“Querida Amazonia” può diventare anche “querida mujer”? Sui laici e sul ministero delle donne


Confessione donna (stampa Ottocento)

Il dibattito suscitato dal nuovo documento papale è di grande intesse. Non solo perché solleva le reazioni più diverse, dal totale pessimismo sulle possibilità di rinnovamento ecclesiale, alla scoperta di nuovi percorsi di reale trasformazione che si dischiudono proprio grazie a tale Esortazione. Qui vorrei però soffermarmi su un punto particolare della Esortazione, ossia sulla considerazione che riserva alla categoria di “laico” e, al suo interno, a quella di “donna”. E vorrei partire da due testi importanti, che abbiamo letto tra ieri e oggi. Da un lato la fiera reazione di C. Simonelli sul Regno. Dall’altro la acuta lettura di Riccardo Cristiano, in relazione ad un testo dell’Arcivescovo V. Fernandez, per il blog “formiche”.

In estrema sintesi, mi colpisce come si possa dare, contemporaneamente, una grande mutazione di orizzonte, che possa prevedere una “chiesa marcatamente  laicale”, addirittura una “chiesa cattolica di rito amazzonico”, fondata su una autorità prevalentemente laicale, e insieme compaia, nello stesso testo, una comprensione così limitata e così impacciata della donna, nella quale essa viene pensata e presentata “fuori dallo spazio e fuori dal tempo” e senza slancio.

Questo è il punto su cui vorrei soffermarmi.  La questione è presto detta: per pensare il “processo ecclesiale” di trasformazione della “forma tridentina” della istituzione, avremmo bisogno di una elaborazione ben più avanzata di ciò che chiamiamo “laico” e di ciò che diciamo della “donna”. Vediamo rapidamente qualcosa di entrambe queste categorie.

Una chiesa di “laici”?

La categoria di “laici” resta una categoria residuale e poco significativa, sia dal punto di vista teologico, sia dal punto di vista ecclesiologico. Se continuiamo a ragionare “per differenza” – laici sono tutti quelli che non sono chierici – non ne trarremo gran frutto. Penso che dovremmo smettere di parlare così. Perché i cristiani, tutti i cristiani battezzati, sono “conformati a Cristo” e nel rapporto con lui partecipano del “sacerdozio comune”, al cui servizio esiste un sacerdozio ministeriale. E’ evidente che il vantaggio della categoria di “laicato” è precisamente di lasciare inalterata una categoria di sacerdozio riservata ai chierici. Ma questo, a partire dal Concilio Vaticano II, è una visione vecchia, datata e inefficace. Io capisco bene che si debba lavorare per modelli ecclesiali diversi, ma prima di tutti si deve cominciare dalle parole. In Amazzonia – come in Germania o in Polonia o in Africa – non ci sono “laici”, ma fedeli che partecipano del sacerdozio comune, oltre che del munus profetico e regale. Se iniziamo a pensare in questo modo, possiamo certamente vedere come una chiesa “di battezzati” – che non è una cosa nuova – esiga un ripensamento accurato dei soggetti comuni e dei soggetti ministeriali.

La donna fuori dallo spazio e dal tempo?

Le pagine dedicate alla donna sono, in QA, tra le meno felici. Ma questo accade non senza motivo. In effetti il tema dei laicato è già riduttivo, se ci si aggiunge l’aggettivo “laicato femminile” si raggiunge il massimo della riduzione. Si tratta di una riduzione che patisce una doppia minorità.

– La prima dipende dalla pretesa che “il modello di donna” sia sempre uguale, nello spazio e nel tempo. E che pertanto non debba risentire delle variabili culturali. Che tutto si possa inculturare, meno che la donna, immune da ogni mutamento, sia da quelli “moderni”, che hanno fatto emergere una nuova identità “pubblica” del femminile; sia di quelli provenienti da “tradizioni diverse”, nelle quali, non a motivo della modernizzazione, ma per altre ragioni, le donne esercitano un ruolo “pubblico” e “autorevole” in modo strutturale.

– La seconda dipende dalla interferenza “spirituale” di questo modello “astorico”, in cui la vocazione della donna è letta proiettando su alcuni modelli femminili della tradizione tutto il peso della definizione. Fino a correlare gli uomini battezzati a Cristo e le donne battezzate a Maria. Questa operazione è teoricamente debolissima e senza vero fondamento, se non nelle abitudini di una parte della tradizione europea, che così ha elaborato la pretesa di una identità statica.

Come dire “querida mujer”?

Per questo, a me pare, il grande valore di QA discende da un grande sforzo di “conoscenza diretta” del fenomeno Amazzonia. Possiamo dire “cara” alla Amazzonia perché abbiamo fatto la fatica di conoscerla davvero, di sottrarla agli stereotipi, di viverla con passione. La sua foresta diventa ospitale e piena di vita, se non la sottoponiamo immediatamente alle regole della foresta urbana o di quella curiale.

La stessa cosa dobbiamo fare con la “donna”. Anche la foresta del femminile, che copra per metà la terra, deve essere sottratta alla forza di pregiudizi secolari, alla cecità di correlazioni troppo ingenue o troppo maliziose, di cui la foresta curiale è maestra. Una teologia della donna non può che passare attraverso una teologia di donne. Il cammino ecclesiale, che è lungimirante, ha ormai donne, tante e qualificate, che possono insegnare teologia ed essere autorevoli nella Chiesa, non solo in privato. Nessuna donna avrebbe mai scritto quello che uomini di curia hanno scritto su di lei, senza conoscerla davvero. Io credo che il “sogno ecclesiale”, che QA ha scritto col fuoco, e che lascerà il segno, debba contemplare anche un “sogno femminile”, un sogno sulle donne, ma soprattutto un sogno delle donne che scaturisce dal loro corpo, dal loro desiderio e dal loro discernimento della Parola. Non vorrei che ci illudessimo di costruire una “Chiesa di popolo”, in Amazzonia o altrove,  senza rivedere, bene a fondo, il modo con cui parliamo delle donne. Salvate dall’unico Cristo e al servizio dell’unico Signore. Sotto il “presidio” di Maria, certo, ma esattamente come tutti gli altri.

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