Emmaus
III DOMENICA DI PASQUA – A
At 2,14.22-33 Sal 15 1Pt 1,17-21 Lc 24,13-35
Introduzione
Nella III Domenica del tempo di Pasqua il Vangelo riporta la narrazione dell’apparizione del Risorto ai due discepoli in cammino verso Emmaus (Lc 24,13-35). Si tratta di un testo fondamentale per comprendere la vita della Chiesa: nel cammino dei discepoli con il misterioso viandante infatti possiamo cogliere il cammino della Chiesa che vive nell’ascolto della Parola e nella frazione del pane l’incontro co il suo Signore. La prima lettura (At 2,14.22-33) riporta un passaggio del discorso di Pietro nel giorno di Pentecoste. Pietro afferma che la risurrezione di Gesù è «secondo le Scritture», poiché già Davide l’aveva annunciata. La seconda lettura (1Pt 1,17-21) ci aiuta a collegare il mistero della Pasquale del Signore alla nostra vita: l’Autore invita i credenti a comportarsi in maniera corrispondente all’amore che Dio ha manifestato nella morte e risurrezione di Gesù. La risurrezione del Signore è il fondamento della speranza dei suoi discepoli e delle vita nuova che essi sono chiamati a vivere.
Commento
Il brano del Vangelo riporta Un racconto noto, forse troppo noto per sfuggire alla tentazione di andare subito al lieto fine, alla mensa di Emmaus dove i due discepoli riconoscono il Signore allo spezzare il pane. Tuttavia, se proviamo a fare lo sforzo di non correre subito alla fine del racconto con la nostra mente, ma a percorrere la strada, il cammino che i discepoli percorrono, possiamo scoprire un messaggio sempre nuovo e coinvolgente che ci porta al centro della nostra fede.
Innanzitutto, il racconto di Emmaus ci descrive un viaggio compiuto da due discepoli la sera del giorno della Risurrezione del Signore. Non è indifferente che si tratti di un cammino: è un racconto che ha come ambiente una strada, segnato quindi dal movimento, dal viaggio di andata e ritorno. Il tema del viaggio è un grande tema per Luca – pensiamo al grande viaggio di Gesù verso Gerusalemme che segna tutta la seconda parte del Vangelo – ma è anche un tema fondamentale per la letteratura: un grande simbolo capace di descrivere la nostra vita.
Su questa strada verso casa, in direzione contraria al grande viaggio di Gesù verso Gerusalemme, due discepoli camminano tristi e delusi e parlano tra di loro della loro delusione, sfogano forse la loro rabbia e il loro risentimento. In questo viaggio mesto si accosta un pellegrino sconosciuto, perché i loro occhi sono incapaci di riconoscerlo. Egli cammina con loro, pone delle domande, ascolta le risposte, spiega le Scritture. I due discepoli hanno tutti i dati sottomano: hanno conosciuto Gesù come profeta potente in parole e opere; conoscono i fatti della sua passione e morte; conoscono l’annuncio delle donne recatesi al sepolcro; sanno che esse dicono di aver avuto visioni di angeli che attestano che Gesù è vivo. Essi sanno che alcuni discepoli, andati anch’essi al sepolcro, hanno trovato come era stato detto dalle donne. I due hanno tutti i dati in mano, ma non basta: occorre che lo sconosciuto viandante, lungo il loro mesto cammino, spieghi loro le Scritture: senza le Scritture spiegate da Gesù stesso i dati non bastano perché, come afferma Luca in un altro passo, «se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti» (Lc 16,31).
Ma ecco che il lungo cammino arriva al suo termine, sono ritornati a casa e invitano il misterioso viandante a tavola con loro prima di continuare il suo cammino. Allo spezzare il pane, davanti ai gesti che Gesù ha compito nell’ultima cena per esprimere il senso della sua vita donata, allora i loro occhi si aprono e riconoscono il Signore. Ed egli subito, inafferrabile, scompare alla loro vista.
Se ci pensiamo bene, questo viaggio è la nostra celebrazione dell’eucaristia. Anche la celebrazione eucaristica è un cammino, un viaggio. Arriviamo elle nostre celebrazioni anche noi forse un po’ delusi e con i nostro volti tristi, con la nostra rabbia e i nostri risentimenti. Anche noi abbiamo tutto tra le mani: la testimonianza degli apostoli, la parola e la testimonianza di tanti fratelli e sorelle. Eppure, anche noi spesso possiamo dire «speravamo», con uno sguardo rassegnato al nostro passato e con la tentazione di tornare indietro, verso casa.
Ma il Signore, misterioso pellegrino, si accosta a noi e ci pone delle domande, ascolta le nostre risposte, ci spiega le Scritture e si rivela a noi nei gesti dell’ultima cena, che sono i custodi della sua memoria in mezzo a noi. E anche noi possiamo riconoscerlo, dopo aver ascoltato la sua Parola (e solo se l’avremo ascoltata) allo spezzare del pane.
Conclusione
Il cammino di Emmaus è il cammino di ogni nostra eucaristia, ma è anche il cammino della nostra vita, perché nell’eucaristia è l’intera nostra vita che si rispecchia: il cammino di Emmaus e il cammino di ogni celebrazione dell’eucaristia in fondo è la nostra stessa vita. Noi celebriamo l’eucaristia per lasciarci dire il senso della vita: camminare con Gesù, anche senza riconoscerlo, lasciandoci porre domande da lui e ascoltandolo mentre ci spiega le Scritture, fino a giungere al luogo dove riconoscerlo, cioè il dono della sua e della nostra vita, nel pane spezzato e nel calice dell’alleanza.
Non abbiamo fretta di arrivare a Emmaus, perché quella strada solitaria è la nostra esistenza: al termine del cammino lo riconosceremo e potremo correre dai nostri fratelli e sorelle; correre a Gerusalemme, riprendendo la direzione del suo grande viaggio, nel dono della nostra vita. E la meta finale è la Gerusalemme del cielo, là dove egli sarà tutto in tutti.
Matteo Ferrari, monaco di Camaldoli