Munera 2/2023 – Editoriale

Con il pontificato di papa Francesco, l’idea della necessità di uno sviluppo umano integrale è tornata di grande attualità. Come è noto, l’espressione è ricorrente, nel lessico cattolico, a partire dall’enciclica Populorum Progressio di papa Paolo VI del 1967, di cui vale qui la pena ricordare il n. 14:

Lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere autentico sviluppo, deve essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo. Com’è stato giustamente sottolineato da un eminente esperto [il domenicano L.-J. Lebret, ndr]: «noi non accettiamo di separare l’economico dall’umano, lo sviluppo dalla civiltà dove si inserisce. Ciò che conta per noi è l’uomo, ogni uomo, ogni gruppo d’uomini, fino a comprendere l’umanità intera».

L’ideale di uno sviluppo che sia umano e integrale contiene due intuizioni fondamentali. La prima ha a che fare con il riconoscimento del darsi di una pienezza umana intesa come meta a cui tendere, e non come dato di fatto già acquisito: come singoli e come collettività, siamo in cammino verso un’umanità che rappresenta per noi un ideale da perseguire e che richiede, appunto, un impegno per lo sviluppo umano. Il secondo motivo ha a che fare con l’idea che tale perseguimento necessiti di un impegno integrale, olistico, al di là di ogni possibile riduzionismo. C’è un fine dell’esistenza umana: un compimento, una pienezza. E dunque – per dirla con un termine

che oggi utilizziamo con un certo pudore – una felicità che ci attende come esseri umani. Ma la via per raggiungere questo fine non passa da uno sviluppo esclusivamente economico: essa presuppone «la promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo».

Rispetto all’enciclica di papa Paolo VI, l’idea si è ulteriormente sviluppata nel magistero recente, perlomeno a partire dall’enciclica Laudato si’ del 2015, con la quale papa Francesco ha voluto ricomprendere nell’idea di uno sviluppo umano integrale la questione ecologica. Attraverso l’efficace immagine di una «cultura dello scarto» che permea una società che produce più del necessario e considera inutili rifiuti non solo molti manufatti ma anche altrettanti esseri umani, l’attuale pontefice ha offerto una lettura inedita del nostro tempo, mostrando come questione sociale e questione ecologica costituiscano due facce della stessa medaglia. Si tratta di un contributo intellettuale di grande rilievo, che negli ultimi anni ha travalicato i confini dell’orbe cattolico imponendosi pian piano a livello di coscienza diffusa. Non è azzardato affermare che si tratta del contributo intellettuale più importante dai tempi della caduta del Muro di Berlino, allorquando la cosiddetta fine delle ideologie ha assunto i tratti della fine di tutte le ideologie tranne una, riconosciuta come destino inevitabile e sostanzialmente indiscutibile. L’ideale di uno sviluppo umano integrale costituisce infatti un’alternativa credibile e potente a quel sistema liberistico che non solo sta alla base della cultura dello scarto, ma che è altresì divenuto ideologia egemone e dogma incontrastato.

La prospettiva di uno sviluppo umano integrale non offre tuttavia un sistema ideologico alternativo, bensì un criterio di giudizio e di valore più ampio rispetto a quello unico dell’efficienza in nome del

profitto. Per alcuni si tratta di un’utopia di dubbia praticabilità, per altri si tratta di una necessità storica a cui le contingenze del nostro tempo ci costringeranno inevitabilmente, essendo la catastrofe sociale e quella ecologica ormai prossime. In ogni caso si tratta di una prospettiva che merita attenzione e impegno. Merita che la si metta alla prova e che le si offrano delle chance concrete.

Scarica l'articolo gratuitamente
scarica l’articolo gratuitamente

Share