Al di qua e al di là di ogni bioetica. Il saggio di P. Sequeri sulla “iniziazione” (/2)


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Vorrei tornare sul testo di P. Sequeri (L’iniziazione. Dieci lezioni su nascere e morire, Milano, Vita e Pensiero, 2022, pp.200), già presentato da G. Villa su questo blog. Lo interpreto come un atto necessario e urgente, quasi come un atto dovuto, per chi è stato, nell’ultima parte della propria carriera di insegnamento e riflessione, a immediato contatto con i temi scottanti che per lo più cataloghiamo sotto la rubrica della “bioetica”. Il compito di presiedere al nuovo corso dell’Istituto Giovanni Paolo II su matrimonio e famiglia e la intensa collaborazione con la Academia Pro Vita ha segnato a fondo il pensiero di P. Sequeri. La nascita come evento puntuale e la morte “incidentale” sono, appunto, l’oggetto di riflessione che viene catalogato, per lo più, nella sfera di una “etica della vita”. E questo è un ambito specifico di riflessione che ha trovato negli ultimi decenni una notevole fioritura. Ma nel libro di Sequeri troviamo l’atto liberatorio e liberante di una reimpostazione del discorso, che non squalifica certo la premura “bioetica”, ma le restituisce quel contesto filosofico e teologico, senza il quale essa perde la propria anima e il proprio senso, si irrigidisce e si parzializza. Va detto che il volume è interpretato dal suo autore come il secondo passo di una trilogia che ha in L’umano alla prova il suo antecedente e il suo compimento in un terzo testo, futuro, che sarà dedicato alla “ricaduta politica, sociale e istituzionale” della antropologia ora delineata.

Si tratta di 10 lezioni, come recita il sottotitolo: lezioni scolasticamente impegnative, ma anche segnate da un tratto meditativo e spirituale piuttosto sostanzioso. Ogni pagina impegna e consola, mette alla prova l’intelletto e conforta gli affetti, è forte argomentazione e partecipata edificazione. La struttura è in due parti: le prime 5 lezioni sono prevalentemente sul “morire”, mentre le ultime 5 sono sul “nascere”.

Ho cercato subito il libro, appena ne ho avuto notizia, perché il titolo mi incuriosiva molto: mi dicevo, forse troverò una lettura della iniziazione (anche della iniziazione cristiana) sullo sfondo delle categorie di nascita e morte. Ma il libro non è così come mi aspettavo. Esso procede diversamente ed elabora una teoria della iniziazione/passaggio come verità della nascere e del morire, dove il riferimento ai sacramenti della iniziazione appare solo ad un passo dalla fine, a p. 194, con il riferimento al solo battesimo come “simbolo reale dell’esser-nato di io/noi”.

Al centro, dunque, stanno le “esperienze/non esperienze dell’esser-nati e dell’esser mortali” (7). Al cuore della riflessione si incontrano alcuni nuclei teorici che vengono a parola fin dalla prima pagina: “Noi siamo tutto da altro e, al tempo stesso, niente di noi è altro da noi” (7). Nascere è, appunto,venire da altro, e morire è, ancora, diventare altro, ma mai del tutto. L’altro non è semplicemente “causa” di noi ridotti a semplici “effetti” e noi non siamo mai del tutto estranei alla nostra morte. Ma per l’io che noi siamo “non c’è evidenza del luogo da cui viene, non c’è evidenza del luogo in cui va” (8). Di qui, nello spazio che si apre al nichilismo o alla fede, la resistenza al non senso, che prende anche la figura contemporanea della “rimozione della morte”, appare a Sequeri come simbolo da non trascurare: per quanto pieno di distorsioni, segnala che la interruzione del morire non si lascia facilmente interpretare come annientamento.

Qui si annuncia il secondo snodo portante del testo, ossia la denuncia, efficace, di una duplice evidenza contraddittoria del nostro tempo, che così può essere descritta: “La retorica politica rimane attestata sulla retorica dei valori umanistici della convivenza, la narrazione scientifica si compiace di affondare l’idealismo delle nostre illusioni umanistiche. La destabilizzazione totale della nostra psiche è solo questione di tempo” (11). Ne emerge così il rilievo di una tensione tra l’essere immediatamente se stesso dell’io-noi, che quindi rimuove facilmente tanto la nascita quanto la morte dal proprio quadro di autodeterminazione, proprio in forza della potenza di “alterità” che il nascere e il morire impongono, e le evidenze travolgenti di tante scienze “nuove”, che leggono proprio la autodeterminazione dell’io come eterodeterminazione sociale, culturale, psicologica, neurologica, etologica ecc. ecc. Invece la condizione mortale sta, allo stesso tempo, al di qua e al di là di queste due letture “estreme”. Non siamo “noi stessi senza l’altro” e non diventiamo “tutt’altro da noi stessi”, che è come dire: siamo nati “da altro” che non è semplicemente una nostra causa e passiamo nella morte “ad altro” senza perdere del tutto noi stessi. In un certo senso il testo di Sequeri rincorre su 200 pagine la esigenza di “ridimensionare” questa polarità tra un Io senza l’Altro e un Altro senza Io. La coscienza politica e la cultura antropologica tendono a pensare l’io come originario e come non originato. La coscienza scientifica pensa invece l’io come illusione causata da “mille altri”. Questa polarità, che diventa contraddizione e depressione, si orienta, lungo le pagine del testo, verso una duplice luce: da un lato, sul versante del nascere, la “generazione eterna del Figlio” dice una verità che ha, nel dogma, una evidenza emozionante, che dice allo stesso tempo due cose inaudite e decisive: che la causalità e la sostanza sono categorie di secondo livello, rispetto ad affezione e donazione; che quindi il rapporto con l’Altro è originario: “fino a che c’è Altro, c’è Io”. Sul versante del morire, l’altra luce è la “risurrezione dei corpi” che sulle orme del Risorto riguarda tutti, per sempre. Questa duplice luce mette in campo il ruolo di una parola religiosa che sfugge allo stesso tempo alla emarginazione della “autonomia dell’io” sia alla squalificazione delle ragioni eteronome della scienza: “La religione custodisce l’originaria certezza del carattere di ‘iniziazione’ che rivela la nascita e della struttura di ‘passaggio’ che accompagna la morte di ‘io’” (14).

Il nucleo del volume, esposto chiaramente nella introduzione, viene svolto nelle dieci lezioni (capitoli) che sono anche, a modo loro, ampie meditazioni sul morire e sul nascere. E’ questa la scansione preferita da Sequeri. Le prima cinque lezioni hanno a tema il morire, come frutto di una “scoperta culturale” che ha segnato l’ultimo secolo. Gli interlocutori privilegiati di questa prima parte sono Heidegger (cap. II), con la teoria dell’umano come ”essere-per-la-morte”, Freud (cap. II), con la tensione tra “principio di piacere” e “pulsione di morte”, Lacan (cap. III), con la riabilitazione dell’Altro nel desiderio di Io, fino a Severino (cap. IV) nella sua battaglia contro il nulla. Questo ampio e meditato confronto approda, nel cap. V, ad una prima sintesi, che mostra come il punto di decisione, non di condanna, ma di giudizio, non può essere la morte, ma la nascita: questo “primo nascere”, rispetto alla “nuova nascita”, non è altro che “iniziazione” al “passaggio”. Una iniziazione alla “giustizia” con cui l’amore si fa dover essere. Così è dalla nascita, e non dalla morte, che devono essere poste le questioni fondamentali sulla nostra vita, e questo è ciò che Sequeri propone nei 5 capitoli della II parte, sulla quale mi soffermerò in un secondo post.

(1 – segue)

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