Il presbitero secondo il rito di ordinazione /2 (di Simone Bellato)


ordinazione

Ecco la seconda parte della riflessione di Simone Bellato sulla lettura del presbiterato a partire dal rito di ordinazione.  (ag)

IL PRESBITERO: In Cristo per edificare il Suo Corpo che è la Chiesa

2A/ il rito di ordinazione: gli impegni dell’eletto

di Simone Bellato

 Dopo l’omelia viene chiesto al presbitero se vuole assumere gli impegni derivanti dalla sua elezione. La prima domanda pone l’eletto dinanzi al motivo della sua elezione: gli viene domandato se vuole cooperare (cooperatores) con i Vescovi per servire il popolo di Dio sotto la guida (duce) dello Spirito Santo. Ogni aspetto della sua vita, la preghiera, lo studio, le celebrazioni, le relazioni avrà questa finalità: il servizio del popolo di Dio. Questa domanda forma un’inclusione con l’ultima, e ci torneremo nella terza parte.

Le altre domande riguardano: insegnamento della parola di Dio, celebrazione dei misteri di Cristo con speciale menzione dell’eucaristia e della riconciliazione, preghiera di intercessione, e infine l’unione di se all’offerta di Cristo al Padre per la salvezza degli uomini.

La seconda: «Volete adempiere degnamente e sapientemente il ministero della parola nella predicazione del Vangelo e nell’insegnamento della fede cattolica?», rispetta lo schema dell’omelia che pone al primo posto del presbitero la predicazione sull’esempio di Cristo maestro, che inizia il suo ministero con l’annuncio del Regno di Dio e l’invito alla conversione.

La terza: «Volete celebrare con devozione e fedeltà i misteri di Cristo secondo la tradizione della Chiesa, specialmente nel sacrificio eucaristico e nel sacramento della riconciliazione a lode di Dio e per la santificazione del popolo cristiano?», richiede al presbitero la celebrazione dei misteri di Cristo (mystéria). Con questo termine sono intesi i sacramenti, probabilmente i quattro dell’omelia (dai quali erano esclusi Cresima e Ordine perché propri del Vescovo e Matrimonio perché proprio degli sposi). È richiesto inoltre di celebrarli con fedeltà e devozione (pie et fideliter). La traduzione italiana non riesce a trasmettere l’accezione di fideliter: traducendo “con fedeltà”, si rafforza qualcosa che il rito specifica successivamente dicendo che i misteri vanno celebrati: “secondo la tradizione della Chiesa” operando così un’inutile ripetizione. Invece, l’avverbio fideliter nel latino ecclesiastico indica la postura, l’intenzione, di chi celebra. Sarebbe stato perciò più appropriato tradurre: “con fede”, cioè, con la consapevolezza che ogni celebrazione sacramentale è primariamente un’azione di Cristo e pertanto bisogna celebrare credendo che in quella liturgia sia lui ad agire. Nella semplice traduzione di un avverbio si può intravvedere la differenza tra i due paradigmi di cui si è parlato in apertura del primo contributo: uno pre-conciliare, attento alle rubriche da osservare fedelmente, l’altro post-conciliare fedele alla tradizione nella liturgia ma attento alla fede in Chi dona ad essa lo Spirito che opera la santificazione del popolo cristiano.

La quarta: “Vuoi insieme con noi implorare la divina misericordia per il popolo a voi affidato (pro populo vobis commisso1), dedicandoti assiduamente (indesinenter instantes) alla preghiera come ha comandato il Signore?». Questa domanda pone un altro degli impegni fondamentali del presbitero che è la preghiera. Cristo è l’unico mediatore, e la preghiera di intercessione è data dalla possibilità di partecipare di questa preghiera di Cristo. Il luogo di questa partecipazione nell’omelia è stato individuato nella Liturgia delle Ore. L’avverbio indesinenter e l’aggettivo instantes si trovano nella Sacra Scrittura nella traduzione Vulgata. Il primo in Eb 10,1, e riguarda i sacrifici dell’AT che si offrivano continuamente di anno in anno, dunque un qualcosa di ciclico che si ripete, il secondo in At 6,4 e in Rom 12,12 e riguarda la preghiera a cui dedicarsi con perseveranza. Il senso della domanda sarebbe dunque: «dedicarsi con perseveranza in maniera ciclica e incessante». In questo impegno ci interessa sottolineare che per ogni presbitero ci dovrebbe essere una porzione di popolo a lui affidato per il quale egli è chiamato alla preghiera in maniera incessante.

La quinta: «vuoi essere sempre più strettamente unito a Cristo sommo sacerdote, che come vittima pura si è offerto al Padre per noi, consacrando te stesso a Dio insieme con lui per la salvezza di tutti gli uomini?», riguarda Cristo sommo sacerdote. Il Figlio che si offre al Padre non è un aspetto del ministero di Cristo ma la Sua essenza stessa. In ogni cosa che fa Cristo offre se stesso al Padre, così è stato, era e sarà nei secoli. Questo è un articolo nuziale, e riassume la missione e la vita del presbitero: diventare egli stesso un’offerta gradita a Dio con tutta la sua vita. Questo impegno fa da ermeneutica alla logica sacrificale con la quale si parla dell’eucaristia, celebrare il sacrificio ha come fine che il presbitero e il popolo a lui affidato si offra al Padre come ha fatto Cristo. Di questo sacrificio l’eucaristia è “segno e strumento”, cioè sacramento, e la presenza in essa di Cristo ha come fine l’edificazione del Suo Corpo, cioè di tutti coloro che in relazione con il Padre si offrono a Lui come Cristo ha fatto formando così la Chiesa. Questo impegno è l’unico al quale il presbitero aggiunge al “si lo voglio”, “con l’aiuto di Dio”; diventare offerta gradita al Padre, unendosi all’offerta di Cristo in modo da poter essere strumento di salvezza per il popolo a lui affidato, è possibile solo per Grazia, in quanto solo Dio salva.

L’ultima domanda, in cui si chiede al presbitero se promette filiale rispetto e obbedienza al Vescovo e ai suoi successori, si connette alla prima e richiama il presbitero a quella comunione con il Vescovo per pascere il gregge nella medesima direzione. Il dialogo si conclude con la formula: «Dio che ha iniziato in te la sua opera, la porti a compimento».

Queste domande ricalcano la ricchezza dell’agire liturgico-sacramentale a cui la vita del presbitero si lega: questi non offre solo il sacrificio eucaristico, che citato nella terza domanda e connesso con la quinta acquisisce il suo statuto di strumento per un fine di configurazione a Cristo che si offre al Padre, ma fa molto di più: predica, prega, intercede, offre se stesso nell’agire pastorale di ogni giorno.

Nel rito stesso è sempre citato il soggetto di questo agire, il fine di tutta la vita del presbitero: il popolo di Dio, esplicitato in maniera netta dal decreto conciliare Presbyterorum Ordinis laddove al numero 8 dichiara che tutti i sacerdoti nelle diverse funzioni che possono assumere in una diocesi: «lavorano per la stessa causa, cioè per l’edificazione del corpo di Cristo». Questa è la finalità per la quale l’ordinazione gli conferisce delle facoltà specifiche, questo dovrebbe essere il criterio ermeneutico di ogni agire pastorale.

 

1 Qui la traduzione di commisso ha bisogno di una specificazione: si è scelto di tradurre a ragione con «affidato», ma la traduzione di commisso può essere anche congiungere una cosa ad un’altra. Nell’omelia però si è usato con questa accezione un aggettivo “coniunctus” a proposito del sacrificio di Cristo offerto sull’altare e del sacerdozio dei Vescovi a cui il presbitero si congiunge, si unisce. Pertanto la scelta di tradurre con “affidare” ci sembra esatta.

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