Una cosa nuova!


V domenica di Pasqua – C

At 14, 21-27; Ap 21, 1-5; Gv 13, 31-33. 34-3

Introduzione

La pericope evangelica che la liturgia propone nella quinta domenica di Pasqua dell’anno C è, come sempre, tolta dal sul contesto biblico per “rivivere” in un nuovo contesto che è quello liturgico. Senza contraddire il contesto biblico, cerchiamo di far risuonare questo testo di Giovanni all’interno della celebrazione pasquale che la Chiesa vive nei Cinquanta giorni, i quali costituiscono un unico grande giorno di festa.

Nella pagina degli Atti degli Apostoli (I lettura) troviamo la narrazione della missione di Paolo e Barnaba, in particolare di come essi cercarono di dare solidità e struttura alle comunità da loro fondate, istituendo in ogni Chiesa alcuni anziani (presbyteroi). In questo testo emerge un aspetto importante: ci viene narrato uno sforzo di evangelizzazione, accompagnato dalla preoccupazione di organizzare anche in modo “istituzionale” le comunità locali – e tuttavia si afferma che quando i due apostoli ritornarono ad Antiochia, la comunità dalla quale erano partiti, «riferirono tutto ciò che Dio aveva operato per mezzo loro» (At 14,27). Anche questo è un aspetto pasquale al quale la Chiesa sempre si deve convertire: per imparare a vedere sempre, nella sua vita, la presenza dell’azione di Dio.

Il brano tratto dal libro dell’Apocalisse (II lettura) ci può aiutare a cogliere il contesto pasquale sullo sfondo del quale interpretare le parole di Gesù che troviamo nel vangelo.

Riflessione

Ecco: faccio nuove tutte le cose!

L’Apocalisse riprende un’immagine molto bella, già usata in precedenza per parlare della fine della storia (cfr. Ap 7,17): Dio che asciuga ogni lacrima dal volto dell’umanità. Ma qui c’è anche un elenco di situazioni che alla fine e nel fine della storia non ci sono: «non vi sarà più morte né lutto e grida e dolore» (Ap 21,5). Si parla di “ogni lacrima” e poi si fa l’elenco di una serie di concretissime situazioni che hanno toccato la vita degli uomini e delle donne di ogni tempo. Non si parla dell’intervento di Dio in occasione di grandi eventi della storia, ma si parla delle lacrime, dei lutti e delle tribolazioni che ogni uomo e ogni donna hanno vissuto nella loro concreta esistenza.

Nel fine e nella fine della storia, nel disegno di Dio, queste realtà non ci sono più. Ci sono state certo, ma Dio non le ha mai volute e alla fine della storia le cancella, perché il suo desiderio originario alla fine non può che vincere contro ogni “nemico”. Il brano termina con una affermazione che ci proietta nel testo evangelico: «Ecco: faccio nuove tutte le cose». La storia conoscerà una svolta, ma tale svolta è opera di Dio: egli stesso la annuncia come sua opera, come sua realizzazione. A partire da questo annuncio possiamo spostare la nostra attenzione sul brano evangelico, per contemplare come, dove e quando questa azione di Dio trova una sua “conferma”. Quando la Parola di Dio si dimostra degna di fede/fedele e veritiera! (cf. Ap 21,5).

 

Una cosa nuova… non ve ne accorgete?

Anche in Isaia si parla di Dio che sta per fare una cosa nuova (Is 43,19). Tramite la voce del profeta, Dio rivolge al popolo la domanda: «non ve ne accorgete?». Dice il testo: «Ecco io faccio una cosa nuova: essa già si produce, voi non (la) riconoscete?».

Anche il testo del Vangelo parla di “una cosa nuova”, un comandamento nuovo, che Gesù dona ai suoi discepoli. In realtà non si tratta di una novità dal punto di vista del contenuto: il comando dell’amore è già presente nell’Antico Testamento sia in riferimento a Dio (Dt 6,5), sia in riferimento al prossimo (Lv 19,18.34). La novità sta nel “come”. Si tratta di un comando, “amatevi”, che interessa l’avvenire, fondato sopra un fatto avvenuto nel passato: “come io ho amato voi”. L’amore dei discepoli è possibile perché sono stati preceduti dall’amore di Gesù: «Noi amiamo, perché egli ci ha amati per primo» (1Gv 4,19). Troviamo nel Nuovo Testamento moltissime espressioni che descrivono questa novità e questo amore. Gesù in Gv 15,9 descriverà qual è l’amore con il quale egli ha amato i discepoli: «Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore». È questo amore, con il quale il Padre ha amato Gesù e che Gesù a sua volta ha indirizzato verso i suoi discepoli, l’amore nel quale i discepoli stessi devono “rimanere”.

La novità di questo comandamento, allora, è la novità della Pasqua, nella quale Dio crea qualcosa di nuovo proprio in Gesù, primogenito della umanità e terra nuova che l’Apocalisse canta con stupore. Anche se collocato in un discorso di Gesù ambientato nella cena che ha preceduto la passione e quindi la Pasqua, questo testo, come ogni testo dei vangeli, è un testo trasfigurato dalla luce pasquale.

Ma il testo ci dice qualcosa di più circa questa “novità” che è stata resa possibile dalla Pasqua di Gesù e che “oggi” la Chiesa può celebrare nella sua esistenza e nel suo cammino nella storia dell’umanità.

Gloria, sequela, amore

Nel brano c’è la successione di tre temi molto significativi: la gloria, il seguire Gesù (sequela), il comandamento dell’amore. Tre temi che corrispondo nel testo a suddivisioni ben riconoscibili e anche a una scansione temporale ben precisa.

La gloria. C’è un intreccio di “gloria” nel quale sono coinvolti il Padre e il Figlio. Ma che cos’è la gloria, che cosa significa “glorificare”? Nell’Antico Testamento la “gloria” – termine che in ebraico indica la “pesantezza”, la consistenza – è il manifestarsi di Dio nella storia. La “gloria” è la presenza di Dio che si rende visibile nella storia dell’umanità: Dio si lascia conoscere come colui che agisce nella storia in favore dell’umanità. Qui si parla del Padre che è glorificato in Gesù, e di Gesù che è glorificato da parte del Padre. In Gesù, nella sua Pasqua, continua il medesimo “stile” del Dio dell’Esodo, un Dio che si incontra solo “di spalle”, cioè dal suo agire nella storia in favore del suo popolo e dell’umanità. Questo primo tema fa riferimento al tempo della Pasqua di Gesù.

Seguire Gesù. Il secondo tema è quello del seguire il Signore. Su questo tema sembra che ci sia incomprensione tra il maestro e i suoi (cf. 13,36-38). Gesù afferma che ora i discepoli non lo possono seguire dove egli va, sulla sua via (Gv 13,33.36). Il v. 36 è ancora più chiaro: ora i discepoli non possono seguire Gesù. Lo potranno fare però in un secondo momento, dopo la sua Pasqua. Adesso, prima del gesto supremo del suo amore, non possono percorrere la via che Gesù percorre. Non possono cioè amarsi vicendevolmente come Gesù li ha amati, prima che egli li abbia amati fino alla fine (Gv 13,1). Lo devono accettare così, in questo suo gesto estremo di amore, per poter diventare capaci di essere veramente suoi discepoli e di seguirlo. Il tempo di cui si sta parlando è il presente dei discepoli, prima della Pasqua di Gesù.

Il comandamento dell’amore. Ora si capisce perché Gesù introduca qui questo tema del comandamento nuovo. Gesù dice che i discepoli ora non possono seguirlo e poi dà la motivazione di questa affermazione. Egli dice infatti che la via che i discepoli devono percorrere per poterlo seguire, per andare dove lui va, cioè verso la Pasqua, è l’amore fino alla fine a somiglianza del suo. Ma prima della Pasqua questo amore è “sconosciuto” ai loro occhi, e non sono in grado di percorrere quella via. Solo dopo, dopo la Pasqua di Gesù e il dono dello Spirito, potranno essere veramente discepoli.

La sequela non è frutto dell’impegno dei discepoli, ma è quella “cosa nuova”, quella via nel deserto che Dio ha aperto nella storia dell’umanità. Senza la strada aperta da Dio in Gesù, che è la via (Gv 14,6), non ci può essere sequela autentica, ma solo rinnegamento. Allora questa parola di Gesù è situata in un “terzo tempo”, che è quello che segue alla sua Pasqua e al dono dello Spirito, che condurrà i discepoli alla verità tutta intera. È il tempo della Chiesa.

Da questo sapranno…

Senza l’amore di Gesù per i discepoli, nel quale la gloria del Padre si manifesta, non ci può essere amore tra i discepoli. Perciò il comandamento dell’amore è un frutto della Pasqua ed è “novità”, perché la storia non avrebbe potuto “generarlo”. Anche questo è un “tratto” della Pasqua che la Chiesa celebra in questo tempo. Ma non solo i discepoli dovranno cogliere la novità della Pasqua: tutti dovranno poter cogliere questa novità, che fiorisce in mezzo a loro proprio a partire dall’amore vicendevole. L’amore vicendevole è il segno distintivo dei discepoli, ma questo non è loro conquista: è la traccia che la potenza della Pasqua di Gesù agisce in essi. Solo quando una comunità riesce ad essere docile alla “forza” della Pasqua, diventa quindi “evangelizzante”!

 

Matteo Ferrari, monaco di Camaldoli

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