Donne e ordine: S. Tommaso d’Aquino nel magistero (/3), di Riccardo Saccenti


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Donne e ordine. Note sull’uso di Tommaso d’Aquino nei documenti del magistero. 3: Il sacramento dell’ordine e la donna: “natura”, “ratio” e “societas”

di Riccardo Saccenti

Il dispositivo metodologico messo a punto nella stesura e ristesura del prologo del Commento alle Sentenze è quello che Tommaso mette in opera anche allorché, nel legere il quarto libro, prende in considerazione i sacramenti e quello dell’ordine nello specifico1. Qui, il tema della possibilità o meno dell’ordinazione delle donne emerge nei due articoli della secunda quaestio a commento della venticinquesima distinzione, nei quali Tommaso discute, rispettivamente, se un difetto della natura rappresenti un impedimento a questo sacramento e se lo sia una circostanza esterna determinata dalla sorte (fortuna).

Nella prima delle due questioni l’Aquinate elenca una serie di argomenti a favore e contro l’ordinazione delle donne che si ritrovano anche in altri commenti alle Sentenze coevi, a partire di quello bonaventuriano che certamente Tommaso conosce direttamente. Ad esempio, a sostegno dell’ordinazione femminile si cita il caso biblico di Debora e dell’autorità ad essa riconosciuta o quello del ruolo riconosciuto alle donne in alcuni passi del Nuovo Testamento che sono fondativi dell’autorità delle badesse, o il fatto che le donne siano ammesse alla massima condizione di perfezione che è quella propria dello stato religioso o all’esercizio della più alta fortezza che si determina nella sopportazione del martirio. Tommaso attinge verosimilmente al testo del maestro francescano, semplificando e condensando la serie di argomentazioni che invece Bonaventura articolare con maggiore analiticità.

Del tutto originale è tuttavia la soluzione della questione a cui perviene il domenicano, la quale è imperniata sulla distinzione fra due ordini di necessità che sono in gioco in ogni sacramento e che afferiscono a colui che tale sacramento riceve, ossia: la necessità del sacramento (necessitas sacramenti), cioè la necessità che è legata alla natura del sacramento come tale, e la necessitò del precetto (necessitas praecepti) che riguarda la dimensione normativa stabilita dalla chiesa sulla base del criterio della congruità (congruitas) con la natura del sacramento stesso. Riguardo al primo genere di necessità, Tommaso osserva che, in quanto sacramento, anche nel caso dell’ordine è richiesta non solo la res, la cosa che viene significata, ma anche la significatio rei, cioè il contenuto significante che viene compreso.

Su questa base l’Aquinate argomenta:

Poiché, dunque, nel sesso femminile non è possibile che sia significata alcuna eminenza di grado, perché la donna ha una condizione di soggezione, allora non è possibile in questo caso farsi carico del sacramento2.

 Riguardo invece alla necessità connessa alla legislazione canonica, Tommaso si affianca a Bonaventura nel citare i canoni che parlano di “diacone” e “presbitere” per dare di essi una lettura che esclude l’uso di questi termini con riferimento all’ordinazione delle donne e spiega che, se la diacona è semplicemente una donna che partecipa a qualche atto di un diacono – l’esempio offerto è quello della lettura dell’omelia in chiesa –, presbitera è un grecismo che significa la condizione di vedovanza delle donne.

Nel luogo parallelo del commento bonaventuriano appare evidente la diversità di approccio, a partire dal fatto che il francescano si sofferma lungamente su dati autoritativi connessi con la communis opinio. È quest’ultima, da intendersi come l’elemento dottrinale condiviso dai teologi, a giustificare in prima istanza il rigetto dell’ordinanza femminile che né deve né può avvenire. Dall’argomentazione bonaventuriana si evince come sia la convinzione tenuta per ferma dai “maestri di teologia” che interpreta in questo senso i canoni, inclusi quelli in cui si menzionano diacone e presbitere. Significativamente, il maestro francescano conclude che:

Secondo la convinzione più assennata e prudente dei dottori, non solo <le donne> non devono o non possono <essere promosse ai sacri ordini> di diritto, ma non possono nemmeno di fatto3.

 È a questo punto che Bonaventura introduce un’argomentazione teologica fondata sul principio dell’analogia fra Cristo e colui che riceve l’ordine nella chiesa: il presbitero è “segno” perché significa il Cristo come mediatore e dal momento che Cristo mediatore è uomo allora solo un uomo può adeguatamente significarlo, circostanza che esclude le donne dall’ordinazione. Si tratta di una giustificazione che lega la dimensione simbolica del sacramento con il carattere naturale di colui che lo riceve, in questo caso il presbitero. Per Bonaventura, infatti, è il carattere corporeo che qualifica il genere maschile a fare dell’uomo colui che è capace di “rappresentare secondo natura” il Cristo. Un orientamento, per così dire, fisico-corporeo che è confermato nel modo in cui il francescano replica alla tesi secondo la quale, dato che l’ordine riguarda l’anima, la differenza di genere non impedisce l’ordinazione delle donne. Bonaventura replica che il sacramento riguarda non l’anima soltanto ma l’interezza dell’essere umano, ossia l’anima unita al corpo e questo sempre a motivo della significatio connessa al sacramento, la quale richiede un segno “visibile” e dunque investe il corpo e non solo l’anima.

Le due argomentazioni, quella di Tommaso e quella di Bonaventura, differiscono su due elementi di fondo. Il francescano si muove lungo due direttrici: quella della communis opinio dei teologi, la cui autorevolezza riposa sul principio giuridico e magisteriale della sanior pars; quella della naturalis repraesentatio che assume la differenza di genere, cioè il dato corporeo, quale criterio dirimente, a favore dei soli uomini, per poter adeguatamente significare il Cristo mediatore. Pur riconoscendo che questa posizione non gode di certezza assoluta ma si tratta di quella più probabile e che gode del supporto delle maggiori auctoritates dei Padri, il francescano riorienta la questione dell’ordine in chiave cristologica, ossia rispetto ad uno sfondo nel quale la differenza fra maschio e femmina, delineata per spiegare perché Cristo si sia incarnato in un uomo e non in una donna, assume un valore strutturale, fondato sui caratteri fisici e corporei che esplicitano la proprietà dell’uomo di essere soggetto attivo (agere) e la condizione di passività (pati) della donna4.

Rispetto a questo modo di procedere Tommaso segue una linea diversa, a partire dall’assenza di un appello alla comune convinzione dei teologi, che appare del tutto assente. Del resto, dentro il quadro epistemologico di una teologia che si configura come ragione che meglio penetra la comprensione delle realtà create «condotta per mano dalla fede», il criterio della communis opinio cede il passo all’argomentazione razionale. Il cuore dell’argomentazione è poi l’uso del concetto di eminentia gradus, che è requisito necessario perché chi riceve l’ordine sia in condizione di significare la realtà a cui il sacramento come segno rinvia, ossia Cristo. Diversamente da Bonaventura, Tommaso si riferisce qui allo status giuridico e sociale della donna e non alla sua condizione fisica o ai suoi caratteri corporei. Lo conferma la successiva espressione latina, status subiectionis, che indica appunto la relazione giuridica di subordinazione della donna all’uomo, la quale tuttavia non ha per l’Aquinate un fondamento fisico nella diversità di genere, perché sul piano della natura umana, per come la filosofia ne restituiscono la comprensione, non vi è diversità di essenza fra maschio e femmina.

Ad esplicitare questo punto di vista è Tommaso stesso nelle repliche alle argomentazioni che seguono la sua risposta, là dove spiega la differenza fra dono e sacramento per sottolineare come la profezia, che è dono, sia accessibile a tutti e invece l’ordine, in quanto sacramento, sia precluso alle donne. Mentre, infatti, spiega il domenicano, il sacramento richiede il significato della cosa, il dono richiede solo la cosa donata. Nota Tommaso:

E poiché, dal punto di vista della realtà, nelle cose che sono nell’anima la donna non differisce dall’uomo, anzi talvolta la donna si scopre migliore di molti uomini quanto all’anima, allora può ricevere il dono della profezia e altre cose di tal genere, ma non il sacramento dell’ordine5.

 Una conferma ulteriore di questo orientamento viene dalle righe subito successive, nelle quali Tommaso recupera ancora Bonaventura per spiegare come il caso biblico di Debora richieda di distinguere un primato dell’ordine sacerdotale, inaccessibile alle donne, da quello di ordine temporale che invece può essere pienamente esercitato anche dal genere femminile.

 (segue – 3)

1Di seguito il testo del Commento alle Sentenze di Tommaso è citato dalle seguenti edizioni. Per il prologo si utilizza Oliva, Les débuts de l’enseignement de Thomas d’Aquin et sa conception de la sacra doctrina; per il primo e il secondo libro si cita da S. Thomae Aquinatis Scriptum super libros Sententiarum Magistri Petri Lombardi, editio nova, ed. R.P. Mandonnet, t. I-II, p. Lethielleux, Paris 1929; per il quarto libro si cita invece da Scriptum super libros Sententiarum Magistri Petri Lombardi, ed. M.F. Moos, t. III-IV, P. Letielleux, Paris 1933-1947. Il testo di Tommaso, come quello dell’intera Opera omnia dell’Aquinate è accessibile in rete sul sito www.corpusthomisticum.org.

2Thomas de Aquino, Super IV Sententiarum d. 25, d. 2, a. 1, qc. 1, co: «Cum ergo in sexu feminino non possit significari aliqua eminentia gradus, quia mulier statum subiectionis habet; ideo non potest ordinis sacramentum suscipere».

3Bonaventura de Balneoregio, Super IV Sententiarum d. 25, a. 2, q. 2, ed. Quaracchi, p. 650: «Et secundum saniorem opinionem et prudentiorem doctorum non solum non debent vel non possunt de iure, verum etiam non possunt de facto».

4Cf. Bonaventura de Balneoregio, Super III Sententiarum d. 12, a. 3, q. 2.

5Thomas de Aquino, Super IV Sententiarum d. 25, a. 1, qc. 1, ad 1um: «Et quia secundum rem, in his quae sunt animae, mulier non differt a viro, cum quandoque mulier inveniatur melior quantum ad anima multis viris; ideo prophetiae et alia huiusmodi potest accipere, sed non ordinis sacramentum».

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