Il fuoco, il sisma e la guerra. La fine e il fine di una chiesa


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Di fronte alle fiamme gigantesche di ieri sera, che distruggevano la Cattedrale di Notre-Dame, oltre allo scoramento e allo scampato pericolo per tante possibili vittime, ci siamo chiesti: e ora? Come potremo mai “riaverla” di nuovo? Va detto che non solo il fuoco può tanto. Anche i grandi terremoti, o le guerre, possono altrettanto. Distruggono le cose velocemente. E ci lasciano in eredità la “ricostruzione”.

Voglio qui concentrarmi sulla chiesa di pietra. Non parlerò delle possibili vittime, che ogni incendio, ogni terremoto e ogni guerra reca con sé. Se lunedì una sola persona fosse rimasta coinvolta nell’incendio, il primo pensiero sarebbe stato per lei. Prima ancora di ogni pietra e di ogni monumento. A maggior ragione ciò accade nei terremoti o nelle guerre. Tante vittime, uomini, donne, bambini. E solo alla fine, dopo ogni cordoglio e ogni lutto, anche le pietre danno pensiero.

Ebbene, se consideriamo, come è questo il caso, solo le pietre, dobbiamo chiederci: come ricostruire? Dopo i grandi incendi, dopo i grandi terremoti, dopo i grandi bombardamenti, bisogna ricostruire. Ma come?

Notre-Dame e l’Irpinia

Quando, a incendio domato, si è realizzato il grave compito che incombeva ora alle autorità francesi, civili ed ecclesiali, ho ripensato a quanto ho visto in Irpinia, in particolare a S. Angelo dei Lombardi, qualche anno fa. In quella città, infatti, dopo il terremoto degli anni ‘80, la ricostruzione delle chiese, gravemente lesionate, ha reso possibile un piccolo miracolo. Si è potuto realizzare un “adeguamento” degli spazi sacri che ha saputo riprogettare parti significative delle chiese del 600 o del 700, come mai è possibile quando gli adeguamenti debbono essere fatti su edifici in perfetto stato. Le lesioni del terremoto hanno liberato energie creative e ripensamenti degli spazi altrimenti impossibili.

Lo stesso potrebbe valere per Notre-Dame. Abbiamo infatti sentito che subito si è detto: la ricostruiremo in 5 anni. Bene. Ma come? La risposta più facile, più comprensibile è questa: la ricostruiremo “esattamente come prima”. In questo ripristino completo e perfetto si può sempre trovare la volontà di superare il trauma, di tornare indietro, di cancellare l’oltraggio della disgrazia. E tutto questo è comprensibile. D’altra parte oggi questo sarebbe ancora più facile di prima, essendo noi dotati di tecnologie e di strumenti capaci di riprodurre un’altra Notre-Dame esattamente uguale alla precedente. Ma sarebbe giusto?

La storia (viva) di un monumento (morto)

Anzitutto si deve ricordare che Notre-Dame non è sempre stata come la abbiamo vista fino a ieri pomeriggio. La cattedrale ha avuto una storia complessa, fatta di modifiche, incidenti, incendi, ripristini, adattamenti. E tutto questo è avvenuto per un intreccio di storia ecclesiale, di storia civile, di intenzionali danneggiamenti e di casuali incidenti. Si pensi, ad es., che Luigi XIII re di Francia fece voto di costruire un nuovo altare, per la cattedrale, il cui progetto fu realizzato solo 110 anni dopo di lui, mediante le discussioni sui diversi progetti che si susseguirono per più un secolo.

Altrettanto va detto per il rilancio della Cattedrale nel XIX secolo, con profonde modificazioni dell’esterno come dell’interno. Della evoluzione della Cattedrale fa parte anche l’incendio di ieri. Dal quale Notre-Dame potrebbe risorgere con nuovo fulgore, ma all’interno di un progetto di ripristino che può essere anche, in parte, un adattamento e un rinnovamento.

Notre-Dame: bene pubblico e bene ecclesiale

Ma chi dovrà progettare la nuova basilica? Qui, nei commenti a caldo del primo giorno, era evidente la differenza tra la tradizione italiana e la tradizione francese. La competenza pubblica è, per la Francia, scontata. Ma questo non significa, come subito tenderebbe a pensare un italiano, che quindi il bene è “a rischio”. Per i francesi il concetto di “pubblico” è molto diverso da come suona per un italiano. La differenza sta nella lunghezza della tradizione statale francese, dove c’è una esperienza pubblica che ha 900 anni, mentre in Italia esiste soltanto da poco più di 150 anni. Questa differenza crea anche un certo imbarazzo nella “progettazione” della ricostruzione. Si deve costruire un “monumento pubblico” o una “chiesa cattolica”? Vi è poi una seconda domanda, che dovrà essere posta: la comunità cattolica dovrà pensare ad una assemblea di “circumstantes” intorno all’altare o ad una assistenza alla “visione dell’ostia” o alla mediatazione di fronte alla “riservatezza del mistero”? Se la chiesa di Notre-Dame non avrà una fine, è perché manterrà un fine. Ma quale è il suo fine? Di essere oggetto di fotografie da 5 continenti? Di essere un enorme museo di cose sacre? O di essere tempio di pietre morte che ospita, forma e accompagna una chiesa di pietre vive?

Una grande impresa, pubblica ed cristiana

Dopo gli incendi, dopo i terremoti, dopo i bombardamenti, la ripresa vuole essere, immediatamente, un modo di tornare a ciò che c’era prima. Ma non è mai così. Indietro non si torna. Si può solo andare avanti. La coscienza ecclesiale e statale francese sa di avere ereditato, dall’incendio di ieri, un grande compito. Dovrà costruire una basilica di Notre-Dame che, nella fedeltà al secolare edificio, sappia dare forma e voce ad una chiesa viva e a una comunità in cammino. Le pietre resteranno piene di storia e ricche di vita se sapranno aprire a storie nuove e a vite sorprendenti, di cittadini cristiani e di cristiani cittadini.

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