Libero e non esigibile, ma dovuto: sull’ultimo libro di Stefano Biancu


Biancu2020

Con lo stile pacato che abbiamo imparato ad apprezzare nei suoi libri precedenti, e con grande finezza, in questo volume (Il massimo necessario. L’etica alla prova dell’amore, Milano, Mimesis, 2020) Stefano Biancu  -che insegna Filosofia morale alla Lumsa di Roma – scandaglia con bella chiarezza un tema “minore” della tradizione della filosofia morale (le “azioni supererogatorie”), portandone alla luce non solo riletture recenti assai promettenti, ma facendolo diventare quasi il luogo di evidenza di una “diversa logica” nel pensare l’agire morale.

Il libro è costruito in modo lineare. Fin dalla Introduzione (“Per iniziare”), è posta la questione centrale: ci sono alcune azioni che la tradizione teologica e filosofica ha riconosciute come “esterne” all’ambito morale e giuridico, e che tuttavia qualificano in modo decisivo l’intelletto d’amore: è ciò che è stato chiamato “supererogatorio”. Così il libro, muovendo da una appassionata ed appassionante “storia del termine” (cap. 1: Il supererogatorio), lo valorizza come chiave di lettura di uno dei temi decisivi della “modernità”: la fraternità (cap. 2). Ciò permette di elaborare, mediante la traduzione della terminologia classica della filosofia morale in nuove categorie, aggiornate nel confronto con il pensiero contemporaneo, una comprensione delle tensioni che il pensiero moderno (etico, giuridico e politico) vive per giustificare non solo la libertà e l’uguaglianza, ma anche la fraternità. Il “massimo necessario” della fraternità non è solo fondato su una libertà ed eguaglianza originaria, ma sta pure all’origine della libertà e della uguaglianza. Questa sfida viene giocata in relazione a tre termini, che definiscono la “fraternità in atto”: l’ospitalità (cap. 3), il perdono (cap. 4) e la misericordia (cap. 5). Una lettura solo etica o giuridica di queste tre categorie è votata al fallimento. Per darne conto, occorre attingere ad una dimensione “previa” – che Biancu chiama “antropologica” – e che costituisce l’orizzonte nel quale il “soggetto di diritto”  trova il fondamento della propria dignità.

Nel discorso di Biancu, che resta intenzionalmente e accuratamente un testo di carattere filosofico, appaiono discretamente, ma autoreveolmente, fonti teologiche. D’altra parte, per fare i conti con i temi della fratellanza, della ospitalità, del perdono e della misericordia non è possibile aggirare né il “grande codice” biblico, né la elaborazione che di esso ha fornito la tradizione teologica.

Per questo il libro di Biancu a me pare anche una buona guida per un lavoro esplicitamente teologico, che voglia arricchire la prospettiva di riflessione sulla libertà, sulla eguaglianza e sulla fratellanza, ponendo in luce un presupposto non solo “antropologico”, ma “teologico” delle categorie in gioco. E’ la genealogia del soggetto ad essere qui arricchita e problematizzata, nella sua relazione al prossimo e a Dio come costitutiva della sua identità. La differenza tra ciò che può essere “esigito” e ciò che è doveroso – in altri termini tra i diritti/doveri e i doni – costituisce un guadagno teorico che trova origine in una “esperienza della azione” più complessa di quella a cui siamo abituati. Non ci sono solo azioni “imposte, vietate o libere”. Ci sono anche “azioni supererogatorie”, che non sono riducibili a questa “triade”, ma che costituiscono l’orizzonte di fratellanza, di ospitalità, di perdono e di misericordia nel quale ogni soggetto può “venire al mondo”. Sono libere e non esigibili, ma necessarie e dovute. La non contraddittorietà tra queste due affermazioni – sulla libertà e sulla necessità –  implica un “cambio di paradigma” che investe non solo la filosofia morale, ma anche la antropologia e la teologia. E il superamento delle “classiche opposizioni” di cui si è nutrita la tradizione filosofica e teologica che ci chiede la comprensione della misericordia – al di qua e al di là delle coppie interiore/esteriore, immanente/trascendente, necessario/possibile, pubblico/privato – dimostrano la bella fecondità della prospettiva assunta.

In altri termini, per dar conto davvero delle “azioni supererogatorie”, occorre ripensare con cura il linguaggio della antropologia e della teologia. Comprendere davvero fraternità, ospitalità, perdono e misericordia implica una “intelligenza di sé e del mondo” di altra e alta qualità, che impegna il pensiero non solo dei filosofi, ma anche dei teologi.

All’inizio del libro Stefano Biancu ha posto una frase esemplare, tratta dai quaderni di A. Camus, che recita: “Se dovessi scrivere un libro di morale, esso avrebbe cento pagine e 99 sarebbero bianche. Sull’ultima scriverei: conosco un solo dovere ed è quello di amare”.  Nel suo bel volume Stefano Biancu propone un serio tentativo di dar voce a quelle 99 pagine . 

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