Liturgia, stupore e formazione nella rilettura di “Desiderio desideravi”


Les_pèlerins_d'Emmaüs_by_Paul_Bril

Uno dei passaggi centrali di DD consiste nel mettere in primo piano lo “stupore per il mistero pasquale”, che viene distinto dal “senso del mistero”, e che come tale costituisce il cuore della esperienza liturgica di relazione con il mistero pasquale. Lo stupore riguarda la “attualizzazione” del mistero nel qui ed ora della celebrazione. Per capire questo passaggio, che copre i nn. 24-26, e che apre alla parte dedicata alla “formazione liturgica”, dobbiamo premettere una serie di precisazioni terminologiche.ù (1), per poi fermarci su come il discorso viene presentato in DD (2) e su come faccia da preludio al riferimento a Guardini e al concetto di “formazione liturgica” (3)

1. Alcune precisazioni terminologiche

La categoria di “stupore” ha salde radici bibliche. Stupore suscita la parola di Gesù, la sua azione, i suoi miracoli,, la sua fine come nuovo inizio. In particolare in rapporto all’eucaristia vi è lo stupore per le parole di Gesù sul “pane di vita” (Gv 6) e nei due di Emmaus (Lc 24), dove si mescolano la relazione con la sua morte e risurrezione e con la “traditio” del pane e del calice, come rapporto di fede con la sua morte e la sua vita. Questo nucleo “stupefacente”, che riguarda il cuore del mistero pasquale e di fronte al quale lo stupore sconfina con la incapacità di comprendere e con la grazia della fede, si innesta l’uso del riferimento “stupefacente” all’eucaristia.

a) Lo “stupore” come categoria liturgica

Come termine “liturgico” lo stupore è categoria piuttosto recente. Come dice bene C. Giraudo, nel suo “Stupore eucaristico” (LEV 2003) si può far risalire ad Ecclesia de eucharistia di Giovanni Paolo II l’utilizzo della espressione “stupore eucaristico” (EE 6). Con questa espressione il testo vuole sottolineare la correlazione tra dono eucaristico e esperienza ecclesiale, tra la dipendenza dell’eucaristia dalla Chiesa e la dipendenza della Chiesa dalla eucaristia. Nel testo il termine appare 5 volte, sempre in questo significato, più orientato alla adorazione che alla celebrazione. La dinamica rituale, nello “stupore eucaristico”, appare in EE come ambito problematico, di cui controllare gli abusi: e sarà proprio da EE che nascerà il documento Redemptionis sacramentum, il cui intento di evitare abusi eucaristici arriverà a configurare come “abuso” persino l’utilizzo di espressioni come “assemblea celebrante” o “comunità celebrante”!

b) Il rapporto con il “mistero”

Del tutto nuovo, nell’uso che DD introduce del termine “stupore”, è la sottolineatura della differenza con l’espressione “senso del mistero”. Ciò che una improvvida negazione del cuore del Vaticano II aveva indotto prima con il citato RS  (2004) e poi, molto più gravemente, con il MP Summorum Pontificum (2007) aveva portato a confondere “stupore eucaristico” con “senso del mistero”. E a ridurre la esperienza della eucaristia ad una rigida forma esteriore parallela ad una devozione interiore senza rapporto col rito. DD ci dice che questa idea di “senso del mistero” contraddice il cammino con cui il Movimento Liturgico e il Concilio hanno riscoperto il senso teologico della liturgia.

c) La eredità scolastica

Va aggiunto, come  elemento ulteriore, che una lunga tradizione, alimentata dal linguaggio scolastico, aveva prima contribuito a concentrare non solo tutta la attenzione “devota” sulla “consacrazione”, ma a percepire tutto lo “stupore” solo nella misteriosa presenza della sostanza del corpo e sangue di Cristo sotto le specie del pane e del vino. La progressiva concentrazione dello sguardo ecclesiale sul dettaglio delle specie ha compresso lo stupore su un solo punto, distogliendo la vista e la preghiera dall’intera azione di Cristo e della Chiesa. Proprio su questo punto, mi pare, il testo di DD fa alcuni passaggi assai rilevanti, che meritano di essere considerati in modo specifico.

2. Lo sviluppo del discorso sullo “stupore” in DD

Al discorso sullo “stupore” il testo di DD arriva dopo 23 paragrafi, nei quali ripercorre il “senso teologico della liturgia”, recuperandone valore cristologico e ecclesiologico e mostandola come “antidoto” contro la mondanità spirituale. Apprezzata solo in questa esperienza di bellezza, la liturgia deve assicurare la esperienza dello “stupore”, che è più profondo della correttezza formale e della elaborazione interiore. Stupore è “irruzione” del mistero pasquale, come sintesi di incarnazione e redenzione. Perciò bisogna salvaguardare lo stupore liturgico dalle forme esteriori ed interiori che tendono a dissolverlo in altro da sé. Il testo, al n.25, si sofferma con precisione sulla differenza tra “stupore” e “senso del mistero”: il testo, a proposito di questo “senso del mistero”, afferma che:

“tra i presunti capi di imputazione contro la riforma liturgica vi è anche quello di averlo – si dice – eliminato dalla celebrazione. Lo stupore di cui parlo non è una sorta di smarrimento di fronte ad una realtà oscura o ad un rito enigmatico, ma è, al contrario, la meraviglia per il fatto che il piano salvifico di Dio ci è stato rivelato nella Pasqua di Gesù” (DD 25)

Qui è chiaro che lo stupore non è mera “non conoscenza”, o “segreto”, ma “scoperta” della mirabile continuità tra Corpo di Cristo e Corpo della Chiesa. Diremmo perciò che lo “stupore” non è dote “individuale”, esperienza soggettiva, ma “forma comunitaria”. Cosa che suppone una esperienza comune in cui ci si riconosce “corpo di Cristo” come comunità ecclesiale e non semplicemente come individui di fronte al lato incomprensibile di un rito segreto. Questo è tanto vero, che si può capovolgere il giudizio espresso con leggerezza verso la Riforma Liturgica:

Se la riforma avesse eliminato quel “senso del mistero” più che un capo di accusa sarebbe una nota di merito”. (DD 25)

Ciò implica, in conclusione del ragionamento, un passaggio assai importante, ossia quello tra “stupore” e “simbolo”. Ecco il breve paragrafo 26, che condensa in tre righe, che diventano importanti per il seguito:

Lo stupore è parte essenziale dell’atto liturgico perché è l’atteggiamento di chi sa di trovarsi di fronte alla peculiarità dei gesti simbolici; è la meraviglia di chi sperimenta la forza del simbolo, che non consiste nel rimandare ad un concetto astratto ma nel contenere ed esprimere nella sua concretezza ciò che significa” (DD 26).

Con questa espressione si completa la distinzione dello “stupore” dal vago “senso del mistero”. Lo stupore è “simbolico” perché è parte dell’atto liturgico stesso. Non sta “di fronte” all’atto, ma sta “dentro” l’azione liturgica. Per questo il testo, giunto a questa comprensione simbolica della azione rituale, deve necessariamente impostare tutta la lunga parte, in cui sarà la “formazione liturgica” ad ottenere il massimo della attenzione. Per entrare in questo campo, tuttavia, DD ritorna a quello che non è esagerato considerare il “testo istitutivo” del tema “formazione liturgica”, ossia il prezioso libretto che R. Guardini pubblicò nel 1923, che reca l’espressione “Liturgiche Bildung” come titolo.

3. Il riferimento a Guardini, maestro di “stupore” simbolico

E’ chiaro che per chiudere il cerchio della argomentazione, DD deve tornare alla origine della questione liturgica, così come formulata da R. Guardini nei primi decenni del XX secolo. E perciò dedica, in un modo che non ha precedenti, ben 5 importanti citazioni a due testi fondamentali, che stanno all’inizio e alla fine della carriera di Guardini. “Formazione liturgica”, del 1923, e la famosa lettera al Vescovo di Magonza, del 1964. A distanza di 40 anni, Guardini sottolinea alcuni aspetti decisivi per il recupero della esperienza liturgica:

a) La liturgia deve sollecitare l’integrale esperienza dell’uomo, nella sua unità di interiorità ed esteriorità;

b) Senza questa “formazione”, che non è soltanto formazione all’atto liturgico, quanto anche formazione da parte dell’azione rituale, le riforme di testi e gesti serviranno a poco;

c) E’ la capacità simbolica che deve essere recuperata al centro della azione rituale ed ecclesiale. Per questo il cristiano esige specifica formazione.

d) L’arte del celebrare è una disciplina integrale, non può ridursi né a formalismi esteriori, né a immediatezze sempre nuove.

L’insieme di questi spunti sono maturati nei 60 anni prima del Concilio e hanno trovato un primo sviluppo nei 60 anni dopo il Concilio. Nel rilanciare con forza questo progetto originario, DD riapre lo spazio per una riforma liturgica che sappia di essere “strumento per altro”: ossia di un rinnovamento nella esperienza del mistero pasquale e della vita cristiana, vissuta nel simbolo da parte di comunità prima che di singoli, nella profezia della relazione ecclesiale e della testimonianza mondana. Nessuno può scambiare questo “stupore per il mistero pasquale” con la nostalgia per un formalismo senza futuro.

 

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