Munera 1/2020 – Editoriale

L’essere umano è quell’animale che rappresenta un problema per sé stesso. Tra sé e sé stesso si apre infatti uno spazio, una distanza: talvolta più ampia, talvolta più ristretta. La coscienza che ha di sé non coincide perfettamente e immediatamente con il suo essere. Una questione emerge dunque inevitabile: «chi sono?». Non si tratta di una pura curiosità intellettuale, ma di una questione vitale e urgente (talvolta “urgentissima”).

L’esistenza umana è dunque costantemente alle prese con il compito di adeguare sé stessa a sé stessa, di divenire sé stessa, rispondendo a una necessità che non ha scelto: la libertà è la possibilità di acconsentire o meno a sé stessi, non di essere qualsiasi cosa indistintamente.

Conseguentemente, l’esistenza umana è anche sempre alle prese con la possibilità di rinnegare e di perdere sé stessa. In alcuni momenti – quelli che Hannah Arendt chiamava «tempi bui» – questo avviene in maniera sistematica: allora l’intera umanità sembra perdersi del tutto. Ogni volta che questo è accaduto, il genere umano si è salvato grazie a qualche piccolo lumicino di umanità rimasto vivo in coloro – in genere pochi – che, a caro prezzo, hanno saputo resistere.

La storia umana potrebbe essere raccontata come la storia dei tentativi di rispondere alla questione circa la nostra umanità attraverso grandi gesti di esclusione e di scomunica. A lungo si è pensato l’umano in termini maschili e un gesto conseguente è stato di escludere le donne, considerate figure di un’umanità deficitaria e incompleta: non a caso, in molte lingue, il sostantivo “uomo” è usato indistintamente per indicare il maschio e l’appartenente al genere umano. La medesima dialettica di inclusione ed esclusione la si ritrova – nelle varie epoche – tra liberi e schiavi, civilizzati e barbari, bianchi e neri, ariani e non, cittadini e non…

La domanda sulla nostra umanità – su che cosa significhi essere umani – mantiene ancora tutta la sua urgente attualità. La sfida è oggi di rispondere a quella domanda senza ripetere il gesto di scomunica che troppo spesso l’ha accompagnata.

Se non fosse che l’espressione è così abusata da essere ormai venuta a nausea, si dovrebbe dire che ci occorre un umanesimo all’altezza dei nostri tempi. Un umanesimo inteso non come un sistema di pensiero e – men che meno – come un nuovo assetto dottrinale, ma come un’ecologia complessiva dell’umano, che fugga ogni riduzionismo.

Se qualcosa oggi ci è chiaro è che la realtà è complessa e che tutto è collegato. Il gesto della modernità è stato di riconoscere l’autonomia dei diversi ambiti e delle diverse sfere dell’esistenza. Oggi ci rendiamo sempre più conto del fatto che solo una cura dell’organismo, inteso come totalità, ci potrà salvare. Questo vale a tutti i livelli: a livello delle nostre esistenze personali, delle nostre relazioni familiari e di prossimità, delle nostre comunità religiose e politiche, dell’ecosistema in cui viviamo. Ciascuno di noi è un organismo unitario inserito in un sistema di relazioni che a sua volta costituisce un organismo unitario.

A lungo abbiamo compreso la nostra umanità in opposizione a un sopra (il divino) e a un sotto (l’animale). Col primo abbiamo ritenuto di condividere la dimensione incorporea e spirituale, con il secondo la dimensione corporea e materiale. A lungo abbiamo dunque ritenuto che il compimento della nostra umanità consistesse nel prendere le distanze dal corporeo (l’impuro) per avvicinarci allo spirituale (il puro). Si tratta di uno schema gnostico che – nel corso della storia – ha generato mostri.

Oggi sappiamo che, perdute le esperienze elementari della vita che condividiamo con l’animale (il nascere, il morire, il mangiare, la sessualità…), si perde anche la possibilità di apprezzare la dimensione spirituale, la quale non costituisce una sfera separata dell’esistenza, ma una sua dimensione immanente. Siamo un tutto organico, inseriti in un tutto organico: microcosmo e macrocosmo. L’umanesimo di cui abbiamo bisogno non può che costituirsi come ecologia di cosmi – micro e macro – organicamente interdipendenti l’uno dall’altro. Ogni gesto di esclusione, di scomunica, di scarto, ha inevitabilmente ricadute sull’intero: sull’umanità di tutti e di ciascuno.

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