«Uno che non ci seguiva»


Mercoledì della VII Settimana del Tempo ordinario

Mc 9,38-40

Siamo in una sezione del Vangelo di Marco dove al centro sta il rapporto tra Gesù e la Comunità dei suoi discepoli. Nell’episodio precedente infatti, subito dopo il secondo racconto della passione, i discepoli di Gesù discutevano tra loro su chi fosse il più grande (Mc 9,33-37). Un’occasione per Gesù di educare i suoi discepoli, duri a comprendere, sul senso della sua missione e della sequela.

L’episodio di Mc 9,38-40 si collega direttamente a questo contesto, sottolineando ancora una volta, anche dopo i ripetuti insegnamenti di Gesù, l’incomprensione dei suoi discepoli, della cerchia più ristretta di coloro che lo seguono. Qui il tema si sposta al rapporto tra la cerchia dei discepoli di Gesù e colo che invece non ne fanno parte. Tuttavia questo porta a fare una ulteriore riflessione sulla sequela in quanto tale e sul rapporto dei discepoli con Gesù.

Il racconto, che ha come protagonista Giovanni, uno dei figli di Zebedeo, entrambi coinvolti poco più avanti in un altro episodio (Mc 10,30-45), sembra seguire il racconto di Nm 11,24-30, dove lo spirito di Mosè viene effuso su settanta anziani di Israele, compresi Eldad e Medad, che erano rimasti nell’accampamento e non si trovavano quindi insieme agli altri. Anch’essi, pur non essendo insieme a Mosè presso la tenda del convegno, cominciarono a profetizzare. Di fronte a questo fatto, Giosuè, suo servitore, dice a Mosè: «Mosè, mio signore, impediscili!» (Nm 11,28). Mosè allora risponde: «Sei tu geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore porre su di loro il suo spirito!» (Nm 11,29).

Nel brano di Marco avviene un fatto simile. Giovanni riferisce a Gesù che i discepoli hanno tentato di impedire ad un tale di scacciare i demoni nel nome di Gesù pur non essendo della cerchia dei discepoli. Nelle parole del discepolo c’è la chiave interpretativa fondamentale del brano. Giovanni infatti non dice che quell’esorcista non autorizzato non seguiva Gesù – «non ti seguiva» – bensì «non ci seguiva». Non seguiva quindi il gruppo dei discepoli, dei Dodici. Per Giovanni la discriminante per essere ammessi o no a scacciare i demoni nel nome di Gesù non sta unicamente nella relazione con lui, ma nell’appartenenza al gruppo dei suoi discepoli.

Il brano, che non vuole certamente mettere in dubbio l’importanza della comunità per entrare in relazione con Gesù – non è questa la sua intenzione – vuole mettere però in guardia i discepoli dal rischio di mettere al centro l’apparenza al loro gruppo, più che l’adesione a Gesù. I discepoli sono tentati di porre confini allo spirito – proprio come nel caso del libro dei Numeri – che non spetta loro stabilire. Nella preoccupazione di Giovanni emerge più la paura che qualcuno «rubi» il mestiere ai discepoli di Gesù, della gioia nel riconoscere che il regno fiorisce in modo inaspettato e che il potere del male viene sconfitto nel nome di Gesù. Giovanni traccia dei confini netti tra chi è dentro e chi è fuori.

Nel Vangelo di Marco c’è anche un po’ di ironia. Poco prima infatti, dopo l’episodio della trasfigurazione, nel racconto dell’epilettico indemoniano (Mc 9,14-29) i discepoli di Gesù erano riusciti a guarire il ragazzo e il padre dice a Gesù: «Ho detto ai tuoi discepoli di scacciarlo, ma non ci sono riusciti» (Mc 9,18). Su questo sfondo lo sdegno di Giovanni appare ancora più evidente e si potrebbe esprimere in questo modo: «noi discepoli non siamo riusciti a scacciare un demonio, mentre uno che non sappiamo nemmeno chi sia va in giro scacciando demoni nel tuo nome?».

Ma nelle parole di Gesù emerge una prospettiva molto diversa. Egli non innalza muri, non crea barriere, non traccia confini. Gesù invita i suoi discepoli a lasciare che sia lo Spirito a disegnare i confini del regno di Dio. Non ci sono monopoli né esclusive da difendere. Non si può agire nel nome di Gesù ed essere contemporaneamente contrari ai suoi discepoli autentici. Anche Paolo afferma: «nessuno può dire: «Gesù è Signore!», se non sotto l’azione dello Spirito Santo» (1Cor 12,3).

Questo brano che sembra riguardare il rapporto tra i discepoli di Gesù e chi sta fuori dal loro gruppo, in realtà tocca proprio il rapporto con il loro Signore e Maestro. Essi devono imparare che prima di ogni cosa, senza escludere l’importanza della comunità, viene l’adesione a Dio e alla sua Parola. Non viene prima l’adesione ad un gruppo, ma l’adesione stessa al gruppo trae significato dall’adesione a Gesù, nell’apertura del cuore alla imprevedibilità del regno di Dio.

Matteo Ferrari, monaco di Camaldoli

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