Vide e credette


Domenica di Pasqua

At 10,34a.37-43; 1Cor 5,6-8; Gv 20,1-9

Introduzione

Nella celebrazione del giorno di Pasqua troviamo come brano evangelico la scoperta del sepolcro vuoto il primo giorno dopo il sabato nel Vangelo di Giovanni. Non dobbiamo leggere questo testo come una cronaca di ciò che avvenne il giorno della risurrezione del Signore, bensì come un itinerario di fede verso l’incontro con lui che i discepoli di ogni tempo possono e devono vivere. Il tema dominante nel brano giovanneo non è quello della dimostrazione della veridicità storica del fatto della risurrezione, ma quello dello sguardo della fede che arriva a riconoscere la centralità per la vita della Chiesa della vita nuova che è sbocciata nel giardino il primo giorno dopo il sabato. Protagonisti di questo itinerario di fede sono Maria Maddalena, la prima testimone della tomba vuota, Pietro e il Discepolo che Gesù amava.

Gli altri testi della liturgia della Parola di questo giorno sottolineano alcuni aspetti. Il brano degli Atti degli Apostoli (I lettura) riporta il quinto discorso di Pietro nel quale l’apostolo ripercorre la vita di Gesù che passò facendo del bene e risanando. Pietro lega gli eventi pasquali all’intera esistenza di Gesù a partire dal battesimo predicato da Giovanni. I discepoli che hanno vissuto con Gesù non sono solo testimoni della sua Risurrezione, ma della sua intera esistenza. In questo modo viene sottolineato come tutta la vita di Gesù è stata segnata dalla logica pasquale del dono di sé. Nella Lettera ai Colossesi (II lettura) si proclama che la risurrezione del Signore è ormai un fatto che riguarda la vita di tutti i credenti, che sono «risorti con Cristo» (Col 3,1). Questa realtà illumina di luce nuova la loro esistenza e deve segnare concretamente la loro vita. In fondo nella prima e nella seconda lettura si proclama che come la realtà della pasqua ha segnato l’intera esistenza terrena di Gesù, così deve anche trasformare ed illuminare quella dei cristiani.

 

Riflessione

Quando era ancora buio

Il primo tratto dell’itinerario di fede che il brano evangelico vuole farci compiere è affidato alla figura di Maria Maddalena. Essa si reca al sepolcro spinta dal legame che aveva con il Maestro defunto. E’ ancora buio e siamo nel primo giorno della settimana, che nella Scrittura è anche il primo giorno della creazione. Per la prima volta troviamo nel testo il verbo vedere (blepo), che nel Vangelo di Giovanni appartiene al vocabolario della fede. Questa sguardo di Maria, avvolto dal buio esteriore ed interiore nel quale essa si trova, è un modo di guardare che sta ancora all’inizio del cammino di fede. Lo sguardo di Maria è ancora segnato da «una visione materiale, una visione che non comprende» (B. Maggioni). Il cammino di fede consiste nel far maturare questo sguardo che deve passare dall’osservazioni di elementi senza comprenderne il senso, all’affidamento. Maria non entra nemmeno nel sepolcro, ma va a dare l’annuncio ai discepoli. La sua incomprensione emerge dalle parole che rivolge ai discepoli: «hanno portato via il Signore dal sepolcro» (Gv 20,2).

Correvano insieme

Alle parole di Maria, due discepoli informati dell’accaduto “corrono” alla tomba. Sono Pietro e il discepolo amato. Pietro lo conosciamo, svolge in tutti i vangeli un ruolo molto particolare. Ma chi è il discepolo amato? Questo discepolo lo abbiamo già incontrato nei racconti della passione e morte di Gesù (Gv 13,23; 19,26). Prima non compare mai. Questo discepolo non ha un nome e viene indicato attraverso la relazione che egli ha con Gesù. Innanzitutto non ha un nome proprio, potrebbe essere qualunque discepolo; poi viene identificato come quel discepolo che Gesù amava: il suo nome è la sua relazione con Gesù, o meglio il suo nome è lo sguardo di Gesù su di lui: Gesù lo amava. Due aspetti molto significativi per cogliere il senso dell’esperienza del Signore risorto della Chiesa primitiva.

L’evangelista sottolinea la fretta con cui accadono questi fatti. I due discepoli corrono al sepolcro e uno dei due, il discepolo amato, corre più forte di Pietro e raggiunge per primo la tomba. Egli però ma non entra, ma si china e vede (blepo). La sua esperienza è simile a quella di Maria Maddalena: il testo greco usa lo stesso verbo per indicare l’esperienza che fa il discepolo che Gesù amava. Anche qui siamo davanti all’esperienza di un vedere materiale che non sa penetrare la realtà per coglierne un senso ulteriore. Tuttavia egli vede qualcosa di più di Maria: si avvicina alla tomba vuota, si china e vede le tele che ricoprivano il cadavere del Signore “giacenti”.

Poi alla tomba giunge anche Pietro. Egli a differenza dell’altro discepolo, entra nella tomba e vede [theoreo] le bende e il sudario. In questo caso non si usa più lo stesso verbo che abbiamo trovato in riferimento al “vedere” di Maria e del discepolo amato, qui Giovanni usa il verbo theoreo. Si tratta di un verbo che indica qualcosa di diverso rispetto a quello usato nei casi precedenti. Non siamo ancora alla meta del cammino, «non è ancora lo sguardo della fede, ma è pur sempre uno sguardo attento, che suscita il problema e rende perplessi» (B. Maggioni). Questo è un passo in più che Pietro riesce a compiere quando entra nel sepolcro e vede le bende e il sudario.

Vide e credette

Infine, entra anche l’altro discepolo, quello che come abbiamo detto viene indicato in base alla sua relazione con il Signore, “il discepolo che Gesù amava”. Egli entra, davanti ai suoi occhi trova le stesso cose che vide Pietro, ma di lui si dice che vide (orao) e credette, oppure, potremmo anche dire, “vedendo credette”. Qui troviamo un terzo verbo che indica la vista, il verbo greco orao. Questo verbo indica «il vedere penetrante di chi sa cogliere il significato profondo di ciò che materialmente appare» (B. Maggioni). E’ il tipo di visione che all’inizio del vangelo viene promessa ai discepoli (Gv 1,39. 50-51) e che verrà donata a Tommaso, quando gli apparirà il Signore risorto “otto giorni dopo”. Per questo valore un tale modo di “vedere” è affiancato dal verbo “credere”.

La vista della fede

Usando questi verbi diversi per indicare l’unica esperienza del vedere è come se l’evangelista Giovanni volesse indicarci appunto un itinerario di fede. Ci sono personaggi differenti tra loro, che vedono in modo differente anche a seconda della loro vicinanza alla tomba vuota: solo quando si entra nel sepolcro vuoto il discepolo che Gesù amava riesce ad avere lo sguardo della fede. Ciò che i discepoli fanno non è altro che l’esperienza di un grande vuoto, l’esperienza di una assenza. Vedono solo i “segni dell’assente”. Ma solo entrando nella profondità di quel vuoto e di quell’assenza lo sguardo può divenire capace di “vedere” veramente il senso di ciò che è accaduto.

Ma non possiamo dimenticare un altro particolare decisivo: colui che arriva allo sguardo della fede non è, per ora, né Maria Maddalena – di lei il Vangelo di Giovanni parlerà più avanti – né Pietro, bensì quel discepolo senza nome che viene, chiamato “il discepolo che Gesù amava”. Non bastano “i segni dell’assenza”, occorrono “gli occhi dell’amato” per arrivare allo sguardo della fede. Infatti, non possiamo fermarci alla sola constatazione del fatto che “il discepolo amato” sia una figura significativa per la comunità giovannea, il nome usato per indicare questo personaggio può dirci qualcosa di più. Un personaggio senza nome è certamente una “figura misteriosa”, ma è anche una “figura aperta” (B. Maggioni) che può rimandare alla figura del discepolo ideale al quale ogni discepolo di Gesù deve tendere. Ancor più interessante è la qualifica di questo discepolo senza nome: egli è colui che Gesù amava. Potremmo dire che è l’essere amati da Gesù che “rende chiaroveggenti”.Ancora prima di essere discepoli che amano il Signore, occorre accorgersi che è lui ad amrci per primo. Sarà la scoperta anche di Maria, quando incontrerà il suo Signore, nel giardino della Risurrezione. Lo riconoscerà quando si sentirà chiamare per noi.

Un itinerario di fede

L’assemblea liturgica nel giorno di Pasqua è invitata a compiere lo stesso itinerario di fede del discepolo amato per giungere ad uno sguardo che sa penetrare il mistero dell’assenza e del vuoto per arrivare ad una visione diversa della realtà e alla fede. E’ in una conversione dello sguardo alla luce della risurrezione che la liturgia pasquale ci invita ad entrare sulle orme di Maria, Pietro e quel discepolo che Gesù amava.

 

Matteo Ferrari, monaco di Camaldoli

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