridotta a sapere, a norma o a virtù utile allo Stato – che si trasforma ben presto in una sfida culturale di prima grandezza. In quanto tale, viene percepita come grande nemica da parte della Chiesa cattolica, almeno all’inizio e per lungo tempo, anche se poi viene riconosciuta persino come un’alleata insperata.

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