La vita costruisce l’amore di coppia (di Mauro Pedrazzoli)


Barbaglia

A commento del post nel quale presentavo il bel libro di Silvio Barbaglia, Gesù e il matrimonio, ricevo questo testo articolato di Mauro Pedrazzoli. Che giunge a conclusioni simili a Barbaglia, pur seguendo una strada diverse e per certi aspetti opposta. Può essere utile per far crescere un dibattito serio sulla delicata questione della radice biblica della teologia del matrimonio. Ringrazio M. Pedrazzoli per il suo testo.

La vita costruisce l’amore di coppia

di Mauro Pedrazzoli

L’aspetto escatologico, di “immagine tensionale” e di progetto, presente nel testo on-line di Grillo/Barbaglia, emerge anche da Genesi 2,24: «L’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna, e saranno…»; saranno basar ‘hd in ebraico, ed eis sarka mian in greco [Cfr il quaderno-inserto «Faremo un Umano-Verso una carne (sola)» nel n. 1 Marzo 2019 della rivista Matrimonio; e pure «Gesù non parla di famiglia, e nemmeno di matrimonio» nel numero 462 (maggio 2019) del mensile torinese il Foglio].

I LXX traducono con «e saranno verso una carne…», con eis + l’accusativo di carne. Vale anche dell’ebraico (che…ho dimenticato) perché mi fido di Claus Westermann [Genesis 1-11, Biblischer Kommentar, Commentario biblico dell’AT, 800 pagine dedicate (solo) ai primi 11 capitoli della Genesi], il quale traduce sempre dall’ebraico in tedesco con «zu einem Fleisch» (la preposizione zu + il dativo col semplice articolo indeterminato, senza il “sola”, ossia «verso (ad) una carne», in un processo dinamico e progressivo ma non fusionale. μία e ‘hd (il numerale ‘hd in ebraico equivale al numerale greco μία) sono solo un modo per dire semplicemente “una carne” (senza il “sola”), equivalente al nostro articolo indeterminativo (assente sia nella lingua ebraica che greca, in cui vi è solo quello determinativo). [C’è dinamica progettuale anche per la costola, la cui traduzione corretta suona in 2,22: «…plasmò la costola (che aveva tolta all’uomo) verso una/la donna», sia in ebraico che nei LXX].

I due verbi “lascerà e si unirà” non possono essere intesi come una descrizione di strutture istituzionali matrimoniali (Westermann 317). Infatti 2,24 non coincide con la concezione dei rapporti familiari patriarcali dell’antico Israele, nel quale col matrimonio è più la donna che l’uomo a staccarsi dalla propria famiglia lasciando i genitori (come da noi fino a non molto tempo fa). In Genesi 2,24 il matrimonio è fuori quadro, coi suoi elementi familiari e socio-economici relativi alla sua stipulazione, determinata dal pesante intervento dei genitori. O forse il matrimonio sta sullo sfondo ma come effetto/parallelismo di contrasto: «a differenza delle istituzioni vigenti, e in parte persino in opposizione ad esse, si fa leva sulla elementare forza dell’amore fra uomo e donna» e dell’attrazione fra i sessi (come nel Cantico dei cantici). «Qui non si parla del matrimonio come istituzione per la prosecuzione della specie, bensì della comunione di uomo e donna in quanto tale» (Westermann 318).

Gesù, un bravo esegeta

E’ così anche nella citazione di Genesi che fa Gesù nel vangelo di Marco, se si considera solo Mc 10,6-9, senza le aggiunte e le premesse secondarie posteriori..

Quanto alla conclusione (qui finiva il passo originario in Mc 10,9): «Ciò che Dio ha unito, l’uomo non separi», Rudolf Pesch (Il vangelo di Marco, Parte seconda, Paideia-Brescia 1982, pp. 187-198 per tutta la sezione) sottolinea che si tratta di un ammonimento sapienziale, non di un dogma. Il Gesù di Marco interpreta (…”correttamente”) le parole della Genesi senza far riferimento al matrimonio e ad un suo presunto vincolo indissolubile. Quindi la suddetta massima conclusiva di valore esortativo, opportunamente introdotta da ουν (dunque; Pesch 195), intende preservare il più possibile l’unione amorosa dell’uomo e della donna, e farla crescere verso una carne. L’Uomo [con le sue istituzioni, anche religiose; qui per Uomo non s’intende il singolo coniuge (coniugi) che si risposa(no)] non deve interferire, ostacolare, interrompere o distruggere tale relazione d’amore, fondata nella Genesi ed elemento costitutivo del progetto creativo divino: questo è quel che Dio ha congiunto e continua a riunire (quindi in termini moderni pure le convivenze).

Poi la scena prosegue, dopo essere rientrati nellacasa, con ulteriori delucidazioni; questa è la tecnica tipica della comunità primitiva per inserire le loro interpretazioni, deduzioni, ampliamenti… Si tratta di una creazione della chiesa antica (Pesch 189), di comunità primitive che hanno premesso all’inizio la controversia sul ripudio ed aggiunto alla fine l’accusa di adulterio per i divorziati nella scena finale in casa. Così la trappola è scattata: anche le parole centrali di Gesù sono state intese “scorrettamente” in senso matrimoniale, per cui quel che Dio ha unito sarebbe il matrimonio, e non tanto il rapporto d’amore

In particolare 10,11-12 (aggiungo io) è un inserimento pesante del Marco II, ossia del revisore romano del vangelo [pensa in latino..; ad es. speculator in 6,27 per la guardia di Erode che decapita il Battista, e altri passi: in pratica una seconda edizione riveduta e corretta; cfr il mio articolo-dialogo “La buona novella deformata” sul n. 482 (settembre 2021) del Foglio torinese], che entra a gamba tesa in maniera intransigente con il secco adulterio sia per il marito che per la moglie [in ambiente romano, in cui anche la moglie poteva divorziare]; una cosa estranea a Gesù. (Roma ha cominciato a far danni molto presto).

L’ossessione per i peccati

Il Marco II si è inoltre accorto di una “grave mancanza” nello scritto del Marco I: con l’unica eccezione di 1,4 (ma a proposito del Battista, con l’afesis battesimale di tutti i peccati senza l’accusa) il termine “peccato” (amartia; e pure il verbo peccare!) non ricorreva mai nel vangelo: una pesante lacuna per lui (a fronte delle 200 volte in cui compaiono cumulativamente nel NT). Ha quindi aggiunto 1,5 con la “confessione-accusa dei peccati” (sic) di tutta la gente, e soprattutto l’ha inserito di brutto e in modo acrobatico nel racconto del paralitico in Mc 2,1-12, in cui originariamente stava scritta solo la sua guarigione secca e lineare (saltando dal «disse al paralitico» del v. 5 all’«àlzati, prendi il tuo lettuccio…» del v. 11 attuale); vi ha pericolosamente intramezzato [anche se forse non era nelle sue intenzioni, si insinua nel lettore il legame peccato-malattia] il perdono dei suoipeccati: per un povero paralitico è di pessimo gusto! Quando però ha ripreso il racconto originario, si è smascherato con la brutta e cacofonica sutura del v. 11: – Disse al paralitico «Ti dico» [grazie a Dio le loro suture sono state spesso…maldestre, per cui riusciamo a riconoscerle].

Se poi teniamo presente che nel vangelo di Marco manca pure la parola “legge”, nomos, si evince cheil ferreo binomio Legge-Peccato è estraneo al Marco originario, e quasi sicuramente anche a Gesù! [nel nostro caso il binomio indissolubilità del matrimonio—peccato delle seconde nozze con relativa esclusione dall’eucarestia].

Questo mette la parola “fine” all’indissolubilità legalistica, anche perché questo credente della seconda generazione (il romano Marco II) è un cristiano come noi, non più in alto di noi; perciò ci possiamo eventualmente…dissociare da lui: pure “noi siamo chiesa” e possiamo esprimerci, anche se in maniera diversa e a volte opposta. Certo il cattolicesimo italiano (che ritiene tutte le parole messe in bocca a Gesù come pronunciate realmente da lui medesimo tout court, anche quelle del Cristo giovanneo) non è pronto a questa “delicatissima” selezione all’interno dei vangeli; e così continuiamo a leggere nelle nostre liturgie del XXI secolo ad es. la faccenda dei porci [un’altra “perla” del Marco II in 5,9-13 facendo affogare 2000 poveri maiali in seguito al “trasferimento” dei demoni], e pure quelle leggendarie degli Atti: ad es. la morte fulminante di Anania e Saffira, e Pietro che, passando, con la propria ombra guarisce i malati.

Gli evangelisti sono più di quattro

Inoltre il Marco II l’ha combinata grossa pure con l’invenzione maschilista dei 12 (poi trascritti pari-pari da Matteo e Luca), assenti storicamente nel ministero di Gesù! Nel passo centrale di Mc 3,13-17 (da cui derivano a cascata tutti gli altri, sia in Marco che in Matteo e Luca), in origine c’erano solo tre “intimi” (Pietro, Giacomo e Giovanni, sottolineati dal conferimento dei loro soprannomi); l’inserimento degli altri nove nella cerchia dei presunti 12 è una creazione leggendaria del Marco II: ai clericali-maschilisti dobbiamo…”cantargliela”!

Le mie “incursioni” esegetiche” (rivoluzionarie in campo cattolico, ma chiare e lineari ad es. in Wellhausen e Emanuel Hirsch) non sono “a ruota libera”, come qualcuno mi ha criticato (ad es. dei prelati torinesi), bensì fondate nel metodo storico-critico. E’ come quando Wellhausen ha proposto la teoria documentaria (4 fonti) per il Pentateuco, inizialmente avversato da chi (compreso il magistero coi suoi anatemi) voleva sostenere a tutti i costi l’unica autorità mosaica. Come parliamo normalmente di tradizione-documento jahvista e sacerdotale (di primo e secondo Isaia), perché non possiamo fare altrettanto col Marco I e II?

Se quindi ciò che Dio unisce è la relazione d’amore verso una carne [in carnem unam (come traduce correttamente Gen 2,24 la Nova Vulgata)], le alte sfere gerarchiche [non mi riferisco a Papa Francesco, semmai ai suoi “oppositori”] non dovrebbero interferire nei rapporti di coppia, poiché le eventuali accuse nei confronti dei conviventi e dei risposati andrebbero contro l’ammonimento di Gesù: ossia in un senso diametralmente opposto alla dottrina tradizionale! Non c’è da salvaguardare un vincolo di indissolubilità [Gesù non ha mai parlato né di famiglia né di matrimonio]: c’è da salvare l’amore dell’uomo e della donna – compreso ovviamente, per quanto è possibile, quello del primo matrimonio – (senza derive divorziste all’americana).

La vita costruisce l’amore di coppia!

Mauro Pedrazzoli

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