Il capodanno, la messa e il Te Deum


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Già da alcuni anni sono colpito da una pratica ecclesiale problematica, che merita una attenta riflessione. Infatti, in occasione del giorno di San Silvestro, secondo una prassi classica e non priva di legittimità e di fondamento, si pregano i Primi Vespri dell’ottava del Natale con il Te Deum, come ringraziamento anche per l’anno civile che si conclude e per l’inizio del nuovo anno. Tali vespri possono essere, come sempre, anche lo spazio ecclesiale nel quale si espone il SS Sacramento e si celebra la benedizione eucaristica.

Cionondimeno, tutto questo si fonda su prassi e su modi di celebrare che hanno avuto la loro plausibilità, ma che non possono essere semplicemente accostati, senza attenzione e senza discernimento, alle nuove pratiche celebrative inaugurate dalla Riforma Liturgica realizzata dopo il Concilio Vaticano II.

Le novità più rilevanti sono le seguenti:

a) Oggi è divenuta prassi ordinaria celebrare, alla vigilia di ogni domenica e delle feste principali, la “messa vespertina”, alla quale può essere eventualmente associata la liturgia del vespro.

b) Tale prassi è stata resa possibile dal cambiamento delle normative ecclesiali circa il digiuno. Secondo le norme in vigore fino agli anni 50, infatti, non era possibile celebrare la messa nel pomeriggio o la sera, se non violando le norme sul digiuno

c) Come è evidente, nel regime precedente, al Vespro serale poteva accompagnarsi non la celebrazione eucaristica, ma solo la adorazione e la benedizione eucaristica

d) Nel nuovo regime, potendosi celebrare la messa accanto al Vespro, non ha più senso duplicare la esperienza di comunione sacramentale già vissuta con la comunione, benedizione e adorazione realizzata pienamente e nel suo grado più alto con la celebrazione eucaristica. La messa è, già di per sé, esperienza di presenza, di comunione, di adorazione e di benedizione.

Di fronte a questa evoluzione, è inevitabile che si sia passati, gradualmente, da un regime all’altro, con inevitabili inerzie. Ma oggi bisogna segnalare con chiarezza la esigenza di “coerenza” della esperienza ecclesiale. Se abbiamo appena celebrato l’eucaristia e vogliamo “inserire” il “Te Deum” nella esperienza ecclesiale, possiamo farlo in modo lineare, mediante una celebrazione della comunione eucaristica che ha già, in sé, benedizione e adorazione. Se invece pensiamo di dover “aggiungere” alla messa il Te Deum, dobbiamo ricordare che la messa si è appena conclusa, realizzando non solo l’effetto intermedio della eucaristia, ma anche il suo dono di grazia. Vedere, alla fine della messa, dopo la preghiera eucaristica e i riti di comunione, la “esposizione del Santissimo” e la benedizione eucaristica, – cosa legittima in assenza di messa – fa sorgere il sospetto che il senso della Riforma Liturgica e la devozione “celebrata nella messa” non sia ancora diventato patrimonio spirituale delle comunità ecclesiali.

Senza escludere che al Vespro – celebrato senza celebrazione eucaristica – si possa accompagnare la benedizione eucaristica o la adorazione eucaristica, bisognerebbe sempre evitare che la celebrazione eucaristica sia vissuta come “deficiente” rispetto alla esigenza di adorazione e di benedizione. Il “rendimento di grazie” anche per l’anno civile che si chiude viene celebrato dal “Corpo di Cristo che è la Chiesa”, che ha appena celebrato la messa, se almeno condivide la coscienza che Agostino ha fotografato tanto bene dicendo: “Siate quel che vedete, ricevete quel che siete”. Ogni reduplicazione meno intensa della celebrazione eucaristica, quando proposta in immediata successione rispetto alla eucaristia appena celebrata, attesta un problema di fondo nel modo plenario di comprendere e di vivere la celebrazione della messa come “culmen et fons” di tutta l’azione della Chiesa. Anche e soprattutto a capodanno.

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