La svolta profetica di papa Francesco: Un convegno brasiliano e 4 libri da scoprire (/1)


IHU-convegno

 

Sono stato a Porto Alegre, al bel Convegno organizzato dall’Istituto Humanitas Unisinos (IHU) sul tema della “Virada profetica” (svolta profetica) che Francesco ha introdotto nella vita ecclesiale, a partire dal 13 marzo 2013. Come sempre accade, un Convegno non è mai soltanto una mera rassegna di conferenze, ma è anche luogo di confronto e di approfondimento personale tra diverse prospettive di lettura: direi che in questo caso la “lontananza” era proporzionale alla “profondità”. Aver viaggiato quasi fino alla “fine del mondo” – l’Argentina non è troppo lontana da Porto Alegre – mi ha permesso di comprendere alcune cose nuove, a proposito di Francesco e della recezione che del suo pensiero si sta operando nel mondo. Vorrei utilizzare questo post per chiarire alcune delle prospettive che si sono venute manifestando più chiaramente, grazie ai lavori del Convegno e alle relazioni con altri teologi. E aprire lo sguardo su alcune pubblicazioni cui dedicherò attenzione in alcuni prossimi post.

a) Come comprendere Francesco?

Il primo punto-chiave del Convegno sta nell’aver offerto una ermeneutica conciliare di Francesco. Da un certo punto di vista oggi Francesco, come papa, ci consente un accesso più fresco e più fecondo alla parola del Concilio Vaticano II. Ma è vero anche il contrario: ossia che senza un “retroterra conciliare” – quello che Marciano Vidal ha chiamato “presentimento” – è difficile comprendere davvero Francesco. Molte volte è stato detto, con toni anche giustamente differenziati: il Concilio Vaticano II è condicio sine qua non per una vera intelligenza del magistero di Francesco.

b) Una ricostruzione “anestetizzatadella sua profezia?

Al centro della prospettiva di lavoro del Convegno IHU era la “svolta profetica” di papa Francesco. Il modo di intendere questa “svolta”, tuttavia, non appare del tutto condiviso. Da un lato, infatti, la profezia si presentava piuttosto come “interiore”, tradotta in modo da “non toccare la dottrina” e da introdurre “libere variazioni” sul piano della possibile disciplina. D’altro canto, la profezia era anche compresa come necessariamente “esteriore”, ossia collegata ad una riforma della Chiesa, ad una traduzione della dottrina, al una profonda rielaborazione della disciplina.

Anche il reperimento delle fonti, che possono spiegare questa alternativa, è stato piuttosto interessante nella sua differenziazione. Una lettura “filosofica” e “mistico-ascetica” di papa Francesco si orienta più facilmente ad una sostanziale continuità con i predecessori, anche in vista di una riduzione quanto maggiore possibile dello “scandalo” che Francesco porta nel cattolicesimo borghese. Questo approccio non tematizza la teologia più per paura che per scelta.  Ciò appare obiettivamente favorito da una lettura “filosofica” delle fonti di Francesco, che non procede fino in fondo nell’analisi teologica delle sue ispirazioni. Quasi viene “sospesa” la teologia, per far parlare soltanto mistica ignaziana e ispirazione filosofica. (questo orientamento è presente soprattutto in Ivereigh e Borghesi).

Viceversa un approccio più decisamente teologico – ad esempio in campo morale, come proposto da Salzmann o da Suess – è in grado di identificare con molta lucidità le differenze e le novità che Francesco ha portato al dibattito e alle coscienze, con tutta la necessaria spinta profetica verso la riforma delle strutture e della forme di vita ecclesiale.

c) Il problema dell’immaginario papale

Ricostruire accuratamente le componenti originali del “pensiero di Francesco” è azione che si deve comporre con la pressione che l’”immaginario papale” esercita sull’esegeta. Non vi è qui storico o ermeneuta che si possa sottrarre alla influenza di un “pensiero sistematico implicito” che fa sentire il suo influsso sui “cardini” della ricostruzione. Mi sono accorto, in questo caso con particolare evidenza, della fragilità di molti “presupposti sistematici”, che soggiaciono alle analisi e alla considerazione dei dati. Tanto più forti sono questi condizionamenti, quanto più scarsa ne è la consapevolezza. Ciò accade soprattutto alle letture meno competenti sul – o meno interessate al – piano strettamente teologico.

d) La pretesa di una “assoluta continuità” rispetto al pre-Francesco

Nell’ambito di questi “pregiudizi” appare particolarmente insidiosa una preoccupazione legittima, ma unilaterale: quella di ostacolare la operazione che – da destra – vuole contrapporre frontalmente Francesco a Benedetto XVI. Poiché la discontinuità viene usata “da destra” per delegittimare Francesco, sembra imporsi una necessaria rassicurazione circa la piena e totale continuità tra i due papati. Ma in questo modo viene messa a rischio proprio la profezia, che non può non indicare elementi sostanziosi e insuperabili di discontinuità. Nessuno può essere chiamato “profeta” se non indica “altre cose” e “cose altre”. Anche qui, a me pare che gli strumenti della indagine e le formule di giudizio risentano, in molti casi, di un respiro teologico troppo corto e troppo limitato o, almeno, troppo timoroso.

e) Diverse istanze: Europa, Nord America, Sud America

Un viaggio tanto lungo ha messo a nudo le diverse preoccupazioni dei diversi continenti implicati. Eravamo in Sud America, ma eravamo anche europei e nord-americani. Ed è emerso con molta chiarezza un fatto assai rilevante: ogni continente recepisce Francesco suo modo: il Sud America ne riconosce bene le fonti autoctone, anche quando ne contesta alcune elaborazioni; il Nord America è piuttosto preoccupato di una “deriva di resistenza”, che attraversa profondamente il corpo episcopale, presbiterale e non secondariamente anche laicale. Viceversa in Europa una interferenza più massiccia sul “modello ideale” del papato permette un apprezzamento cattolico della profezia papale diffuso trasversalmente nel corpo ecclesiale. Questo comporta una serie di conseguenze assai interessanti, nel modo di riflettere e nel modo di comunicare le riflessioni:

– non tutti sono ugualmente liberi di aderire alla profezia papale. Il condizionamento “locale” appare in alcuni casi assai pesante, pretendendo un “allineamento” del teologo rispetto al “pregiudizio” antiprofetico del cattolicesimo. Un cattolicesimo “non-profetico” – un cattolicesimo solo sacerdotale e regale – rischia di imporre una immagine di Francesco tutta interiorizzata. Per far fronte all’ultracattolicesimo reazionario, si propone un papa Francesco poco interessato alle riforme…

– Un Francesco “pastorizzato” e “imborghesito” è il rischio che corre una sua normalizzazione alla luce di quanto appena indicato. Del tutto esemplare è stato, da un lato, il modo schietto e aperto di leggere “Amoris Laetitia” (Salzmann) o il Sinodo sulla Amazzoni (Suess) o la ripresa della ecclesiologia del Vaticano II (Faggioli)  con tutte le sue conseguenze innovative, mentre in parallelo si affacciavano letture preoccupate di ritrovare in Francesco l’orizzonte di Familiaris Consortio piuttosto che scoprire gli avanzamenti obiettivi di Amoris Laetitia.

f) Un progetto, in conclusione

Alla luce di queste considerazioni, ho pensato che sia opportuno dedicare una serie di post alla presentazione di alcune di queste “visioni sintetiche” di Francesco, che rendono assai complesso un bilancio unitario del suo pontificato. In esse cercherò di mettere alla prova i criteri di giudizio che il bel Convegno di Porto Alegre ha saputo suggerirmi. I testi che vorrei presentare sono i seguenti:

– Ghislain Lafont, Piccolo saggio sul tempo di papa Francesco, Bologna, EDB, 2017;

– Massimo Borghesi, Jorge Mario Bergoglio. Una biografia intellettuale, Milano, Jaca Book, 2017;

– Massimo Faggioli, Cattolicesimo, nazionalismo, cosmopolitismo. Chiesa società e politica dal Vaticano II a papa Francesco, Roma, Armando, 2018.

– Peter Huenermann, Uomini secondo Cristo oggi. L’antropologia di papa Francesco, Città del Vaticano, LEV, 2017.

Dedicherò a ciascuno di essi un post, nei prossimi giorni. Se non fossi stato a Porto Alegre, avrei letto questi libri con ben altri occhiali.

 

 

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