Indissolubile matrimonio e inconservabile patrimonio. Intorno ad un bel libro di Silvio Barbaglia


Barbaglia

In un volume pubblicato nel 2016, a ridosso dei due Sinodi sulla famiglia, si può leggere una ricostruzione molto sorprendente e davvero illuminante del “vangelo del matrimonio”. Vorrei tentare di offrire qui non solo una presentazione del nucleo teorico del volume, ma anche le conseguenze sistematiche non scontate di questa importante lettura di alcune fonti neotestamentarie della dottrina matrimoniale cattolica. Questa non è dunque una recensione in senso classico, quanto piuttosto una reazione sul piano sistematico alle considerazioni profonde che la lettura biblica della tradizione matrimoniale suggerisce con acume. Divido il mio testo in 3 parti: anzitutto presento la teoria che emerge dal volume (1), la metto in relazione con la recezione che la storia ha offerto di questa teoria (2) e infine apro alcune prospettive di riflessione sul nuovo modello di matrimonio-famiglia che la storia offre alla coscienza ecclesiale, a partire da Amoris Laetitia (3).

1. La tesi centrale: l’annuncio escatologico del “matrimonio per il Regno dei cieli”

Per abitudine –  abitudine liturgica e abitudine dogmatica – siamo soliti  leggere il Vangelo “per pericopi”. Con le forbici ritagliamo “sezioni” che componiamo con altri testi o con nostri ragionamenti. Questo è legittimo, ma non sempre assicura la piena comprensione del testo. Nell’operare le “cesure” (e nel disporre titoli lungo un testo) noi anticipiamo sul testo la nostra teologia sistematica. Questo accade in modo singolare per il cap. 19 del Vangelo secondo Matteo. Che è composto, come sembra ovvio, da 4 pericopi dedicate alla controversia sul ripudio, al tema degli eunuchi, ai bambini da imitare e infine al giovane ricco e alla ricchezza come ostacolo per il regno dei cieli. Ci siamo abituati a riferire ogni pericope a “stati di vita” diversi: il matrimonio per i laici, l’eunuchia e la povertà per i religiosi. Ma la lectio continua del testo, corroborata da altri passi del medesimo vangelo (Mt 1; 5-7; 22) porta l’autore ad avanzare una ipotesi singolarmente efficace e straordinariamente nuova: l’intero capitolo 19 avrebbe come destinatari non “gli uomini e le donne” in generale, ma coloro che sono disposti a vivere come pellegrini-missionari nel discepolato del Signore. Barbaglia ipotizza che:

“gli originari destinatari della forma indissolubile del matrimonio non fossero – nell’intenzione del «Gesù testificato» (cioè del personaggio narrativo «Gesù») del Vangelo secondo Matteo – tutti gli uomini, a motivo del piano divino di creazione in Adamo ed Eva, bensì soltanto i discepoli-missionari itineranti che, sotto la leadership di Gesù, accoglievano coppie che avevano lasciato la loro famiglia d’origine, distaccandosi anche dal loro patrimonio.”(7)

Questa scoperta, che emerge da una lettura “non discontinua” dei 4 testi del medesimo capitolo, apre ad una intelligenza del matrimonio cristiano in modalità decisamente nuove. Lo conferma un ulteriore passaggio:

“La tipologia del matrimonio indissolubile riveste, nell’analisi, la forma del «matrimonio per il Regno dei cieli», in apologia e in polemica con la dominante forma di matrimonio, a servizio della famiglia patriarcale e patrilineare. Poiché la chiamata alla sequela di coppie significava anche la rottura dei rapporti di parentela, l’unico legame che andava tutelato e non scisso era quello matrimoniale, tra marito e moglie, assolutamente indissolubile. L’entrare a far parte della nuova famiglia, quella di Gesù, come fratello o sorella, ha significato per il suo gruppo composto da celibi, nubili e sposati, accogliere tutti sotto la stessa paternità, quella rivelata nell’Abbà. L’appartenenza allo statuto di figli/e, e perciò di fratelli e sorelle, era funzionale a vivere, nel presente, la prospettiva ultima del Regno dei cieli; per questa finalità, il fondamento protologico nella coppia originaria prima del peccato – «…in principio non è stato così…» (Mt 19,8) – istituisce una forma non storica di matrimonio indissolubile, bensì escatologica, tipica dell’esperienza del gruppo di Gesù, per il Regno dei cieli” (8).  

Questa interpretazione del testo, suffragata da argomenti molto consistenti, e con un rara coerenza, mette in crisi le ricostruzioni che leggono il “sacramento del matrimonio” come fondato nella creazione o nella natura. Singolare è il fatto che mentre queste letture pongono anche terminologicamente al centro la generazione (è sufficiente citare il “bonum prolis” del De bono coniugali di Agostino e la Summa contra gentiles di Tommaso, che definisce “generatio” il matrimonio), questa interpretazione riesce a notare, anche con sorpresa, che in tutti i testi del vangelo considerati nel testo non si parla mai di generazione.

2. La tensione con la “recezione storica” del modello escatologico

La singolare notizia che riceviamo dalla lettura del testo potrebbe essere formulata così: una teoria della “indissolubilità” del legame tra uomo e donna, nella sua forma più “impossibile”, appare contemporaneamente alla necessaria “solubilità” di tutti gli altri legami patrimoniali e familiari.  Per questo, già Paolo, nelle sue lettere, attesta gli “adattamenti” che la storia chiede a questo compimento escatologico, che travolge ogni forma storica stanziale. La relazione pura tra uomo e donna, senza padri né madri, senza figli né figlie, senza campi o bestiame, brilla come un ideale che per realizzarsi deve assumere forme di mediazione. La rilettura della oscillazione paolina tra rimedio della concupiscenza e mistero grande si può iscrivere in questa faticosa mediazione tra il discepolato pellegrino della cerchia di Gesù e le forme stanziali, filiali e patrimoniali di adesione alla fede. Questa tensione ha sul matrimonio la forma più forte di espressione. Il non ripudio della moglie/marito, se assume significato solo nel radicale ripudio di ogni altro bene familiare e patrimoniale, diventa non il dovere di ogni uomo, ma il segno escatologico di una tensione alla santità non ordinaria. Questo pone una condizione nuova alla coscienza ecclesiale e la costringe a rivedere alcune soluzioni che hanno nel frattempo acquisito il sapore di una formalizzazione senza radice. La invadenza di argomenti giuridici, che spostano direttamente il contratto di matrimonio nell’ambito del sacramento, appaiono fondati non solo su una lettura unilaterale della Scrittura, ma su una elaborazione sistematica assai fragile. Leggendo il testo di Barbaglia si coglie in prospettiva la precarietà della soluzione che il concilio di Trento ha dato alla condizione matrimoniale.

3. Il superamento del “modello tridentino/ottocentesco” di matrimonio cattolico

Fino al Concilio di Trento la condizione del matrimonio era strutturalmente plurale. La competenza naturale e civile si relazionava con la competenza ecclesiale in modo articolato e complesso. Si dava una pluralità di forme di vita, che la Chiesa semplicemente benediceva. Con il Decreto Tametsi (1563) la competenza ecclesiale sulla “forma canonica” assume in toto la dinamica complessa del matrimonio. Questa scelta epocale diventa conflittuale nel momento in cui gli stati liberali rivendicano una propria competenza sul matrimonio, che la Chiesa inizialmente nega. Questo modello conflittuale, dominato da preoccupazioni giuridico-istituzionali, pensa di garantire la potenza escatologica del “matrimonio per il Regno dei cieli” identificando sic et simpliciter il contratto tra due battezzati con il sacramento. Così lo “ius in corpus” diventa l’oggetto del contratto valido e la consumazione del rapporto sessuale dà fondamento alla indissolubilità. E’ evidente che questa lettura legale confonde i piani e perde, allo stesso tempo, la elementare mediazione naturale/civile e la sporgenza della anticipazione escatologica.

La presa di distanza da questa impostazione suona potentissima in AL 304, dove si definisce “meschino” il disegno di identificazione della volontà di Dio con la “legge oggettiva”. La identificazione del sacramento con il “contratto matrimoniale tra battezzati” è una accelerazione storicamente comprensibile, ma sistematicamente difettosa. Il testo di Silvio Barbaglia porta argomenti esegetici fondamentali per comprendere la fatica con cui la Chiesa ha predisposto mediazioni storiche alla indissolubilità escatologica. Non è un caso che il libro di Barbaglia si chiuda con una forte “proposta sistematico-pastorale”, che prevede due forme parallele: un sacramentale di benedizione del matrimonio fondato sul battesimo, il sacramento del matrimonio come vocazione a fare della unione tra uomo e donna la analogia, pur sempre imperfetta, dell’amore tra Cristo e la Chiesa. Forse la soluzione può far discutere, forse la forma del “sacramentale” è tanto antiquata quanto il problema. Ma è certo che scoprire il matrimonio non anzitutto come un “atto giuridico”, ma come un “processo iniziatico” può costituire una provocazione che accetta, allo stesso tempo, la fragilità delle biografie e la profondità della testimonianza.

Per restituire una parola finale all’autore: “In sintesi, la figura del «matrimonio per il Regno dei cieli» può divenire anche attualmente un’immagine tensionale più che un codice irriformabile di norme comportamentali. E l’indissolubilità del vincolo matrimoniale, accanto allo status di «eunuchi per il Regno dei cieli» può rappresentare ancora oggi, nella vita e nella scelta matrimoniale, una giusta provocazione profetica al fine di tenere alto il valore in gioco, riconoscendo che quelle parole originarie di Gesù, furono declinate nel tempo del rendere presente il Regno dei cieli. E dunque, per riportare alla natura evangelica la forza profetica del matrimonio come sacramento, è forse necessario non ripartire di nuovo da Adamo ed Eva – tale compito lo ha già svolto Gesù! –, al fine di universalizzare la forma naturale del matrimonio indissolubile, bensì ripartire da Gesù e dal gruppo ristretto e particolare di coloro che avevano lasciato tutto per seguirlo, di coloro che liberandosi dal loro «patri-monio», furono in grado di abbracciare quell’immagine eccelsa e innaturale di «matri-monio». “ (105)

Queste parole aiutano a comprendere le ultime righe con cui si chiude Amoris Laetitia, con una forte ripresa di questa visione escatologica del matrimonio, che sa comprendere ad un tempo, la altezza dell’ideale e la fragilità dei cammini che lo perseguono:

325. Le parole del Maestro (cfr Mt 22,30) e quelle di san Paolo (cfr 1 Cor 7,29-31) sul matrimonio, sono inserite – non casualmente – nella dimensione ultima e definitiva della nostra esistenza, che abbiamo bisogno di recuperare. In tal modo gli sposi potranno riconoscere il senso del cammino che stanno percorrendo. Infatti, come abbiamo ricordato più volte in questa Esortazione, nessuna famiglia è una realtà perfetta e confezionata una volta per sempre, ma richiede un graduale sviluppo della propria capacità di amare. C’è una chiamata costante che proviene dalla comunione piena della Trinità, dall’unione stupenda tra Cristo e la sua Chiesa, da quella bella comunità che è la famiglia di Nazareth e dalla fraternità senza macchia che esiste tra i santi del cielo. E tuttavia, contemplare la pienezza che non abbiamo ancora raggiunto ci permette anche di relativizzare il cammino storico che stiamo facendo come famiglie, per smettere di pretendere dalle relazioni interpersonali una perfezione, una purezza di intenzioni e una coerenza che potremo trovare solo nel Regno definitivo. Inoltre ci impedisce di giudicare con durezza coloro che vivono in condizioni di grande fragilità. Tutti siamo chiamati a tenere viva la tensione verso qualcosa che va oltre noi stessi e i nostri limiti, e ogni famiglia deve vivere in questo stimolo costante”. 

Share