Eucaristia e sostanza: una replica di F. Arzillo (Quaestio de eucharistia /2)


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Il tema della “sostanza”, come custodia della autorità corporea della eucaristia, costituisce una categoria che da secoli caratterizza larga parte della teologia cattolica. Con poche pagine nitide, F. Arzillo risponde alle argomentazioni che ho presentato nel mio post precedente (Messale nuovo e teologia vecchia?), difendendo la “imprescindibilità” del riferimento alla “transustanziazione” per dire la presenza reale. Riporto qui  il suo testo, che merita una lettura accurata, perché presenta con ordine alcuni degli argomenti più classici a difesa della lettura metafisica della eucaristia. Dedicherò un prossimo post alla continuazione della discussione, per mettere in evidenza di questo articolo tutto quello che mi trova concorde, ma anche tutto ciò su cui non posso essere d’accordo. La identificazione della verità eucaristica con il linguaggio metafisico viene intesa da F. Arzillo come l’unica garanzia per la tradizione, mentre per me la tradizione può continuare solo se trova la forza e l’autorità di ripensare profondamente il proprio linguaggio, che è condizione pesante della sua esperienza. Io penso che per dire la verità dell’eucaristia possiamo evitare di utilizzare le categorie scolastiche di sostanza, accidenti, essenza ed uso. Il mio interlocutore non è d’accordo. Ascoltiamo dunque i suoi argomenti critici: infatti di una discussione franca e aperta, dettagliata e serena, ha urgente bisogno il nostro lavoro teologico comune.  

Eucarestia e “sostanza”: qualche interrogativo ulteriore su alcune tendenze teologiche attuali (di Francesco Arzillo)

 

Recentemente il teologo Andrea Grillo, che da anni studia i problemi dell’Eucarestia sotto il profilo sacramentario e liturgico, ha ripreso un mio breve scritto di una decina di anni or sono1, nel quale richiamavo la perdurante importanza della transustanziazione e tentavo di mostrare la complementarità che sussiste tra la classica ontologia della sostanza, dogmaticamente rilevante, e la fenomenologia del dono: il dono radicale è infatti tale solo in quanto sostanziale, con la conseguente imprescindibilità della nozione della transustanziazione.

Grillo ribadisce la sua visione critica al riguardo, le cui conclusioni (che sono peraltro il frutto di un lavoro argomentativo ampio) sono riassumibili nei termini che seguono:

Io non credo, invece, all’imprescindibilità della categoria di transustanziazione. Ritengo che credere nella presenza di Cristo nella celebrazione eucaristica non implichi ex necessitate un linguaggio che utilizzi per forza le categorie di sostanza e di specie. In altri termini, dire “presenza” non implica necessariamente parlare di “sostanza/specie”.

Si tratta, secondo questo punto di vista, di una nozione che non è né necessaria né sufficiente a tal fine in quanto essa:

A)“Non costituendo una verità diversa dalla presenza reale, ne costituisce un’autorevole esplicazione, ma non è “altro” dall’affermazione della presenza reale del corpo e del sangue del Signore Gesù nel pane e nel vino dell’eucaristia. Non si tratta di credere altro dalla presenza, ma di affidarsi a un’autorevole mediazione, il cui intento non è la testimonianza della fede, ma la sua spiegazione”.

B) “non è sufficiente a restituire l’integralità di esperienza cristologica ed ecclesiale che l’azione eucaristica istituisce, essendo concentrata solo su un momento della celebrazione e prendendo in considerazione soltanto una sequenza limitata del processo rituale. A una proposta di sostanzializzazione della presenza occorre sostituire una proposta di estensione e di articolazione della medesima: a una logica concettuale e statica deve essere sostituita una logica temporale e dinamica. In questo passaggio, muta radicalmente il ruolo dell’esteriorità, che non può essere relegata nell’ambito dell’accidentale o dell’apparente. Le specie e gli accidenti non sono solo apparenze non reali e contingenze non necessarie”.

Sussisterebbe quindi “l’esigenza di una precisa revisione di questo “modo conveniente ed appropriato” – ma in senso assoluto non necessario e non sufficiente – di spiegare il dogma fidei, il quale consiste nella confessione della presenza del dono che il Signore fa di sé alla Chiesa radunata in assemblea per la celebrazione eucaristica”.

Ora, questo ordine di idee, che trova riscontro in altri studi contemporanei, pone a mio avviso alcuni gravi problemi che intendo solamente elencare, senza alcuna pretesa di svilupparli sistematicamente in questa sede.

  1. Il primo problema discende da una lettura a-metafisica della grande tradizione del movimento liturgico, che tuttavia risale a pensatori che ben conoscevano (dandola in un certo senso anche per presupposta) la tradizione della filosofia antica e medievale. L’opera di Guardini è al riguardo esemplare. In un magnifico saggio del 1949, egli non contrapponeva certamente la forma alla vita, lo spazio al tempo, bensì parlava di una “forma strutturale” (Baugestalt) e “di una forma in divenire” (Werdegestalt”), le quali “si coappartengono, vale a dire rappresentano entrambe l’organismo, la prima nello spazio, l’altra nel tempo”2. Questo per dire che un autentico pensiero della realtà dovrebbe procedere per integrazioni più che per contrapposizioni. Neppure nel campo eucaristico ha senso la contrapposizione – più o meno latente – di una visione statica e fissista a una visione dinamica e processuale: il dinamismo non è fine a sé stesso, ma è il dinamismo di qualcosa, anzi di Qualcuno.
  1. Se questo è vero, non è neanche possibile configurare una sorta di priorità (oppositiva) dell’actio sull’ens: non solo perché “agere sequitur esse”, ma perché l’azione presuppone il suo soggetto e il suo termine, ossia delle entità ontologiche.
  2. Il fatto che l’ontologia si serva della nozione di sostanza non deve far paura ai contemporanei.Da un lato, la base di questa nozione è nell’esperienza comune (il senso comune studiato nelle sue implicazioni metafisiche ed epistemologiche da Garrigou Lagrange e da Antonio Livi). Quando si chiede: “Che cosa è questo?”, ci si attende come risposta un’indicazione di carattere – appunto – “sostanziale” (“E’ un albero”). Dall’altro, lo sviluppo filosofico riflesso di questa nozione parte dal pensiero greco (specialmente aristotelico) ma, come ha ben mostrato Enrico Berti, rimane tuttora vivace nella filosofia contemporanea, soprattutto in quella analitica di matrice anglosassone.In particolare, questa nozione ben “centra” e fonda i profili statici e dinamici richiamati da Guardini, assicurando anche l’identità nel tempo.
  1. Ovviamente l’ontologia è legata alla gnoseologia: se non si riconosce la capacità della conoscenza umana di adeguare la realtà, ogni indagine autenticamente teo – logica rimarrà sempre preclusa.
  2. Il nesso con la gnoseologia non a caso è presente in Karl Rahner, il quale ritiene che nei dogmi si possano “trovare amalgamate in maniera indistinta rappresentazioni e interpretazioni che non fanno parte del contenuto vincolante della proposizione di fede in questione”; e che, con riferimento all’Eucarestia, il “concetto di sostanza, di fatto presente a Trento e non distinto dal nucleo dogmatico vero e proprio” non possa essere “ancor oggi vincolante per l’interpretazione della transustanziazione”3.In realtà non si tratta primariamente di un problema di linguaggio, ma proprio di nozione e di concetto, la cui modifica comporta la modifica del senso del dogma, contrariamente al canone leriniano e alle indicazioni del magistero ecclesiale, sulla base di una forma di storicismo ermeneutico (che in Rahner pare richiamarsi a una sorta di ultima ineffabilità del referente teologico, inteso a modo di un noumeno kantiano).
  1. La tesi di Grillo pone quindi problemi di continuità di rappresentazione teologica e, ultimamente, di carattere dogmatico. Nel classico manuale di Ott si classifica con la nota teologica “de fide” l’affermazione seguente: “Cristo è reso presente nel sacramento dell’altare mediante la conversione di tutta la sostanza del pane nel suo corpo e di tutta la sostanza del vino nel suo sangue”.
  2. Si vuole dire, con questo, che la “conversione sostanziale” non costituisce una mera espressione linguistica del dogma della presenza reale, ma è essa stessa parte inseparabile di tale dogma (come del resto mostra il magistero pontificio: basti pensare all’enciclica Mysterium fidei nonché alla Solenne professione di fede di Paolo VI).
  3. Tutto ciò non comporta la preclusione delle indagini di teologia liturgica e degli sforzi teologici intesi alla comprensione dei nessi che legano l’Eucaristia a tutto il Mysterium salutis. Non a caso Giuseppe Colombo, che pure invitava a proseguire il lavoro teologico volto alla comprensione unitaria e sintetica del mistero, nondimeno enunciava con chiarezza che “il dogma tridentino – presenza reale, transustanziazione e sacrificio della Messa – ha enucleato da questo “mistero” alcune acquisizioni definitive che si impongono come linee di non ritorno nella comprensione del mistero; ad esse infatti il magistero richiama puntualmente, ogni volta che teme vengano negate o fraintese”; e che esse “non esauriscono il mistero, ma costituiscono le direttive imprescindibili per la sua comprensione”4.
  4. Con il riferimento testuale all’imprescindibilità di questo concetto dogmatico, per bocca di un illustre esponente della scuola milanese, si chiude – in forma quasi circolare – questo scritto, che costituisce anche un invito alla presa di coscienza dell’esigenza di non restringere gli orizzonti della razionalità, sia pure usata in maniera sapienziale, nel lavoro teologico.

11 Cfr. A. Grillo, “Messale nuovo e teologia vecchia? Il “de officiis” e la teologia sistematica”, reperibile all’indirizzo www.cittadellaeditrice.com/munera/messale-nuovo-e-teologia-vecchia-il-de-officiis-e-la-teologia-sistematica/. Ivi si rinviene anche il link al mio articolo sull’argomento, pubblicato sul sito “Chiesa espresso”.

2 R. Guardini, “Il diritto alla vita prima della nascita”, trad. it., in Opera omnia, vol VI: Scritti politici, a cura di Michele Nicoletti, Brescia, Morcelliana, 2005, pp. 398-399.

3 Karl Rahner, “Storia dei dogmi e della teologia di ieri per domani”, in ID:, Dio e Rivelazione, Alba, Ed. San Paolo, 1981, pp. 24-25.

4 G. Colombo, Teologia sacramentaria, Milano, Glossa, 1997, pp. 329-330.

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