Contemporary Humanism – Francesca Simeoni >> Fragilità e forza. Il paradosso dell’attenzione in Simone Weil

Negli ultimi scritti di Simone Weil (Parigi 1909 – Ashford 1943) emerge nitidamente lo sforzo di un ripensamento di civiltà. L’autrice vi lavora con febbrile urgenza negli anni 1942-43, poco prima di morire, mentre da Londra guarda alla situazione del secondo conflitto mondiale e cerca di immaginare quale ispirazione potrà alimentare la civiltà europea del dopoguerra. Risultano significativi, a tal proposito, L’Enracinement e La personne et le sacré, due testi che possono essere letti in continuità e che saranno presi in esame in questo contributo.

Secondo Weil ciò che impedisce l’instaurarsi di una civiltà autenticamente umana risiede in alcuni ostacoli, che spingono in direzione opposta: tra essi emergono «notre conception fausse de la grandeur et la dégradation du sentiment de la justice» . Entrambi sembrano accomunati da un rapporto vizioso tra forza e fragilità, il quale, se trasformato positivamente, istituisce invece quella che Weil considera l’ispirazione di un umanesimo possibile.

L’ipotesi di questo contributo è che l’autrice elabori un’idea di grandezza non basata sul criterio della forza, bensì sulla prassi etica dell’attenzione. Quest’ultima ha come suo frutto più proprio la giustizia e come suo oggetto elettivo la sventura (malheur), che può essere associata alla fragilità in quanto ne è l’esito estremo. Weil delinea così un’antropologia che nasce dall’ascolto della sventura e che si pone come fondamentale alternativa a una visione del mondo basata sul criterio della forza.

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